Per alcuni decenni e fino alle soglie dell’introduzione dell’Euro, l’Italia era abituata ad un livello di inflazione a due cifre. Questo fatto portava con sé un sacco di conseguenze per le attività e per la vita delle famiglie e delle singole persone. Ogni tanto si procedeva con una bella svalutazione della Lira e… via andare. Chi faceva mutui, contava che l’aumento della busta paga avrebbe alleggerito di fatto la rata del mutuo; chi aveva attività, sapeva che con molta frequenza, almeno due o tre volte l’anno, avrebbe ritoccato i listini di vendita. L’inflazione era un elemento costitutivo della nostra vita in generale, ma anche di quella economica sia quella grande, sia quella di ciascuna azienda o persona. L’inflazione alta era una specie di paradigma dal quale originavano una serie di scelte tutte ben fondate e logiche. Il repentino abbassamento dell’inflazione e la sua stabilizzazione hanno imposto a ciascuno un cambio di mentalità a cui non tutti hanno risposto prontamente, con conseguenze non trascurabili.

Anche nel nostro settore zootecnico, per quanto ci possa sembrare strano, utilizziamo una serie di paradigmi che rischiano di assomigliare all’esempio dell’inflazione. Provo a citarne qualcuno:

Periodo di attesa volontaria

Chi ha stabilito che il periodo di attesa volontario debba essere attorno ai 60/70 giorni dal parto? Ero giovane, ahimè, studiavo all’Università, le vacche non assomigliavano lontanamente a quelle di oggi, le tecnologie nemmeno, di benessere degli animali non parliamone neppure, e si indicavano 60 giorni di periodo di attesa volontaria. E’ un dato di fatto che stiamo selezionando per la persistenza della lattazione, che ne siamo parte attiva o meno. E noi usiamo sempre, giorno più, giorno meno, i nostri soliti 60 giorni di attesa volontaria.

P.R. (Pregnancy rate)

E’ noto che tale parametro non è calcolato in modo univoco. Diversi software usano modelli diversi per indicare questo dato riassuntivo, con differenze importanti nel risultato finale. In aggiunta, secondo che si utilizzi o meno il sistema di mettere le vacche in parcheggio, il risultato ne sarà influenzato. Eppure, consideriamo questo dato come se fosse scolpito nella pietra. A volte (solo a volte?) la corsa al miglioramento del P.R. ci porta ad utilizzare sistemi di sincronizzazione che, da soluzione temporanea, diventano veri e propri sistemi di gestione. Che senso ha selezionare per migliorare la fertilità, predisponendo la mandria da un punto fisiologico (dunque biochimico) a migliorare per propria innata capacità (essendo genetica è proprio il caso) di avviare una gravidanza e, di fatto, spianare questo sforzo con un sistema di trattamenti ormonali a tappeto?

IOFC (Income Over Feed Cost)

Si tratta del margine economico che resta dopo aver spesato il costo alimentare, quasi sempre delle sole vacche in latte. Viene a volte utilizzato come se fosse un bigino del Conto Economico, e se così fosse sarebbe fantastico. Chissà perché, invece, quei matti che vogliono vederci chiaro nei propri costi e ricavi, usano i principi della contabilità industriale?! Vogliono sapere il costo operativo reale (non quello calcolato, ma quello relativo agli acquisti effettuati ed alle pesate di ogni singolo alimento) necessario per ciascuna unità di prodotto. E’ la stessa differenza che passa tra studiare bene una materia o fare bigliettini per far fesso il docente. Nella pratica, ho visto aziende avere ottimi IOFC ed avere un costo alimentare proibitivo per ogni litro di latte prodotto e ceduto. Per definizione l’IOFC, considerando il valore del latte venduto, non può essere confrontato con quello di altri colleghi che non vendano il proprio latte allo stesso caseificio. Dunque, ci si confronta nella pratica solo con sé stessi. E qui cominciano i guai.

Mi rendo conto di aver toccato in modo non approfondito argomenti rilevanti – ce ne sarebbero diversi altri – i quali meriterebbero ben altro spazio. Mi basta in questa sede evidenziare che la realtà ci sta superando, che le nostre vacche sono ormai pronte per allevatori ed imprenditori evoluti, che è tempo di mettere in discussione molti paradigmi sui quali basiamo le nostre abitudini di lavoro e le nostre scelte imprenditoriali, e che l’evoluzione e la ricerca di nuovi mondi sono bisogni insopprimibili di ciascuno di noi.