Il ricavo che deriva dalla vendita del latte e il costo dell’alimentazione sono le due principali voci del conto economico, rispettivamente dei ricavi e dei costi, e rappresentano le due grandi variabili che condizionano il guadagno di un’azienda di bovine da latte. Per aumentare i ricavi dal latte si può agire sulla quantità, e questo è un problema tecnico, o sul prezzo del latte, e qui le dinamiche in gioco sono molto più complesse. Sul costo dell’alimentazione fanno la differenza il modo in cui si acquistano gli alimenti zootecnici, il livello di auto-sufficienza e come si realizzano i piani alimentari.
Per avere dei riferimenti oggettivi su cui costruire il conto economico, e soprattutto il budget, si utilizzano le informazioni date dalle borse merci delle materie prime, solitamente di Milano e di Bologna, dove vengono quotati quasi tutti gli alimenti zootecnici. Si considera bravo l’allevatore che compra buona parte di quello di cui ha la necessità ad un prezzo inferiore rispetto a quello delle quotazioni settimanali. Con lo stesso criterio si giudica la qualità dell’ufficio acquisti di un mangimificio. Il prezzo delle materie prime quotate serve anche agli allevatori che comprano mangimi personalizzati per contrattualizzare il “ricarico” che viene messo su un costo formula, calcolato facendo riferimento alle borse merci. Con più o meno gli stessi criteri si segue l’andamento del latte spot, essenzialmente di Lodi, per avere un riferimento oggettivo nelle trattative del prezzo del latte alla stalla; anche se questa tipologia di latte, fuori contratto, rappresenta una piccola parte del latte commercializzato in Italia.
Se i prezzi fossero ancora determinati dalla regola del rapporto della domanda e dell’offerta, e il tutto fosse gestito da più o meno complessi algoritmi matematici, senza altre interferenze, le borse merci delle materie prime e il latte spot avrebbero un valore inestimabile. Nella realtà dei fatti però gli alimenti zootecnici sono soggetti ad una “regolamentazione” mondiale essendo gestiti da cinque gigantesche multinazionali, ovvero Cargill (USA), Bunge (USA), Dreyfuss (NL), ADM (USA) e COFCO (Cina), che controllano dal 75 al 90% del mercato mondiale dei cereali e delle oleaginose, con un fatturato di ben 365 miliardi di dollari oltre a quello realizzato con altre commodity dell’industria alimentare. Queste commodity alimentari, il petrolio e quant’altro sono oggetto dell’attenzione della finanza per cui il loro prezzo si è completamente sganciato dalla regola “se ne produce molto e quindi costa poco” e viceversa. Allo stesso modo, il mercato mondiale del latte è controllato da poche multinazionali. Le 6 più grandi sono Nestlè (CH), Lactalis (FR), Danone(FR), Dairy Farmers of America (USA), Fonterra(NZ) e Fresland Campina(NL) che hanno un giro d’affari di 99.2 miliardi di dollari.
In questo circus di giganti avere come punti di riferimento per il costo dell’alimentazione e il prezzo del latte alla stalla le borse merci e il latte spot di Lodi può apparire ad un qualsiasi economista piuttosto singolare. La Commissione latte spot della Camera di Commercio di Lodi è costituita da esperti del settore, sindacati agricoli e industriali, e si riunisce settimanalmente per decidere con criteri condivisi, ma non perfettamente oggettivi, il valore del latte spot e degli altri prodotti del latte per quella settimana. Questa informazione viene utilizzata dalla Commissione Europea, unitamente al valore del latte spot in Olanda, per le loro valutazioni. L’andamento di questo prezzo segue grosso modo quello del latte prodotto sia in Italia che in Europa, ossia grande produzione in primavera e bassa produzione in autunno, per cui un minimo legame tra domanda e offerta esiste. Il latte spot segue nei grandi numeri anche il valore medio del latte in Europa (EU28), che evidenzia ormai da decine di anni una differenza positiva di circa 3-4 euro/ettolitro tra il prezzo del latte a Maggio e quello di Novembre. In pratica però il prezzo del latte alla stalla, a meno che non sia indicizzato in qualche contratto, non ha, almeno in Italia, questo andamento.
Ci troviamo in questo momento in una congiuntura economica favorevole, almeno in Italia, in quanto la produzione europea è tendenzialmente in calo, l’export è molto sostenuto e sempre più referenze del latte, per volontà dei consumatori, sono fatte con latte italiano. Non si può però prevedere cosa succederà nei primi mesi del 2018 per cui sarebbe saggio affrontare il problema da un altro punto di vista, ossia monitorare per aree omogenee il costo di produzione del latte utilizzando la struttura del conto economico utilizzato da qualsiasi impresa o attività imprenditoriale come il codice civile stabilisce. Poco cambia se si utilizza il break even, il margine operativo lordo o il margine di contribuzione (differenza tra ricavi e costi variabili). L’importanza è avere un criterio univoco, utilizzare lo stesso strumento informatico, acquisire informazioni da un campione di allevamenti di aree omogenee statisticamente significativo e, soprattutto, poter fare il benckmark.
L’algoritmo derivante può dare più forza all’allevatore nel contrattare il prezzo del latte alla stalla rendendolo consapevole del costo di produzione e, soprattutto, del suo andamento. Serve anche, cosa non trascurabile, per adottare quegli interventi necessari per mettere in sicurezza i punti anomali delle voci che compongono il proprio conto economico, sia nell’area dei ricavi che in quella dei costi. Nel gioco delle parti le dinamiche economiche dell’acquirente poco riguardano gli allevatori. Ci si potrebbe riappropriare gradualmente dell’apparentemente ovvio principio che il prezzo lo fa chi vende e non chi compra. Una facile obiezione a questo ragionamento potrebbe venire dal mondo del formaggio dove, alla fine, il prezzo del latte alla stalla viene determinato da come è stato venduto. Il monitoraggio del costo di produzione del latte alla stalla è però anche in questo caso di fondamentale importanza anche per giudicare la capacità di chi è preposto a vendere i formaggi. Diverso è il controllo del prezzo di acquisto delle materie prime, ormai gestite a livello globale da poche multinazionali. In questo caso, ma ciò vale per tutti i beni strumentali acquistati dagli allevatori, fa la differenza la capacità contrattuale che può derivare dai gruppi d’acquisto.
E’ nostra ferma convinzione che una gestione del conto economico in stalla non scolastica ma industriale, e quindi con criteri oggettivi, la possibilità di fare confronti su vasta scale in zone omogenee e i gruppi d’acquisto siano i pre-requisiti per poter fare il latte a lungo e trarne profitto. La consapevolezza del break even di stalla e la capacità di ridurlo al minimo permette di fare previsioni a medio-lungo termine e di programmare quegli investimenti necessari a migliorare l’efficienza dell’allevamento.
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