Nel vedere crescere i consumi dei cibi ultra-processati, anche definiti junk food o cibo spazzatura, e la continua demonizzazione del cibarsi della carne e dei prodotti del latte ho voluto per una volta diventare “complottista” per capire se tutto questo è una casualità o se si tratta invece di una strategia ordita contro la produzione primaria del cibo. Ho già affrontato questo argomento in due articoli pubblicati su questa rivista, ovvero “I tanti pericoli dei cibi ultra processati” e “Il lento declino del latte e della carne”.
Ricordo solo che un cibo artificiale è costituito da molti ingredienti, la maggior parte dei quali sintetici, e che ha solo un lontano legame con le materie prime classiche, che nel nostro caso sono la carne e il latte. La comunicazione della “carne vegetale”, del “latte vegetale” e degli “hamburger vegani” gioca su questo equivoco per attrarre fasce sempre più consistenti di consumatori. Esistono poi dei cibi talmente artificiali, come le barrette e quant’altro, da segnare una netta discontinuità con un passato fatto di cibi naturali dove la materia prima d’origine era rappresentata in percentuale molto elevata e la sua provenienza aveva un peso importante per orientare i consumi. Alcuni esempi di quest’ultima categoria di prodotti sono il pane, la pasta, i legumi, la frutta, i formaggi e le carni fresche e lavorate. Nel libro “Mercanti di dubbi”, Naomi Oreskes e Erik M. Conway illustrano in maniera molto dettagliata con quale metodo le lobbies, con la complicità di un manipolo di scienziati, abbiano gettato dubbi sulla legittimità di sospettare della tossicità del fumo, del buco dell’ozono, delle piogge acide, del riscaldamento globale, etc., per salvaguardare l’interesse delle multinazionali. In forma più artigianale, abbiamo visto un simile atteggiamento in Italia con il Metodo Boffo, “locuzione utilizzata nel linguaggio politico e giornalistico per indicare una campagna di diffamazione a mezzo stampa che si basa su fatti reali uniti a falsità e illazioni, sia allo scopo di screditare un avversario politico, ma soprattutto per creare un diversivo mediatico per spostare l’attenzione dell’opinione pubblica da temi altrimenti scomodi” (Wikipedia).
Al di là della tentazione “complottista” è bene osservare e non sottovalutare come la carne artificiale, i “latti vegetali” e gli altri cibi ultra-processati stiano entrando nell’immaginario collettivo come i salvatori della salute umana, dell’ambiente e dei diritti degli animali d’allevamento. In questa fase di crescita del consumo di tali prodotti, ancora vengono pubblicati lavori scientifici autorevoli che mettono in guardia sul consumo dei cibi artificiali. Interessante al riguardo l’articolo pubblicato da Marta Strinati su Great Italian Food Trade “Ricerca nutrizionale deviata dalle lobby di Big Food. Nuovo studio“.
Ad osservare bene, anche l’etichetta a semaforo Nutri-Score, tanto voluta dall’attuale governace europea, penalizza fortemente cibi antichi e naturali come i formaggi, i salumi e l’olio di oliva, considerati più dannosi di quelli ultra-processati a patto che questi ultimi abbiano poco sale, zucchero e grassi. Questi tre nutrienti di base possono essere sostituiti facilmente e a basso costo con additivi artificiali che rendono gustosi e attraenti gli alimenti. Fa molto insospettire, e induce a pensare male, che in molti lavori “scientifici” e iniziative educative per la popolazione, come il Nutri-Score, venga omesso l’aspetto quantità quando si parla di cibo. E’ ovvio che mangiare un chilo di carne o di salame al giorno faccia male, così come probabilmente fa male mangiare solo insalata o frutta; ma altrimenti come avrebbero fatto i “mercanti di dubbi” e giganti del cibo a demonizzare gli antichi prodotti della terra? Insospettisce anche che buona parte dei medici veda di cattivo occhio la carne rossa, i formaggi, il latte e il pane, nonostante siano ormai molte le evidenze scientifiche che li assolvono, mentre nulla si dice contro i cibi ultra-processati delle multinazionali del cibo.
Durante le ricorrenti crisi del prezzo del latte, la disperazione di molti allevatori li ha portati ad evocare la chiusura delle frontiere all’importazione dall’estero del latte, dei formaggi e della carne oppure, e con qualche ragione, a lamentarsi dell’atteggiamento predatorio dell‘industria del latte e della GDO. Si parla invece molto poco, a mio avviso, del grave pericolo per l’agricoltura, la zootecnia e la salute umana rappresentato dai cibi ultra-processati, prodotti e gestiti dalle multinazionali del cibo dotate di strumenti di “persuasione” molto efficaci, sicuramenti di più dei pochi spiccioli di cui è dotata la produzione primaria e l’industria di trasformazione.
Quello che a mio avviso è necessario fare è rivedere dal profondo sia il modo di produrre il latte e la carne che, soprattutto, il modo di comunicarlo. In questo modo si può prospettare alla gente e all’opinione pubblica un punto di vista alternativo al Metodo Boffo. Serve inoltre porre un’attenzione particolare sulla strategia che i colossi del cibo ultra-processato stanno mettendo in atto per delegittimare in chiave salutistica ed etica il consumo dei prodotti classificati nelle prime tre categorie della classificazione NOVA.
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