Non potevamo non dedicare questo editoriale all’invited review “Learning the future – A vision for dairy farm and cows in 2067”, pubblicata a Maggio 2018 sul Journal of Dairy Science (JDS 101:1-20). Nell’articolo, un nutrito gruppo di scienziati si azzarda a tracciare l’evoluzione che l’allevamento e le bovine avranno nei prossimi 50 anni anche se le “vision” a così lungo termine non sempre si avverano perché l’evoluzione della società umana e delle tecnologie hanno sempre aspetti imprevedibili.
La domanda di prodotti lattiero-caseari crescerà nel mondo per due motivi principali. Il primo è che l’aumento del reddito pro-capite farà crescere la domanda dei prodotti di origine animale, come ben definito dalla FAO “Anche piccole quantità di alimenti d’origine animale possono migliorare lo stato di nutrizione delle famiglie a basso reddito. Carne, uova e latte forniscono proteine con una vasta gamma di amminoacidi e micronutrienti come ferro, zinco, vitamina A, vitamina B12 e calcio di cui molte persone malnutrite sono carenti” (Kourous 2011). Il secondo è che la produzione del latte utilizza meno terra per produrre 1 grammo di proteina commestibile rispetto agli altri alimenti di origine animale e vegetale.
Figura 1. Metri quadrati necessari per produrre 1 grammo di proteine alimentari da varie colture o sistemi di produzione (Clark e Tillman 2017).
E’ condiviso da tutti il fatto che la popolazione mondiale continuerà a crescere. Si stima infatti che nel 2067 raggiungerà tra gli 8.6 e i 12.6 miliardi di persone. Il 93% di questa crescita si concentrerà in Asia ed in Africa, poco nel continente americano ed in Oceania mentre in Europa la popolazione diminuirà di ben il 7%. Metà della popolazione vivrà in 10 paesi che in ordine decrescente sono India, Cina, Nigeria, USA, Pakistan, Indonesia, Congo, Etiopia, Brasile e Bangladesh. La crescita demografica e i cambiamenti climatici faranno diminuire la terra arabile, soprattutto in Asia e Africa, che raggiungerà nel 2067 gli 0.15 ettari per abitante mediamente nel mondo. Attualmente, la terra arabile per abitante è mediamente di 0.2 ettari ed è ripartita in questo modo: 0.59 ettari nel Nord-America, 0.38 in Europa e Asia centrale, 0.28 in America latina e Caraibi, 0.22 in Africa sub-sahariana e medio-oriente, 0.13 in Nord Africa e Asia e 0.10 nel Pacifico. Il cambiamento climatico in atto ha provocato in generale l’alternanza di lunghi periodi di siccità e precipitazioni di carattere estremo.
Attualmente, l’81% della popolazione vive a nord dell’equatore e in queste latitudini viene prodotto l’86% del latte. Ad oggi, i maggiori esportatori di latte sono l’Europa, il Nord-America e l’Oceania. Anche in futuro il prezzo del latte sarà condizionato dal rapporto tra domanda e offerta, anche se questo mercato globale è controllato da 20 multinazionali di cui 10 con sede in Europa, 6 in Nord-America, 2 in Cina, una in Giappone e una in Nuova Zelanda. Il cambiamento climatico tenderà a spostare ancora più al nord le superfici coltivate e gli allevamenti. La Russia è in questo senso una nazione molto avvantaggiata. L’urbanizzazione crescente della popolazione, specialmente in Africa ed in Asia, e conseguentemente il potere di spesa, porteranno ad un aumento dell’attuale consumo medio di latte nel mondo che passerà da kg 87 (base latte fresco equivalente) a persona all’anno a kg 119 nel 2067, rendendo necessari 600 miliardi di chilogrammi di latte in più. Oggi, 274 milioni di vacche producono l’82.4% di latte nel mondo. La sostenibilità sarà il “mantra” che ci accompagnerà verso il futuro. Attualmente, per produrre un chilogrammo di latte (corretto a grasso e proteine), vengono prodotti in Nord-America, Europa, Russia e Oceania, circa kg 1.3 di CO2 equivalente, mentre nell’Africa sub-sahariana kg 7.4.
Le tecnologie genetiche e gestionali permetteranno questa crescita dell’allevamento della bovina da latte. Renderanno possibili stalle sempre più grandi ed efficienti dove sarà necessaria sempre meno manodopera per la presenza della mungitura robotizzata e di robot che puliscono le stalle e preparano la razioni alimentari. I sensori saranno in grado di monitorare costantemente le funzioni metaboliche dei singoli animali, le patologie e addirittura saranno in grado di verificare il DNA dei microrganismi presenti nella mammella per monitorarne le evoluzioni. Tutte le informazioni verranno gestite dall’intelligenza artificiale e saranno di supporto a chi gestisce gli allevamenti. Anche in agricoltura lo sviluppo dei sensori permetterà di seguire le colture, decidere quando e come irrigare e come gestire al meglio fitofarmaci e concimi.
Grande sarà l’evoluzione della selezione con il crescere costante della genomica. La vacca del futuro farà sempre più “costituenti solidi”, ossia grasso e proteine, e conseguentemente latte, ma il focus principale della selezione genomica sarà avere bovine più fertili, longeve e con un sistema immunitario più efficiente, ma anche animali capaci di resistere meglio a specifiche infezioni come l’IBR, la BVD, la leptospirosi, etc. Saranno bovine meno soggette alle malattie metaboliche, allo stress da caldo (gene SLIK), con una migliore efficienza alimentare e che producono in proporzione meno GHG. Nell’era della selezione genetica l’intervallo tra le generazioni è di 7 anni mentre con la selezione genomica arriva a circa 2.5 anni. Con la fecondazione in vitro e il recupero di sperma e ovociti da animali appena puberi questo intervallo può scendere a 17 mesi. Nei ratti sono stati prelevati ovociti vitali da cellule staminali embrionali, per cui in futuro si potranno avere anche per i bovini embrioni genomicamente testati, e questo permetterà di ridurre l’intervallo tra le generazioni al di sotto dell’anno.
La selezione genetica migliorerà le piante coltivate per produrre alimenti zootecnici rendendole più produttive, meno bisognose di concimi e pesticidi e di acqua. Enormi saranno le opportunità che deriveranno da una maggiore conoscenza dell’epigenetica, ossia di come le esperienze metaboliche e sociali acquisite possano avere ripercussioni a lungo termine sulla bovina e sulle nuove generazioni. Oggi sappiamo bene che forti variazioni negative del BCS alla terza e quarta settimana dopo il parto possono avere una ripercussione negativa sul tasso di concepimento oltre la dodicesima settimana. Sappiamo che la riserva di follicoli di una bovina viene stabilita durante lo sviluppo fetale e che la dieta durante lo svezzamento è in grado di condizionare la produzione al primo parto modulando il numero di cellule epiteliali mammarie, ossia quelle che secernono il latte. Un nuovo punto di vista porterà a considerare gli allevamenti come “super-organismi”, ossia complessi sistemi dove gli individui convivono, interagiscono con l’uomo, interpretano la dieta e l’ambiente circostante e si scambiano informazioni. Lo studio di questi sistemi complessi farà meglio comprendere le profonde differenze nelle performance di allevamenti apparentemente simili. Tante opportunità saranno offerte dalla conoscenza dei microbiomi presenti non solo nell’apparato gastro- intestinale, e in particolare il rumine, ma anche della mammella delle bovine e nei terreni dove vengono coltivati gli alimenti per gli animali. La possibilità di manipolare il microbioma delle bovine e della terra offrirà molte opportunità per avere una produzione di latte più sostenibile e più efficiente.
Le stalle del futuro saranno sì più grandi e magari specializzate nelle singole fasi del ciclo produttivo della bovina da latte, ma gli consentiranno di esprimere il loro naturale comportamento e ciò permetterà di avere una migliore fertilità e salute, soprattutto dei piedi.
Di fronte a queste previsioni tutto sommato positive ci sono però tante incertezze che possiamo riassumere traducendo letteralmente… “molte preoccupazioni dei consumatori si concentreranno su pratiche che percepiscono come innaturali come il confinamento delle bovine, l’uso eccessivo dei farmaci, l’allontanamento precoce dei vitelli dalle madri, l’uso eccessivo di concimi e pesticidi e la contaminazione di acque e terreni con le deiezioni animali”.
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