
È ormai evidente che le temperature medie, minime e massime, in Italia e a livello globale, stanno aumentando in modo rapido e costante, soprattutto negli ultimi anni. Questo fenomeno mette a dura prova i meccanismi di termoregolazione di tutti gli esseri viventi, con un impatto particolarmente critico sui ruminanti, come le bovine da latte.
Grazie ai progressi nella selezione genetica, nella nutrizione e nella gestione, questi animali raggiungono oggi livelli produttivi elevatissimi. Tuttavia, proprio per effetto di tali intensità metaboliche, mostrano crescenti difficoltà sia nella dissipazione del calore – poiché non sudano in modo efficace – sia nella riproduzione naturale, che risulta spesso compromessa dalle condizioni di stress termico.
Gran parte degli allevamenti di bovine da latte è oggi dotata di sistemi di raffrescamento diretto, basati su ventilatori e docce attivate manualmente, tramite timer o attraverso algoritmi che tengono conto dell’indice THI (Temperature-Humidity Index). Tuttavia, confrontando la produzione primaverile con quella autunnale, a parità di giorni medi di lattazione, emerge che vi è ancora margine di miglioramento nella prevenzione dello stress da caldo, sia per le bovine in lattazione che per quelle in asciutta.
Nel numero di febbraio 2025 di Ruminantia Mese, abbiamo approfondito questo tema analizzando i dati forniti da ANAFIBJ sulla Frisona Italiana, nell’articolo intitolato “Come è andata in Italia la produzione di latte vaccino nel 2024”.
Nella tabella 1 si vede chiaramente che la produzione mensile di latte bovino (normalizzata a 30 giorni) in Europa segue l’andamento tipico dell’emisfero boreale: più alta in primavera e più bassa in autunno. Questo trend si conferma anche in Italia, dove, grazie alla disponibilità di dati precisi, si può affermare che la flessione autunnale non dipende da differenze nei giorni medi di lattazione.

Tabella 1 – Andamento della produzione di latte bovino normalizzata a 30 giorni mensili. Fonte Milk Market Observatory della Commissione europea.
Nella tabella 2 si vede chiaramente che negli ultimi cinque anni la produzione media pro-capite della frisona italiana ha avuto un andamento stagionale, o meglio mensile, con un picco massimo ad aprile e un minimo a novembre, mesi nei quali sono uguali i giorni medi di lattazione. Questa andamento produttivo si nota negli USA, in Europa, in Russia e in Cina, ossia in tutte le nazioni che si trovano a nord dell’equatore. In quelli che si trovano nell’emisfero boreale si nota invece il comportamento produttivo inverso, ossia un picco produttivo in autunno e il minimo in primavera.

Tabella 2 – Andamento della produzione media mensile italiana delle bovine di razza frisona italiana negli ultimi cinque anni in relazione ai giorni medi di lattazione. Dati ANAFIBJ
Le tabelle 3 e 4 riportano i dati suddivisi per numero di lattazioni. Calcolando la media aritmetica della differenza di produzione tra aprile e ottobre negli ultimi cinque anni, si evidenzia una riduzione media di 1,88 kg/giorno per le primipare e di 2,66 kg/giorno per le pluripare.

Tabella 3 – Andamento della differenza produttiva procapite tra il mese di aprile e di ottobre nelle bovine primipare di razza frisona allevate in Italia.

Tabella 4 – Andamento della differenza produttiva procapite tra il mese di aprile e di ottobre nelle bovine primipare di razza frisona allevate in Italia.
Questa perdita produttiva autunnale è sicuramente di natura plurifattoriale, e i principali fattori causali sono sicuramente il fotoperiodo, l’aumento di prevalenza nel dopo estate di alcune malattie metaboliche come la chetosi e, soprattutto, lo stress da caldo a fine gravidanza e in lattazione.
Con Alessia Tondo a maggio 2015 pubblicammo la descrizione di questa sindrome nella rivista di AIA “L’Allevatore”, nell’articolo “La sindrome della bassa produzione in autunno” poi ripresa nel 2021 da altri autori come Chiara Spelta e Massimo Amadori in articoli come “La sindrome della bassa produzione di latte in autunno: il possibile ruolo di una risposta immunitaria innata disregolata”.
Sappiamo bene che la ridotta produzione di latte in autunno è solo la punta dell’iceberg, essendo associata alla sub-fertilità estiva e autunnale e problemi podali.
Come accennato in premessa, oggi la quasi totalità degli allevamenti professionali è dotata di sistemi di raffrescamento per le bovine. Tuttavia, la sola presenza di queste attrezzature non garantisce un’effettiva efficacia nel contenimento dello stress da caldo.
L’ideale sarebbe stato effettuare, già nella scorsa estate, uno screening oggettivo tramite l’uso di data logger vaginali per monitorare la temperatura corporea degli animali in lattazione, in asciutta e in transizione, verificando se i sistemi di raffrescamento diretto siano realmente in grado di mantenere la termoregolazione entro limiti fisiologici.
Affidarsi esclusivamente alla taratura delle centraline basata sull’indice THI può infatti risultare limitante. Già lo scorso anno avevamo affrontato questo tema sulle pagine di Ruminantia Mese, con l’articolo intitolato “Cambiare il paradigma per prevenire lo stress da caldo: ovvero il post-THI”, evidenziando la necessità di superare l’approccio basato unicamente su parametri ambientali.
Per cercare di mitigare completamente gli effetti negativi dello stress da caldo sulla produzione di latte, l’ipofertilità e le zoppie sia estive che autunnali, consigliamo questo modo di procedere:
- Dotarsi comunque e a prescindere di un impianto efficace di raffrescamento diretto degli animali, sia in lattazione che in asciutta.
- Per chi, tramite sensori indossabili come i data logger vaginali, ha verificato lo scorso anno che nonostante il suo impianto di raffrescamento diretto la temperatura rettale delle bovine in lattazione e in asciutta ha superato il 38.5-39.0 ° C , è consigliabile aggiornare l’impianto e il tipo di regolazione utilizzato.
- L’adozione di strategie nutrizionali palliative durante l’estate, come l’impiego di additivi specifici e l’aumento della concentrazione energetica e proteica della razione, rappresenta indubbiamente un supporto utile nella gestione dello stress da caldo. Tuttavia, non bisogna mai cadere nell’errore di considerarle un’alternativa alla presenza e al corretto funzionamento degli impianti di raffrescamento diretto. ‘Palliativo’ non significa inutile, ma indica un intervento complementare, pensato per potenziare l’efficacia delle misure strutturali e gestionali, sia dirette che indirette, nella prevenzione del disagio termico.
- Allo stato attuale delle conoscenze non si può agire sul fotoperiodo in asciutta e in lattazione per la prevenzione della sindrome della bassa produzione di latte in autunno.