Le infezioni dell’utero hanno un impatto significativo sull’attività riproduttiva che si manifesta con una riduzione piuttosto marcata della probabilità che una bovina diventi gravida. Al di là dell’effetto negativo diretto che un processo infiammatorio ha sull’ambiente uterino, sono sempre più numerose le evidenze del fatto che il complesso metrite-endometrite può avere delle conseguenze a lungo termine sulla fertilità attraverso l’alterazione di alcuni segnali endocrini e della funzione dell’ovaio.
Le infezioni dell’utero sono abbastanza comuni nelle bovine da latte e dipendono da una serie numerosa di fattori di rischio che si concretizzano grazie ad un danno tissutale uterino dovuto a distocia, ritenzione di placenta, parto pretermine ecc. oppure per l’alterazione del metabolismo in seguito a chetosi o ipocalcemia. Questi elementi, insieme ad altri fattori predisponenti, quali una scarsa igiene ambientale, la presenza di microrganismi patogeni, l’efficienza del sistema immunitario ecc., comportano un aumento significativo della probabilità di sviluppare un’infezione.
Il danneggiamento dei tessuti dell’utero, combinato alla colonizzazione di microrganismi patogeni, determina l’attivazione del processo infiammatorio ed il reclutamento di cellule del sistema immunitario. L’obiettivo è quello di eliminare l’infezione, riparare il danno tissutale e restituire la completa funzionalità dell’utero. Nel frattempo però la produzione di alcune sostanze di origine cellulare (ad es. citochine) e di derivazione batterica (ad es. lipopolisaccaridi della parete) impatta negativamente su alcune funzioni base necessarie per una buona fertilità. I lipolisaccaridi (LPS) sono sostanze estranee all’organismo animale che si producono in seguito all’infezione di batteri gram negativi, principalmente Escherichia coli, e rappresentano la classe di sostanze che risulta avere l’impatto negativo maggiore sulla funzionalità ovarica. I LPS sono molecole della parete cellulare che si liberano con la morte dei batteri e, passando nel circolo ematico, possono esprimere il loro effetto patogeno su organi e apparati distanti dal sito da cui sono stati liberati. È molto importante sapere che quello che stiamo riportando non si limita alle infezioni uterine ma è riproducibile con qualsiasi altro evento patologico caratterizzato da un’infezione sostenuta da batteri Gram negativi (mastite, enterite ecc.).
I meccanismi patogenetici che legano le infezioni dell’utero all’attività ovarica prevedono l’alterazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-ovaio ed una ridotta qualità del follicolo ovarico e dell’ovocellula in esso presente. In particolare:
- Impatto sui segnali endocrini dell’asse ipotalamo-ipofisi-ovaio e dell’apparato genitale.
I lipopolisaccaridi che si producono durante un’infezione dell’utero, attraverso il sangue, arrivano al cervello determinando una ridotta liberazione dell’ormone gonadotropo (GNRH) da parte dell’ipotalamo. La conseguenza logica è una ridotta pulsatilità dell’ormone luteinizzante (LH) che si manifesta con un effetto depressivo sullo sviluppo del follicolo ed un maggiore rischio di ovulazioni ritardate e anaestro anovulatorio. L’esposizione ai LPS modifica la produzione di estradiolo per mezzo di un’azione inibente diretta sulle aromatasi. Ricordiamo che le aromatasi sono sostanze enzimatiche, prodotte dalle cellule della granulosa, responsabili della biotrasformazione del testosterone in estradiolo. Infine, i LPS si rendono responsabili, nell’endometrio, della modificazione molecolare delle prostaglandine che vengono convertite da PGF2α (ad attività luteolitica) a PGE2 (ad attività infiammatoria). Ciò è alla base del fenomeno del prolungamento della fase luteale (c.d. corpo luteo persistente), molto comune nelle bovine affette da endometrite o piometra.
- Impatto sull’attività ovarica.
Le cellule della granulosa esposte ai LPS dei gram negativi ed al peptidoglicano, principale componente della parete batterica dei gram positivi, esprimono una risposta infiammatoria acuta. Herath et al. nel 2007 ha documentato la presenza di LPS nel liquido follicolare e quindi la possibilità di un accumulo antrale oltre ad un contatto per via ematica. Nello specifico, le cellule della granulosa iniziano il processo infiammatorio perché esprimono sulla loro membrana cellulare un particolare tipo di recettori chiamati TOLL-LIKE receptors. Il bovino ha 10 recettori Toll-like, quattro di essi intracellulari (3, 7, 8 e 9) e i restanti sei extracellulari. I recettori Toll-like extracellulari si legano ad alcuni componenti lipidici della parete batterica (ad esempio i LPS) mentre i recettori Toll-like intracellulari si legano agli acidi nucleici dei microrganismi; in entrambi i casi l’unione antigene – recettore attiva il processo infiammatorio. Le cellule della granulosa esprimono il recettore Toll-like n. 4 che è di membrana e si lega ai LPS. Oltre all’effetto dei LPS sull’attività aromatasica delle cellule della granulosa visto in precedenza, il legame con il recettore Toll-like stimola la produzione di interleuchina (soprattutto interleuchina-6) da parte delle cellule del cumulo ooforo (dove è contenuta l’ovocellula). L’interleuchina-6, insieme a numerosi altri fattori immunologici, è di importanza critica per il corretto sviluppo dell’ovocellula ed un suo incremento esita in un danneggiamento della maturazione follicolare.
I meccanismi precedentemente enunciati spiegano con accuratezza l’effetto di un’infezione sulla funzionalità follicolare ma limitatamente ad una condizione acuta, a breve termine. Ben più interessante, soprattutto ai fini pratici, è l’effetto a lungo termine sulla funzionalità ovarica. Le bovine che hanno superato con successo una’infezione uterina manifestano delle perfomances riproduttive peggiori, mettendo in evidenza un probabile effetto negativo differito nel tempo. Un’ipotesi interessante, avanzata da Bromfield et al. nel 2015, propone una possibile interferenza dei mediatori del processo infettivo sullo sviluppo dei follicoli più piccoli, compresi i follicoli allo stadio primordiale. Il follicolo primordiale è formato da un piccolo oocita circondato da un unico strato di cellule estremamente appiattite. L’attivazione del follicolo primordiale (in genere a gruppi di varie decine), attraverso un meccanismo ormono-dipendente, comporta l’evoluzione dei follicoli gametogeni in una serie di stadi caratteristici: follicolo primario, follicolo secondario, follicolo terziario o vescicoloso ed infine follicolo maturo. Di tutti i follicoli primordiali attivati, solo una piccola percentuale arriverà allo stadio di follicolo maturo (o pre-ovulatorio) ed il resto andrà incontro a degenerazione più o meno precoce (atresia). I follicoli primordiali rimangono tali fino a quando non viene rimosso il blocco esercitato da alcuni fattori di inibizione che li mantiene in uno stato di quiescenza.
L’esposizione di questo tipo di follicoli ai LPS comporta la loro attivazione inappropriata in follicoli primari, con un conseguente impoverimento della riserva di follicoli primordiali. In altre parole, i LPS comporterebbero l’attivazione precoce di un gran numero di follicoli primordiali il cui destino è la degenerazione; questo evento determinerebbe un depauperamento della popolazione di follicoli primordiali disponibili ad attivarsi per formare le successive coorti delle ondate follicolari. La conseguenza logica sarebbe l’alterazione a lungo termine della fertilità a causa di un pool insufficiente di follicoli primordiali a sostegno di ondate follicolari soddisfacenti. Sempre secondo Bromfield et al., il reclutamento e l’attivazione inappropriata dei follicoli primordiali potrebbero essere attribuiti all’attivazione dei recettori Toll-like 4 e la produzione di interleuchina 6 (IL-6) per mezzo del contatto con i lipopolisaccaridi (LPS).
Lo spostamento di interesse della buiatria da un approccio quasi esclusivamente terapeutico ed interventistico ad uno di tipo preventivo presenta degli indubbi vantaggi economici e sanitari. La valutazione dell’effetto delle infezioni uterine sull’attività ovarica ne è un esempio magistrale. L’approccio “curativo” che contraddistingue la professione buiatrica ha permesso di ottenere risultati estremamente positivi con strategie terapeutiche sempre più efficaci ma, come abbiamo avuto modo di constatare, una terapia tempestiva ed appropriata, pur determinando la guarigione clinica ed un ritorno alle normali produzioni, non è sufficiente a proteggerci da un possibile effetto negativo a lungo termine.
Nel prossimo futuro lo sforzo professionale dovrebbe essere teso ad evitare l’espressione della malattia in modo da permettere alla bovina di poter esprimere tutto il suo potenziale senza interferenze, andando ad adottare tutte le possibili strategie di prevenzione e diagnosi precoce e limitando l’intervento terapeutico ad un numero sempre più ridotto di soggetti.
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