Il mio punto di partenza è considerare la qualità come il grado in cui le aspettative del cliente (esterno e interno all’organizzazione) e di tutte le altre parti interessate (più note come stakeholder) vengono soddisfatte. Stiamo parlando senz’altro di qualcosa da cui dipende il successo di un’organizzazione.
Tutti riteniamo di avere confidenza con la parola qualità e tutti siamo in grado di valutare una persona di qualità, un prodotto di qualità, un servizio di qualità. Per questo tutti noi, risorse umane, in quanto personale di un’azienda o in quanto clienti della stessa, siamo il principale fattore di successo o di insuccesso di un’organizzazione. Più corretto è parlare di quanto sia determinante per il successo di un’azienda la modalità di gestione del personale e del cliente scelta dal management.
Stiamo soffrendo di una sensazione di disorientamento causata dalla turbolenza di questo decennio, ma le fasi di evoluzione sono necessariamente turbolente. Adesso è il momento di assestarci, per questo vogliamo parlare di qualità. Ritengo che in questo momento la scelta migliore per ogni singola azienda che voglia uscire dalla turbolenza, sia partire da una fedele autovalutazione (check) di ciò che è, facendosi supportare da un modello di riferimento che aiuti il management a realizzare come vorrebbe la propria azienda e come vorrebbe che essa fosse percepita.
In un bellissimo articolo “Autovalutazione: Essere o apparire?”, l’autore Tito Conti sostiene che, come per le persone, anche per le organizzazioni il miglioramento passa attraverso l’autovalutazione e il confronto con gli altri e definisce le organizzazioni sistemi sociali complessi che amplificano le problematiche umane. “Chi vuole migliorare se stesso non ha altra via che imparare a conoscersi meglio: attraverso la pratica dell’autoanalisi, possibilmente aiutata da un amico o da un esperto, e attraverso il confronto aperto e sincero con altri che condividono gli stessi obiettivi. Diremmo noi, con il linguaggio della qualità, attraverso l’autovalutazione e il benchmarking.”
Spesso ci si concentra nel trovare i modi per apparire migliori di quello che si è, ma la qualità che il cliente sperimenta e percepisce non è quella che l’azienda racconta ma quella che si crea sempre al momento della verità, quello in cui l’erogatore di un servizio e il cliente si incontrano faccia a faccia, quello in cui il cliente consuma un prodotto acquistato. E allora suggerisce Conti “sono stratagemmi che hanno la coda di paglia, perché la vera natura emerge poi nei rapporti reali, quotidiani. Autovalutarsi in relazione a come si è percepiti è necessario per cambiare veramente il modo di rapportarsi con gli altri, per creare relazioni nelle quali tutte le parti coinvolte cercano di dare e ricevere il valore atteso”.
L’autovalutazione da sola non basta; essa ha lo scopo di evidenziare le debolezze per poter successivamente pianificare le azioni da eseguire, valutarle e agire se i risultati pianificati non sono stati raggiunti. L’applicazione continua del ciclo di Deming, PDCA (Plan, Do, Check , Act) a tutti i livelli, settori e processi aziendali, consente di superare le debolezze, togliere progressivamente dal prodotto o servizio le difettosità e suggerire i plus che aumentano il valore percepito dall’utente. In altre parole assicura il miglioramento continuo, strumento fondamentale per la qualità competitività. Si compete sulla soddisfazione del cliente, sul rapporto valore globale percepito/costi globali e sulla minimizzazione delle risorse impiegate a tale scopo. Tutti concetti noti ma non compresi nella loro interezza.
Le migliori imprese nel mondo usano il ciclo PDCA annuale come modo di operare normale ma la maggior parte delle imprese italiane è ferma alle fasi “Pianificazione – Esecuzione” (PD).
Una volta effettuato il processo diagnostico dell’autovalutazione per conoscere lo stato dell’organizzazione, l’applicazione del ciclo di Deming deve prevedere un’azione fondamentale, imparare a fare le cose che non si sanno fare. Gianfranco Piantoni nella sua introduzione alla prima edizione del libro di Richard Normann “La gestione strategica dei servizi” sostiene che la disponibilità a imparare da tutti e ovunque è la caratteristica del management dei servizi di successo e che solo chi sarà dotato di un grande bagaglio culturale avrà successo. Cultura, specifica Piantoni, non erudizione, che si alimenta solo come disponibilità ad apprendere e come volontà di dare un senso, anche aldilà del tempo alla propria vita reale. Ed ecco l’importanza del confronto con gli altri, del benchmarking.
Solo se il vertice è coinvolto in prima persona nel processo di autovalutazione, sarà possibile applicare i processi di miglioramento e di assestamento. I leader dell’organizzazione dovrebbero essere consapevoli di quanto il loro comportamento possa generare chiarezza, unità d’ intenti e un ambiente in cui tutti possano eccellere oppure il contrario di tutto ciò.
Un modello organizzativo può fornire la consapevolezza della situazione dell’azienda, può aiutare a capire le missioni di qualità dell’azienda, aiutare a comprendere i meccanismi che generano la soddisfazione del cliente, i modi per misurarla, le relazioni che legano a questa i processi aziendali, i modi per governare tali processi.
Se volessimo misurare il grado di consapevolezza degli imprenditori allevatori su quanto il successo delle loro aziende e la loro efficienza dipendano dal grado in cui riescono a soddisfare le aspettative del loro personale, dei loro clienti, dei loro fornitori e della società in senso lato, quali vantaggi per gli stessi allevatori imprenditori potremmo ottenere? Potremmo senz’altro aiutarli a capire che garantire la sicurezza alimentare, per esempio, significa soddisfare un’aspettativa dei clienti consumatori oggi esplicita ma da sempre esistita come aspettativa implicita? Potremmo aiutarli a capire che diventare imprenditori consapevoli nella realizzazione della loro mission oltre a migliorare la gestione dell’azienda li vedrebbe protagonisti del perseguimento di un bene comune aumentando la competitività delle loro aziende?
<<Capire>> è senz’altro una premessa per <<fare>>. La determinazione non è trasmissibile con un modello, la consapevolezza sì. Il management dell’azienda se consapevole e determinato può agire con pazienza e costanza sull’azienda per cercare di condurla passo dopo passo, attraverso i cambiamenti necessari, sempre faticosi, lungo il sentiero che conduce all’eccellenza. (Tito Conti, “Come costruire la qualità totale”)
Per fare tutto ciò è necessario amare il proprio lavoro. Ma cosa ci fa amare il nostro lavoro? L’economista Dan Ariely dimostra che il guadagno è una motivazione forte e necessaria, ma non l’unica. Le altre hanno a che fare con l’esigenza di ricavare un senso da quel che facciamo, con la portata creativa del gesto professionale, con il superamento di una difficoltà, con l’appartenenza quasi filiale dell’atto professionale generato, con il senso di identità che ricaviamo dal nostro lavoro e con l’orgoglio per quel che si è fatto.
Senza pretendere di semplificare la bellissima relazione del prof. Giovanni Sali “Stato attuale, compiti e prospettive della clinica buiatrica (individuale e collettiva)” presentata al XLVII congresso nazionale della Società Italiana di Buiatria, vorrei riportare quegli aspetti che mi hanno fatto pensare, ascoltando la sua relazione, ad un approccio totale alla qualità. Sali analizza le cause dell’aumento dei costi di produzione del latte individuando nei risultati della gestione aziendale uno dei punti di debolezza della nostra zootecnia specializzata da latte. Individua poi come cause dell’aumento dei costi intrinseche all’allevamento i problemi di salute e fertilità delle vacche e nei problemi di natura manageriale le cause principali, oggi come ieri, dell’infertilità, con le sue diverse manifestazioni cliniche. Il ruolo determinante della Diagnosi clinica, individuale e di mandria, come fase propedeutica dell’azione buiatrica (Check, Act,Plan, Do), l’importanza di non distogliere l’attenzione dalla bovina da latte in condizioni di benessere e sana, core business della buiatria e fonte e strumento primario della produzione. Il coinvolgimento diretto dell’ imprenditore allevatore a fianco del Veterinario Clinico Buiatra laddove si verificano i risultati ottimali nella gestione e l’importanza di diffondere la conoscenza delle prassi utilizzate dalle aziende esemplari (benchmarking), l’invito a riscoprire la propria buona e seria professionalità clinica.
Il valore della professionalità unitamente a un modello aperto, non prescrittivo, del sistema qualità aziendale, adattabile a qualsiasi contesto specifico, costituiscono a mio avviso fattori critici di successo da dispiegare con forza in questo momento anche per tutti i luoghi comuni e per le diverse realtà che oggi convivono sotto la stessa insegna di Qualità e che hanno tolto credibilità a idee cariche di potenzialità positive.
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