Il bilancio energetico “troppo positivo” dell’ultima fase di lattazione e il bilancio energetico “troppo negativo” degli ultimi giorni di gravidanza e delle prime settimane di lattazione condizionano l’incidenza della maggior parte delle malattie metaboliche della transizione, la piena efficienza del sistema immunitario, la fertilità e la produzione. Con il progressivo aumento del gap tra potenziale genetico a produrre latte, grasso e proteina e i limiti oggettivi, anche cognitivi, di apporto di nutrienti e di gestione nelle bovine, sia in transizione che ad inizio lattazione, il rischio concreto è una progressiva e inesorabile riduzione della vita produttiva delle bovine da latte per patologie e infertilità.
Al fine di gestire soprattutto il bilancio energetico e proteico negativo si è alla ricerca di biomarker, sia ematici che nel latte individuale, che aiutino i nutrizionisti e i buiatri ad “aggiustare il tiro” o meglio a verificare il più oggettivamente possibile se le scelte fatte diano i risultati attesi. Un biomarker potenzialmente molto importante sono i NEFA, acidi grassi non esterificati liberati dal tessuto adiposo quando aumenta la domanda d’energia o, meglio, di glucosio. I NEFA ematici sono assolutamente da non confondere con lipoproteine come i chilomicroni che trasportano i trigliceridi assorbiti a livello intestinale, oppure con le VLDL che trasportano i trigliceridi e il colesterolo dal fegato ai tessuti periferici. I NEFA sono principalmente acido palmitico, acido sterico o acido linoleico ma possono anche essere acidi grassi polinsaturi. Questi acidi grassi vengono liberati dai trigliceridi stoccati dal tessuto adiposo ad opera di enzimi come le lipasi in seguito ad una riduzione della glicemia e quindi in seguito ad un calo dell’insulina circolante, oppure dal cortisolo e dalle catecolamine. Un volta in circolo i NEFA vengono veicolati dall’albumina e trasportati principalmente al fegato, ai muscoli e alla mammella. Nei primi due organi verranno utilizzati come fonte energetica, mentre nella mammella fungeranno da fonte primaria per il grasso del latte unitamente agli acidi grassi sintetizzati ex-novo a livello mammario (da C4 a C16) partendo dal BHBA, l’acido acetico e l’acido propionico.
Con le opportunità analitiche del latte offerte oggi dalla FTIR (Fourier Transform Infrared Spectroscopy) è possibile individuare nel latte delle singole bovine, nelle prime settimane di lattazione, i singoli acidi grassi per capire in quale proporzione il grasso del latte derivi dai NEFA rilasciati dal tessuto adiposo e ingeriti con la dieta ( da C16 a C18), e in quale da quelli di sintesi ex-novo e quindi essenzialmente di derivazione ruminale( C4-C16). Attraverso questa tecnologia analitica si può oggettivamente dare un ordine di grandezza al dimagrimento delle bovine. Un volta giunti alla cellula epatica i NEFA possono entrare nei mitocondri e andare incontro alla β-ossidazione, e quindi essere utilizzati per produrre energia costituendo una valida alternativa al glucosio. In caso di carenza di ossalacetato le molecole di acetil-CoA presenti nel mitocondrio, che derivano dagli acidi grassi, si combinano tra di loro per formare corpi chetonici come l’acetoacetato, l’acetone e il β-idrossibutirrato( BHBA). E’ per questo motivo che esiste un forte legame tra NEFA e BHBA, ossia una correlazione tra elevato ingresso di NEFA nei mitocondri e la spesso non piena capacità di ossidarli completamente con la probabilità di produzione di corpi chetonici.
Quando l’afflusso di NEFA al fegato è molto intenso, e viene quindi saturata la possibilità del loro ingresso nei mitocondri da parte dell’enzima carnitina acil-tranferasi, essi verranno riesterificati, cioè legati al glicerolo, per formare trigliceridi nel citoplasma dell’epatocita. Quando la concentrazione epatica di trigliceridi supera l’1% (su base tal quale) si può già definire come lipidosi epatica, condizione che diventa grave per le ripercussioni sulle principali funzioni se va oltre il 10%. Altro motivo di accumulo eccessivo nel fegato di trigliceridi è l’insufficiente sintesi delle VLDL, lipoproteine che ne consentono l’esportazione nel sangue. I NEFA quindi esprimono una condizione metabolica legata al risparmio di glucosio sia per la produzione energetica che per dare alla mammella la possibilità di sintetizzare lattosio e quindi latte.
Nel periparto tra le regolazione omeoresiche e omeostatiche che mette in atto la bovina c’è l’insulino resistenza. Per le bovine nel periparto questa è una condizione fisiologica che contribuisce al risparmio nell’utilizzo di glucosio riducendone il consumo a livello dei tessuti periferici. L’accumulo di trigliceridi, conseguenti al dimagrimento, nelle cellule epatiche e muscolari, attraverso un complesso meccanismo biochimico, è in parte responsabile dell’insulino-resistenza. La concentrazione dei NEFA ematici condiziona quella nel fluido follicolare (r=0.50). Quando nelle bovine si verifica un’intensa lipomobilizzazione dal tessuto adiposo avviene anche una liberazione di citochine pro-infiammatorie come il TNF-α e l’IL-6 che eserciteranno una serie di modifiche metaboliche tra le quali l’accentuarsi della para-fisiologica insulino-resistenza.
Inoltre, in caso di eccessivo dimagrimento dopo il parto, il rilascio di progesterone dal tessuto adiposo ritarderà una corretta ripresa dell’attività ovarica. Questo aspetto fa parte del complesso sistema di ricognizione dello status metabolico che la bovina mette in atto per prendere “la decisione di riprodursi” unitamente a quello che avviene a livello dell’asse ipotalamo-ipofisi che modula la secrezione delle gondotropine ipofisarie, a livello epatico per la produzione dell’IGF-1 e a livello follicolare ad opera degli ormoni ad attività paracrina e autocrina. Per queste ragioni la concentrazione ematica di NEFA è un ottimo indicatore oggettivo di bilancio energetico negativo come anche la concentrazione ematica di BHBA, glucosio, insulina e IGF-1. Questi biomarker si affiancano ai criteri soggettivi di bilancio energetico come la valutazione o meglio le variazioni di BCS.
La determinazione quantitativa dei NEFA ematici andrebbe effettuata sia prima che dopo il parto in quanto il loro aumento può avvenire già nella prima fase di transizione per avere poi un picco durante la seconda settimana di lattazione. Prima del parto, o meglio tra i giorni -2 e – 14, andrebbe campionato il sangue in provette con EDTA o citrato, o di tutte le bovine presenti in questa fase o, se il gruppo è numeroso, di almeno 15 soggetti. Se oltre il 15% dei campioni presenta valori > 0.3 mEq/L esiste un problema collettivo o errori nella gestione della dieta o di altra natura che impongono alle bovine non ancora in lattazione di ricorrere alle riserve lipidiche per risparmiare glucosio. In ogni caso le bovine con NEFA > 0.29 mEq/L hanno la una probabilità 1.6 volte superiore di sviluppare dopo il parto dislocazione abomasale, metrite e chetosi. Già con valori > di 0.27 mEq/L si riduce la probabilità di gravidanza, dopo 70 giorni dopo il parto, del 19%. Bovine con valori >0.33 mEq/L produrranno circa kg 700 in meno nella lattazione successiva (305gg). In generale, bovine con valori ≥ 0.3 mEq/L prima del parto avranno una riduzione dell’1.2% di PR, un’incidenza delle patologie >1.4% e una riduzione della produzione di latte.
Nella seconda fase della transizione, ossia nelle prime tre settimane di lattazione, si campioneranno le bovine nel medesimo modo, scegliendole tra i giorni +3 e +14 . Con valori >0.57 mEq/L c’è un aumento di 1.9 volte del rischio di avere una dislocazione dell’abomaso, una chetosi o una metrite, e nelle primipare di produrre kg 488 di latte in meno a 305 gg. Con valori >0.72 mEq/L ci sarà una riduzione del tasso di concepimento del 16% e per le bovine adulte una mancata produzione a 305 gg di kg 647 di latte.
Nella lettura dei valori analitici è bene ricordare che la misurazione dei NEFA fatta in mEq/L è identica a quella effettuata in mmol/L. Se poi il BHBA dopo il parto presenterà valori > 10 mg/dl il rischio di dislocazione dell’abomaso, chetosi e metrite aumenterà ulteriormente di 3.1 volte, e si rischierà un calo della produzione di latte di kg 393 nei 305 gg e una riduzione del tasso di concepimento del 13%. Nelle primipare già valori di BHBA di 9 mg/dl possono comportare una riduzione nella produzione di latte di kg 403. Esiste una correlazione diretta tra livello di NEFA e patologie del periparto. Un livello medio o alto di NEFA aumenta rispettivamente dell’8% e dell’11% il rischio di distocia, dell’11% e del 15% quello di ritenzione di placenta, del 7% e del 10% l’incidenza di mastiti d’inizio lattazione, dell’11% e del 17% l’incidenza di chetosi e del 5% e 10% il rischio di dislocazioni abomasali.
E’ bene ricordare che vanno escluse dal campionamento le bovine ormai vicinissime al parto (-2gg) e quelle nei primi 3 gg di lattazione, a meno che non ci siano necessità diagnostiche individuali. La sensibilità e la specificità della correlazione tra determinazione dei NEFA e patologie del periparto non è elevata ma è utilizzabile in campo. Ad esempio, un livello di 0.27 mEq/L di NEFA nel preparto aumenta il rischio di dislocazione dell’abomaso di 1.5 volte con una sensitività del 57% e una specificità del 62%. Relativamente alla chetosi clinica, già un livello di 0.26 mEq/L nel preparto ne aumenta il rischio di 1.4 volte con una sensitività 53% e una specificità del 61%. Relativamente alla metrite puerperale e alla ritenzione di placenta un livello di NEFA >0.37 mEq/L aumenta il rischio di prevalenza di 1.9 volte con una sensitività del 37% e di specificità dell’80%.
Alla luce delle molte ricerche effettuate sulla determinazione dei NEFA nella prima e nella seconda fase di transizione, si può stabilire come normale un valore ≤ 0.25 mEq/L in non più del 15% delle bovine oppure di 0.5 mEq/L in più del 30% delle bovine. Nella seconda fase della transizione è da considerarsi normale un valore ≤ 0.7 mEq/L in meno del 15% delle bovine.
Cosa fare quindi per limitare il dimagrimento nella fase di transizione e quindi la liberazione in circolo di NEFA? Il primo e fondamentale accorgimento è quello di fornire più precursori di molecole gluconeogenetiche possibili al fegato che permettano la sintesi di glucosio e mantengano quindi “sostenuta” la produzione d’insulina. Il più importante è il propionato, derivante maggiormente dalla fermentazione ruminale degli amidi oppure apportabile tramite il glicole propilenico e il propionato di calcio e di sodio.
Importanti sono anche gli aminoacidi glucogenetici e, principalmente, l’alanina e la glutammina derivanti dall’assorbimento intestinale della proteina metabolizzabile o dal catabolismo proteico e che contribuisco per il 20-30% alla sintesi del glucosio. La sola alanina può contribuire dal 3 al 5%. Altra molecola importante è il lattato, che deriva anche dal ciclo di Cori, ossia dal tessuto muscolare, e che può contribuire fino al 20% alla sintesi ex-novo di glucosio. Infine, il glicerolo può contribuire fino al 10% alla gluconeogenesi anche se in buona parte dirottato nella mammella per la sintesi dei trigliceridi del latte o se viene utilizzato dal fegato per riesterificazione dei NEFA. Esistono poi delle molecole che possono dare un contributo alla riduzione della liberazione dei NEFA dal tessuto adiposo, come l’acido nicotinico o vitamina PP a dosaggi molto elevati, ossia nell’ordine di grammi al giorno, e somministrata in forma rumino-protetta. La colina, la metionina e la carnitina, somministrate anch’esse a dosaggi molto elevati e in forma rumino-protetta, possono non modulare la liberazione di NEFA dal tessuto adiposo ma ridurre alcuni effetti collaterali sul fegato, come la lipidosi epatica e la sintesi di quote troppo elevate di corpi chetonici. In ogni caso, la messa in atto di pratiche alimentari e gestionali che impediscano alla bovine di arrivare grasse a fine gravidanza e che stimolino al massimo la capacità d’ingestione è tra le precauzioni zootecniche che hanno maggiori effetti nella riduzione della concentrazione di NEFA nel sangue delle bovine in transizione.
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