
La diffusione della mungitura robotizzata, avviata circa un decennio fa e accelerata in modo esponenziale negli ultimi 4-5 anni, ha posto ai tecnici di campo una nuova sfida: ottimizzare l’equilibrio tra la PMR (razione unifeed distribuita in mangiatoia) e i concentrati somministrati durante la mungitura robotica. Questi ultimi possono consistere in uno o due diversi tipi di mangime, a seconda della configurazione delle linee che alimentano il robot. In alcune situazioni, è previsto anche l’impiego di concentrati liquidi, particolarmente utili nelle prime fasi della lattazione quando l’animale affronta un bilancio energetico negativo, e strategici come stimolo all’ingresso in posta.
La strategia più frequentemente adottata prevede di coprire l’85-90% dei fabbisogni per la produzione desiderata attraverso il PMR, costruendo così una curva di consumo alla posta che, a partire dal 50° giorno di lattazione, risulti proporzionale alla produzione individuale.
Nei primi 50 giorni, il concentrato viene solitamente aumentato in due step identici per tutti gli animali, con l’obiettivo di valutarne l’attitudine produttiva prima del picco. Al contrario, negli ultimi 20 giorni di lattazione, il concentrato viene progressivamente ridotto per favorire un corretto ingresso in asciutta.
Le caratteristiche del concentrato distribuito alla posta non dovrebbero discostarsi eccessivamente dalla composizione chimica del PMR, tenendo conto che quest’ultimo dovrebbe contenere un livello leggermente più elevato di NDF, poiché il pellet rappresenta comunque un alimento concentrato.
Questa è l’impostazione più comune riscontrata nella pratica. Tuttavia, nel tempo sono emerse diverse scuole di pensiero. In questo articolo ci concentreremo su una delle più radicali, che ho avuto modo di conoscere durante un recente viaggio in Galizia.
In questa zona della Spagna nord-occidentale, le aziende agricole sono prevalentemente familiari o bifamiliari, e nella maggior parte dei casi dispongono di 2-4 robot di mungitura. Le condizioni pedoclimatiche della regione sono caratterizzate da un’elevata piovosità annua e da una spiccata vocazione verso le colture prative vernine, in particolare il loietto tetraploide, che viene sfalciato più volte durante l’anno.
È presente anche la coltivazione del silomais, sebbene il numero limitato di gradi calore non consenta cicli vegetativi prolungati. L’irrigazione è poco diffusa, sia tramite aspersione che con ali gocciolanti. Più rara, invece, è la presenza di erba medica, coltura poco compatibile con le condizioni locali.
La strategia alimentare adottata nella maggior parte delle aziende è semplice ma funzionale, sostenuta dalla qualità mediamente elevata dei foraggi prodotti.
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Non è raro incontrare insilati di loietto con una digeribilità a 30 ore compresa tra il 60% e il 70% e un contenuto di uNDF tra il 10% e il 15%.
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Il silomais viene generalmente raccolto con una sostanza secca piuttosto bassa, con l’obiettivo di ottimizzare la digeribilità dell’NDF della pianta.
A partire da una base foraggera che garantisce elevati tassi di degradazione ruminale (Kd) e uno svuotamento ruminale (Kp) altrettanto rapido, i tecnici galiziani formulano PMR con un rapporto foraggi/concentrati molto favorevole ai foraggi, spesso superiore a 60/40. In queste razioni, il contenuto in amido raramente supera il 20%.
Di conseguenza, il quantitativo di pellet somministrato durante la mungitura per raggiungere i target produttivi è sensibilmente più elevato: nei primi 100 giorni di lattazione si somministrano generalmente 6-8 kg di concentrato, in funzione della produttività individuale al picco.
Questo concentrato presenta un tenore in amido piuttosto elevato, derivante in larga parte da cereali minori, ed è caratterizzato anche da alti livelli di sottoprodotti da distilleria, un basso contenuto in minerali e aromatizzazioni frequentemente basate su mela, erba medica o latte. È inoltre arricchito con tutti gli additivi tecnologici necessari a sostenere le alte produzioni.
Questa strategia, nelle stalle che ho avuto modo di visitare, consente di ottenere un numero di mungiture superiore (compatibilmente con l’affollamento dei robot) rispetto a quanto osservato in Italia a parità di produzione.
Probabilmente ciò è dovuto a una più rapida riduzione della glicemia post-pasto e a un minor senso di sazietà legato al minore rumen fill del PMR.
La figura seguente riassume i parametri chiave per l’ottimizzazione della mungitura robotizzata.
Naturalmente, il sistema presenta alcuni punti critici, tra cui la velocità di somministrazione del concentrato, che deve essere calibrata rispetto al quantitativo totale distribuito, al numero di visite e alla velocità di mungitura.
Nonostante il costo lievemente superiore – dovuto al fatto che il pellet ha un valore per kg SS maggiore rispetto agli ingredienti della PMR – i risultati ottenibili sono molto interessanti. Il ROI della strategia va comunque valutato attentamente. Ritengo però che, in alcune aree geografiche italiane o in allevamenti orientati a produzioni molto elevate, questa impostazione possa essere adottata con successo.