15 Aprile 2025

La sostenibilità ambientale delle attività umane è un argomento per il quale ci si ferma di solito al titolo o all’enunciazione come se, per il solo fatto di evocare la sostenibilità, questa possa già iniziare a realizzarsi. È anche un argomento per il quale si rischia di dividersi come le tifoserie. Chi vede nero per il futuro e chi ritiene che si tratti di un’invenzione creata per far soldi da parte di qualche “potere forte”.

Il Green Deal portato avanti dall’Unione europea, un’idea considerata illuminata dai più al momento della presentazione, viene ora picconata da più parti. Ci mancava solo Trump con il suo “indietro tutta” per far piombare tutti nella confusione più totale.

Come ne usciamo?

Come imprenditori agricoli, vale la pena investire e modificare la propria gestione per migliorare l’impatto ambientale? O non sarà meglio stare in attesa di vincoli di legge che dettino norme stringenti sull’argomento, così da essere tutti insieme sulla stessa barca nello stesso momento?

Tanto più che, al di là di ciò che riportano i media ed i social, l’agricoltura e la zootecnia sono responsabili di una quota di impatto ambientale non decisiva. Guardassero l’impatto dei trasporti o della produzione di energia, piuttosto! C’è ben altro da guardare!

Inizio dal fondo dicendo che il benaltrismo, quel processo mentale per il quale, per evitare di affrontare un problema, se ne indica un altro più rilevante, è una modalità che cerca di eludere i problemi. Ho imparato che i problemi vanno affrontati con realismo e, se sono misurabili, con dei numeri.

Ecco, appunto, i numeri. Ci è caro lo slogan per il quale si migliora solo ciò che si misura. Nella storia del nostro settore, miglioriamo le performances perché le misuriamo. Ogni parametro è stato e continua ad essere migliorato perché continua ad essere misurato: la quantità di latte, il grasso, le proteine, le cellule somatiche, la fertilità, ecc. Già con la mortalità neo natale, ad esempio, facciamo fatica perché la misuriamo poco e male. Ancora peggio per le cause di eliminazione delle vacche. Sulla misurazione dei dati economici, già abbiamo detto.

Se chiedessimo ad un’azienda zootecnica di quali misure disponga per valutare l’impatto ambientale della propria attività otterremmo quasi unicamente silenzi. Abbiamo dati di stima ed in alcuni casi di misurazione dell’impatto ambientale del nostro settore; praticamente nessuna azienda ha la più pallida idea di quali numeri descrivano l’impatto ambientale dell’attività che svolgono.

Come dire che finché affrontiamo il miglioramento dell’impatto ambientale a livello di princìpi, le risposte che otterremo non possono essere che princìpi. Dunque, la discussione è sul terreno dei principi e non del fare. Occorre fare in modo che le discussioni si spostino sul terreno della descrizione numerica, che prelude, volendolo, le decisioni sulle modalità e sulle opzioni di intervento utili a migliorare i numeri di partenza.

In termini di prospettiva futura, non facciamoci illusioni: siamo i primi a sperimentare le variabilità climatiche. Chi ci dice che c’è “ben altro”, ci sta facendo perdere tempo prezioso. Le discussioni, anche intense, potranno riguardare gli interventi da mettere in atto, la loro fattibilità, il loro costo. Non il loro senso o la loro urgenza.

Il mio personale parere è che la gestione dell’impatto ambientale e la documentazione che ne certifichi la messa in atto, diventeranno non già fattori di premialità sul prezzo di vendita del latte, quanto piuttosto elementi di discrimine per la consegna del latte stesso.

About the Author: Arrigo Milanesi

Farm Consulting srl Email: arrigomilanesi@gmail.com

Da leggere - Febbraio 2025

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