Il calo, se non crollo, dei consumi del latte sembrerebbe preoccupare poco l’industria lattiero-casearia. Sembra che poco interessi la fuga massiccia dei giovani, ossia del nostro futuro, dai prodotti di origine animale, ma d’altronde si sa che i giovani nella nostra Italia sono poco ascoltati dagli anziani e tenuti ai margini. Nei giovani è forte la sensibilità nei confronti ambiente e il sentirsi in colpa nel caso in cui gli animali d’allevamento soffrano.

Molti medici, soprattutto pediatri e nutrizionisti, non conoscono “cosa c’è dietro” alla produzione del latte e della carne e neanche a quella delle verdure per cui, più o meno onestamente, orientano la gente verso lo stile alimentare degli anni bui della guerra e della fame. Un collega ed allevatore di Viterbo mi ha riportato la frase di un’anziana contadina che testualmente recita: “quando eravamo vegetariani per forza avevamo i figli come i rospi”, proprio a sottolineare l’importanza che hanno nel benessere e nella salute dell’uomo la carne e il latte.

Il nostro mondo non ha accesso ai media, e chi lo ha usa sempre un parlare “politicamente corretto”. Equidistante. Il nostro mondo però, ha la possibilità di parlare direttamente alla gente e testimoniare così cosa c’è dietro al latte e alla carne. Continuare ad aspettare che lo facciano la GDO e l’industria-lattiero casearia significa perdere tempo e fino ad ora i messaggi dati sono stati solo contro producenti. Molti, ma ancora troppo pochi, lo stanno già facendo, raccontando nelle scuole l’essere allevatori o aprendo le stalle al pubblico.

Sappiamo quali sono le cose che allontanano le persone dal latte e dalla carne ma sono aspetti che la nostra rivista con il progetto de “La Stalla Ideale” sta cercando di risolvere. Aprire le stalle alla gente servirebbe non tanto per dimostrare la genuinità dei prodotti quanto per far vedere il rapporto e il rispetto che si ha per gli animali e l’ambiente. Le visite devono essere guidate nei punti delicati dove la gente cerca delle risposte. Va ben spiegato perché negli allevamenti da latte si allontana subito il vitello dalla madre e lo si ospita in ambienti dove per le prime settimane è da solo. Va spiegato che è per tutelare la sua salute e che comunque dal secondo-terzo mese vivrà insieme alle altre vitelle per poi incontrare di nuovo la madre quando comincerà a produrre latte. Se poi l’allevamento è ben strutturato vedranno che non perderà il contatto visivo e uditivo con la madre almeno nei primi giorni dopo il parto e che le cosiddette gabbiette permettono comunque un’interazione tra i vitelli. Va poi raccontata alle mamme la profonda similitudine che c’è nella gestione dei bambini dalla sala parto in ospedale fino all’ingresso negli asili.

Altro disagio lo crea ai consumatori il fatto che le bovine vivano senza la possibilità di uscire all’esterno. Perché non risolverlo, ben sapendo che le vacche escono dalla stalla solo se questa è scomoda e disagevole? Se poi è una questione di vita o di morte il non voler vedere gli autocatturanti e a volte le cuccette, perché non rimuoverle? Infine l’allevatore, che ha per definizione un rapporto sano con la natura, senza scomodare antropologi e filosofi può spiegare perché ad un certo punto un animale che produce latte e carne viene allontanato dall’allevamento per continuare a produrre cibo per l’uomo.

Forse la vera partita di rassicurazione dei consumatori e dei medici si giocherà proprio negli allevamenti e ciò comporterà l’inevitabile crescita dei negozi aziendali e quindi un radicale accorciamento della filiera, un po’ come successe anni fa per il vino dove l’etichetta racconta una storia e le cantine sono aperte a chiunque le voglia visitare. Si dice che di necessità si fa virtù e forse questo disinteresse o incapacità della GDO, o dolo di una grande parte dell’industria lattiero-casearia, a dare messaggi veri che parlano alla testa e al cuore della gente potrebbe essere la salvezza degli allevamenti italiani. “Mors tua vita mea” recita la celebre locuzione latina.