Buona parte degli allevamenti di bovine da latte sono strutturati con pavimenti in cemento e cuccette, senza la possibilità di accesso all’esterno su paddock o pascolo. Questo tipo di stabulazione ha indubbi vantaggi in quanto permette di allevare meno bovine per metro/quadrato e di ottimizzare il costo del lavoro dal momento che la gestione è più semplice. A puro titolo d’esempio, per 100 bovine in lattazione possono bastare per l’area di riposo e d’alimentazione anche meno di m2 700. In questo tipo di stalle la rimozione spesso automatica del liquame e le cuccette con tappeti o materassi riducono ulteriormente la necessità di manodopera. Spesso anche le bovine in asciutta e le manze vengono allevate con queste modalità per le medesime ragioni.

Non disponiamo di dati statistici su come vengano allevate le bovine da latte in Italia e in Europa. Sappiamo che in Israele è stato scelto il compost barn, sia per ridurre la quantità di liquami da smaltire nei terreni che per migliorare la salute e la fertilità delle bovine da latte. Negli Usa, vista anche la vastità e varietà del territorio, il tipo di stabulazione è molto eterogeneo. Grazie alle informazioni contenute nel “Dairy Cattle Management Practices” edizione 2014 (Dairy 2014) dell’USDA possiamo sapere cosa avviene nel 76.7% degli allevamenti e per l’80.3% delle bovine allevate negli Stati Uniti. Il 38.9 % delle bovine in lattazione sono “legate”, ossia a stabulazione fissa. Questa percentuale sale al 58% per gli allevamenti che allevano dai 30 ai 99 capi. In seconda posizione (20%) le stalle descritte all’inizio dell’articolo senza accessi all’esterno. Questa percentuale sale al 51.5% negli allevamenti con oltre 500 capi. Le stalle a stabulazione libera con accessi all’esterno sono invece il 19.7%, con una percentuale che sale al 24.9% negli allevamenti di grandi dimensioni ossia con più di 500 capi. Il pascolamento per le vacche in lattazione viene praticato solo nel 7.5% degli allevamenti. Non molto diversa la situazione per le vacche in asciutta, anche se il 22.7% degli allevamenti alleva questa categoria di animali in recinti all’aperto.

Le stalle per bovine in lattazione e in asciutta a stabulazione libera senza accessi all’esterno e con pavimentazioni in cemento o ricoperte da gomma se pur comode non sono l’ideale per la salute delle bovine e la loro fertilità e, conseguentemente, per il reddito dell’allevatore. Anche se il sistema di rimozione del liquame è perfettamente funzionante e ben gestito, è inevitabile che i piedi delle bovine siano bagnati e sporchi di liquame per buona parte della giornata. Questa è la condizione ideale per il Treponema spp, batterio causa della dermatite digitale, malattia oggi considerata ubiquitaria in questo tipo d’allevamenti e di fatto non eradicabile ma solo limitabile nella prevalenza con grandi sforzi e attenzione.

La scarsa attività motoria è un sicuro fattore di rischio per le malattie del piede bovino di natura non infettiva e classificate nel generico raggruppamento delle laminiti. Il cemento che rapidamente diventa scivoloso, come anche le pavimentazioni in gomma di cattiva qualità, unitamente al dolore podale che deriva dalle dermatiti digitali e dalle laminiti, impediscono alle bovine di “esibire” un corretto comportamento estrale che se assente rappresenta, ove si pratica la fecondazione artificiale, la prima causa d’ipofertilità. In asciutta, ma soprattutto durante la fase di transizione, l’attività motoria ha effetti molto positivi sulla salute delle bovine e non solo per quella podale. Basti pensare che in questo periodo, soprattutto durante la preparazione al parto e nel puerperio, spesso si ha un’elevata produzione di corpi chetonici a causa del bilancio energetico e proteico negativo che è para-fisiologico in questi momenti. Una moderata attività muscolare, e quindi motoria, stimola l’apparato muscolare a consumare a fini energetici i corpi chetonici in eccesso prodotti dal fegato e quindi consente l’adozione di una “terapia naturale” di comprovata efficacia.

A questi aspetti di natura tecnica si sommano quelli “animalisti”. In molti consumatori è radicata la convinzione che alla bovina da latte vada assicurato un adeguato periodo di pascolamento che è stato quantificato in “almeno 100 giorni all’anno”. Per evitare inutili e dannose polemiche con i consumatori e per dare un oggettivo aiuto alla salute delle bovine, e quindi anche ridurre l’uso dei farmaci, invitiamo a considerare razionalmente la possibilità di dare accesso all’esterno sicuramente alle vacche in asciutta e alle manze a fine gravidanza ma anche a quelle in lattazione. Un allevamento di 200 bovine in lattazione ha solitamente non meno di 35 vacche in asciutta e almeno 20 manze negli ultimi due mesi di gravidanza, generalmente stabulate con le bovine in asciutta.

Recintare un ettaro di terreno adiacente e accessibile dalla stalla dove viene allevata questa categoria di animali renderebbe disponibili circa 190 m2 a capo di paddock esterno utilizzabile per molti mesi all’anno, cioè quando è praticabile. Se tale superficie venisse raddoppiata, ossia passasse a due ettari, magari alternabili, nelle stagioni primaverili potrebbe crescere anche erba pascolabile seppur in ridotta quantità. Sottrarre uno o due ettari all’allevamento non crea particolari danni economici. Se venissero sottratti alla coltivazione di una coltura ad alta resa come quella del mais da trinciare, con una resa di q.li 700/ha, ci sarebbe un mancato introito di circa euro 3000, che al netto delle spese risulterebbe di circa euro 700. Investire 700 o 1400 euro l’anno su 55 capi risulta in circa euro 13-26 euro/capo, cifre che avendo ripercussioni benefiche sulla salute, sulla fertilità e la produzione della successiva lattazione possono essere considerate trascurabili.

Questi sono ovviamente conti molto superficiali che hanno il solo l’obiettivo di dare un ordine di grandezza di quanto il concedere ampi spazi esterni possa costare. In questo modo si possono recuperare 60 dei 100 giorni all’anno di pascolo che i consumatori chiedono ora e che probabilmente il legislatore europeo chiederà in futuro. Analogo discorso vale per le bovine in lattazione. Immaginare il pascolo propriamente detto per tutte le bovine allevate nelle pianure irrigue italiane, anche se non per non tutti i giorni dell’anno, è di fatto impossibile. Un pascolo anche se irriguo, in una zona favorevole e gestito con la rotazione potrebbe ospitare per alcuni mesi all’anno, mediamente, fino a 1.5-2 capi adulti per ettaro. Considerando che in Italia si allevano circa 1.800.000 vacche il conto è presto fatto. Diverso è invece, e assolutamente consigliabile per la salute e la fertilità delle bovine, il disporre di ampi paddock esterni per le vacche in lattazione da utilizzare quando le condizioni meteo lo consentono e in ogni momento dell’anno.