Analisi dell’evoluzione dei ricavi, dei costi operativi, dell’utile di esercizio nell’ultimo anno e prospettive legate all’evoluzione della crisi energetica ed alla siccità 2022.

La tempesta perfetta che ha colpito il nostro settore è iniziata con l’aumento di valore delle commodities avvenuto gradualmente nel corso del 2021 a fronte di un valore del latte che, salvo la zona Parmigiano Reggiano, ed in minor misura per l’altra grande DOP, il Grana Padano, fino a ottobre/novembre 2021 si attestava attorno a 0,37-0,38 € al litro.

Il valore di 1 kg di ss della razione di una vacca in lattazione, che si aggirava tra 0,23 e 0,24 € nella primavera 2021, è arrivato senza colpo ferire a 0,32/0,34 verso la fine dell’anno. In queste condizioni l’IOFC, in un’azienda mediamente condotta, era di 5/6 € capo/giorno e i costi alimentari rasentavano il 60% dell’incasso latte, creando una situazione di oggettiva difficoltà. Il valore del latte, a sua volta, stentava ad adeguarsi ai valori internazionali considerando che, per la prima volta, il latte italiano veniva esportato.

Inoltre, in questo lasso di tempo, dal punto di vista macroeconomico sono avvenute congiunture che normalmente hanno ritmi di lungo periodo ed invece hanno assunto cadenze turbinose. A questo si è aggiunta la guerra in Ucraina, con la conseguente crisi energetica. Tutto ciò ha contribuito a confondere ulteriormente la prospettiva a medio termine, rendendo gli operatori del settore, ed in particolar modo gli allevatori, molto nervosi ed incerti sulle scelte da farsi, specialmente da ottobre 2021 a marzo 2022.

La svolta è avvenuta con l’annuncio di Granarolo di voler assicurare ai propri soci il prezzo base di 0,42 €/litro, arrivato poi a 0,48 a marzo 2022. Entrambe queste operazioni hanno fatto da battistrada ad un simile riconoscimento anche da parte degli altri trasformatori. È notizia di un mese fa l’ulteriore adeguamento ad un valore che partendo da 0,53 a luglio, raggiungerà, a fine anno, i 0,60 €/litro. Quindi, di fatto, l’aumento dei costi alimentari del 40% è stato seguito, con sei mesi di ritardo, da un adeguamento di pari entità del valore del latte, rendendo l’atmosfera più tranquilla.

Per quanto riguarda l’aspetto energetico, il prezzo del kw elettrico e del metano, già aumentati precedentemente grazie all’effetto Ucraina, ha più che decuplicato il loro valore; tant’è che oggi, nel mercato tutelato, l’energia elettrica vale 0,276 kwora e il prezzo del metano ha superato 1,50 € per smc.

Tutto questo ha causato un ulteriore aumento dei costi generali per le aziende zootecniche da latte, notoriamente molto energivore.

A titolo meramente esemplificativo, alleghiamo la seguente tabella riguardante un’azienda di vacche da latte in Lombardia molto ben condotta, con circa 215 animali in lattazione di cui 170 sotto robot e 45 in sala di mungitura non aderente a disciplinari DOP. Il paragone tra i primi 7 mesi del 2021 e lo stesso periodo del 2022 è stato scelto casualmente, quindi la tabella va contestualizzata:

Osservando questi valori, si possono verificare tutte le variazioni sopra esposte: aumento del valore del latte, aumento del costo alimentare (pur essendo questa un’azienda che autoproduce 17-18 kg di ss per vacca), raddoppio del valore delle utenze elettriche e del valore di acquisto del gas e del gasolio; dal punto di vista zootecnico va considerato che l’aumento produttivo è stato di circa 2,5 litri di latte e l’aumento di consumo di sostanza secca è stato di circa 1,5 kg. Inoltre, l’aumento dei ricavi per vendita animali va ascritto alla nuova pratica di vendere animali da vita per non sovraffollare la stalla. Il dato finale è sicuramente confortante e permette di guardare al futuro con una certa serenità. Crediamo che con tutte le differenze gestionali del caso, questo atteggiamento possa essere esteso a tutto il settore, pur mantenendo le differenze di valutazione legate all’efficienza gestionale dell’azienda.

Quest’estate la siccità ha ulteriormente rimescolato le carte facendo aumentare i prezzi del mais e dei suoi derivati e dei foraggi: il suo effetto rischia di cambiare ancora una volta il paradigma produttivo.

Infatti, la principale commodity del nostro settore, il mais, nell’ultimo periodo è ulteriormente aumentata. Inoltre, le produzioni della campagna 2022 sono state, nella maggior parte dei casi, scarse o di scarsa qualità, e ciò fa pensare che difficilmente assisteremo ad un calo del prezzo con il nuovo raccolto, e che la qualità del prodotto (aflatossina b1) metterà a rischio sanitario le produzioni. Questo fenomeno probabilmente condurrà ad un ulteriore aumento del prezzo del mais garantito < 5 ppb di Aflatossina B1.

Inoltre, gli stock, molto inferiori a parità di superfici produttive, a quelli degli anni passati, costringeranno gli allevatori a ripensare profondamente alla programmazione colturale. Nella maggior parte delle aziende l’autoproduzione di fieno si è assai ridotta, e le aziende agricole che riforniscono di foraggi i produttori di latte hanno anch’esse subito la siccità producendo pochi fieni e di scarsa qualità; tutto questo ha ulteriormente fatto rincarare il prezzo dei fieni. Una strategia interessante è stata quella di seminare il sorgo multisfalcio dopo i raccolti di mais precoci, così come potrebbe essere una carta vincente aumentare la produzione di foraggi autunno vernini, basando su questi ultimi la razione dell’estate 2023. Inoltre, l’acquisto dell’ultimo taglio umido di erba medica dai produttori che, per ragioni metereologiche non riescono ad essiccarla, potrebbe essere una via percorribile.

Per quanto riguarda il capitolo mais, potrebbe essere interessante la sostituzione con sottoprodotti dell’industria dolciaria o sfarinati di cereali invernali.

Naturalmente esiste anche l’opzione di calare l’amido della razione aumentando il quantitativo di zuccheri.

Concludendo, l’ultimo anno è stato un continuo saliscendi per i produttori di latte e le prospettive nell’immediato futuro esigono imprenditorialità, flessibilità e ottimizzazione di tutti i processi produttivi.