Anche ai negazionisti climatici radicali meglio ammaestrati risulta difficile “negare” che il clima stia profondamente e rapidamente cambiando. Sembra che la terra si stia ribellando all’uomo nella ricerca di un nuovo equilibrio. L’olocausto di 14 milioni di alberi nel nord-est del nostro paese ha terrorizzato tutti e ignorare questo segnale della natura sarebbe un comportamento irresponsabile. E’ giunto il momento in cui chiunque può, deve fare la sua parte nel poco e nel tanto. Il cittadino che vive nei paesi democratici ha in mano due potentissime armi; il voto e gli acquisti. Con la prima può scegliere a chi delegare la gestione della cosa pubblica e del futuro e con la seconda promuovere o bocciare le imprese che hanno o meno comportamenti virtuosi. Purtroppo poco si può fare per condizionare la finanza, ma se mai si inizia mai si finisce. Pensiamo che la gente sia ormai matura e consapevole del fatto che bisogna rapidamente modificare quegli stili di vita e quei comportamenti non più compatibili con i delicati equilibri ecologici del nostro pianeta ma è necessario dargli la possibilità di esprimere la propria volontà.
Gli allevamenti di ruminanti, specialmente quelli di bovine da latte, hanno, come tutte le altre attività umane, una parte di responsabilità nel surriscaldamento della terra. Abbiamo tali e tante conoscenze che ci permetterebbero di ridurre sensibilmente e rapidamente la produzione di CO2 equivalente (CO2e) ma ad oggi, oltre alle innumerevoli pubblicazioni scientifiche, le tante commissioni e gli infiniti workshop, poco è stato fatto concretamente negli allevamenti per ridurre la produzione dei gas serra (GHG) cioè di anidride carbonica, metano e protossido d’azoto.
Ridurre le emissioni di GHG enteriche attraverso la nutrizione è ancora complesso ma fattibile, mentre ridurre quelle derivanti dalle fermentazioni dei liquami nelle vasche di stoccaggio è di semplice, anche se costosa, attuazione. Nella proposta di riqualificazione della produzione del latte bovino che Ruminantia, e aziende come Duregger, Elanco, Inseme, Lorenzi, Rota Guido, TDM, Timazootec, Veronesi e Zoetis, hanno fatto, (Stalla Etica e Latte Etico) l’aspetto di sostenibilità ha un peso rilevante. Il modello “Compost Barn” da noi proposto riduce di più della metà la produzione di liquami da stoccare prima dello smaltimento nei terreni, in quanto le ampie superfici di riposo (minimo 17 m2/capo adulto) vengono giornalmente “coltivate” con un erpice innescando un processo fermentativo aerobico esotermico che fa evaporare l’acqua ma impedisce la produzione di metano che notoriamente deriva dalla decomposizione di sostanze organiche in assenza di ossigeno. L’unico liquame da raccogliere e gestire è quello delle corsie d’alimentazione.
Nel modello da noi presentato è d’obbligo lo stoccaggio delle deiezioni in vasche coperte, anche se ideale sarebbe l’utilizzo in impianti di biogas alimentati con solo liquame. Stalle di questo tipo sarebbero pronte a dichiarare quanta CO2e producono per litro di latte alla stregua di quanto viene dichiarato dalle case automobilistiche relativamente alle emissioni di CO2/Km delle proprie autovetture. Nella recente evoluzione israeliana delle “compost barn” vengono completamente eliminate le corsie d’alimentazione e quindi la produzione di liquame da asportare e stoccare all’esterno.
Le stalle “compost barn” sono molto grandi e possono ospitare impianti fotovoltaici e solari termici e quindi dichiarare per ogni litro di latte quanta energia elettrica “collaterale” viene prodotta e non consumata. Nella Stalla Etica si può produrre Latte Etico con cui fare latte da bere, formaggi e fermentati che il consumatore finale può previlegiare negli acquisti avendo così la possibilità di partecipare alla riduzione dei GHG e quindi alla difesa della temperatura della terra.
La Stalla Etica è anche in grado di dare una risposta rapida e concreta alla riduzione dell’uso dei farmaci (antibiotici e ormoni) e alla liberazione nei suoli d’inquinanti delle acque, come azoto, fosforo e potassio, oltre a garantire un’elevatissima qualità della vita alle bovine.
Anche l’industria lattiero casearia, i caseifici agricoli e i consorzi di tutela possono, se vogliono fare la loro parte nella prevenzione di un ulteriore surriscaldamento del pianeta, offrire ai consumatori prodotti del latte etici, pagando di più gli allevatori virtuosi e quindi condividendo con loro i costi nella ristrutturazione dei propri allevamenti. La politica infine, agendo sullo strumenti legislativo e sugli incentivi economici della PAC, può rapidamente aiutare gli allevatori che vogliono intraprendere questo percorso virtuoso. Indignarsi di cosa l’uomo sta facendo alla natura e quindi a se stesso e guardare con occhi sgranati la furia della natura serve a poco, mentre fare qualcosa subito è alla portata di tutti.
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