L’ingestione (DMI) e la selezione genetica sono i due fattori chiave per far convivere una produzione di latte la più elevata possibile con una buona salute e fertilità nei ruminanti da latte. La ricerca si è soffermata in particolare sulla bovina da latte, per cui in questa revisione narrativa ci focalizzeremo su questa specie.

Vista la ormai elevata capacità di fare latte di razze come la frisona, ci si chiede già quale sia il loro limite produttivo. Ovviamente è saggio da un punto di vista economico che la produzione di latte, la fertilità e la salute si evolvano positivamente e contemporaneamente, e non una scapito dell’altra. Gli allevamenti di frisona italiana soci di ANAFIBJ hanno ormai raggiunto nel 2022 la media procapite di 10710 kg di latte e, come abbiamo evidenziato in un articolo pubblicato su Ruminantia a Maggio 2021, nel mese di Aprile 2014 i capi con produzione media superiore a 40 kg di razza frisona erano il 17.2% mentre nel 2021 sono diventati il 28.3%, con un incremento quindi dell’11.1%. Sempre ad Aprile 2021 la percentuale di allevamenti con una media procapite > 40 kg di latte era il 26.9%, e quindi oltre 1 azienda su 4.

E’ plausibile pensare che nel 2022, nonostante le avverse situazioni climatiche e gli elevati costi di produzione, tale percentuale possa aver superato il 30%. Produzioni così alte devono essere supportate da ingestioni di sostanza secca (DMI) altrettanto elevate. Esiste una importante correlazione tra l’ingestione e il parametro “efficienza alimentare”, che è utilizzato per monitorare direttamente la razione e indirettamente il benessere degli animali. Se le bovine in lattazione avessero mediamente un’efficienza alimentare di 1.6, considerata molto elevata e quindi auspicabile, ciò significherebbe che 1 kg di sostanza secca ingerita può essere convertito in 1.6 kg di latte. Se l’ingestione media fosse di 25 kg, la produzione attesa potrebbe essere di 40 kg di latte. Considerando che è raro trovare un allevamento che esprima al 100% il suo potenziale produttivo rispetto al livello genetico medio dei suoi animali, è ragionevole pensare che gli aumenti della capacità d’ingestione e un mantenimento dell’efficienza alimentare (FE) anche solo a 1.5 possa facilmente posizionare la produzione media ben oltre i 40 kg.

Solo per comodità si tende a formulare le razioni per bovine da latte calcolandone la concentrazione dei nutrienti come le proteine, l’amido e l’energia. In realtà, al fine di “coprire” i fabbisogni di mantenimento, crescita, riproduzione, produzione e immunità, agli animali interessa la quantità di nutrienti disponibile non la loro percentuale nella dieta. Se ad esempio si formula una razione al 16% di proteine e al 27% di amido (sulla sostanza secca), nel caso in cui le bovine in produzione ne ingerissero come sostanza secca 24.5 kg assumerebbero 3920 grammi di proteina e 6615 grammi di amido al giorno. Se l’ingestione fosse invece di 27 kg, con la stessa razione l’apporto giornaliero di proteina sarebbe di 4.300 grammi e quello di amido di 7.290 grammi. Arrotondando molto, è come se nel secondo caso le bovine ingerissero al giorno 1 kg in più di soia f.e. 44% e 1 kg di farina di mais.

Basarsi esclusivamente solo sulla concentrazione nutritiva delle razioni per apportare la più grande quantità possibile di nutrienti alle bovine “fresche” ha dei limiti intrinseci per la fisiologia ruminale. Diete molto concentrate e ricche di amido (percentuale) causano riduzioni del pH ruminale molto vicine al cut-off dell’acidosi ruminale sub-clinica perché per realizzarle si deve ridurre la concentrazione proteica e aumentare la concentrazione di amido a scapito delle fibra effettiva (peNDF) e quella da foraggi (FNDF). Da questo semplice esempio si evince facilmente che comprendere intimamente i fattori che condizionano l’ingestione di sostanza secca nella bovina da latte può permettere di ottimizzarla e far esprimere al meglio il loro potenziale produttivo degli animali senza compromettere la loro salute. 

Il controllo dell’ingestione da parte dei bovini e degli altri ruminanti è piuttosto complesso. Segnali di stimolo provenienti da specifici sensori sociali, circadiani e abitudinali, e segnali inibitori come la distensione reticolo-ruminale, l’osmolalità ruminale, segnali endocrini e provenienti dai tessuti, vengono elaborati e recepiti a livello ipotalamico in un gruppo di neuroni anche chiamati “centro della fame e della sazietà”.

Molte sono state le teorie che negli anni sono state proposte per capire come si regola l’ingestione: il riempimento fisico del reticolo-rumine ( Allen 1996 ), il feedback dei fattori metabolici (Illius e Jessop 1996), il consumo d’ossigeno (Ketelaars e Tolkamp 1996) e l’ossidazione epatica ( Allen 2005 ).

Probabilmente a stimolare la fame, ossia il nutrirsi, e lo smettere di farlo, ossia la sazietà, sono un insieme di fattori che agiscono in maniera sinergica o competitiva quasi contemporaneamente. Nel sacco craniale del reticolo esistono dei recettori di tensione che, tramite il sistema nervoso periferico, inviano segnali alle strutture ipotalamiche che controllano la fame e la sazietà. Sia il peso della razione che il volume sono in grado di generare segnali destinati al sistema nervoso centrale. L’ingestione di sostanza secca viene ridotta di 112 grammi per ogni kg di peso della razione e di 157 grammi per ogni litro di volume. Anche l’abomaso è coinvolto nella limitazione fisica dell’ingestione, essendo anch’esso dotato di meccanocettori presenti nell’epitelio di questo organo.

L’ingestione di foraggi subisce molto la limitazione della concentrazione di NDF, che è comunque in generale il nutriente più correlato con l’ingestione a causa del volume che genera. C’è da tenere presente, ma ciò è ben noto ai nutrizionisti, che è soprattutto la quota di NDF indigeribile (uNDF) ad essere il fattore più limitante l’ingestione. Tra le “regole” di stesura di una razione per bovine in lattazione si cerca di mantenere il limite dello uNDF tra lo 0.36-0.41% del peso vivo (0.29-0.35% per quelle fresche). e più in generale in molti ritengono che la bovina possa ingerire una quantità di NDF totale pari all’1.2-1.4% del suo peso. Pur tuttavia, è stato sperimentalmente osservato che la sostituzione in quota parte dell’NDF totale con NDF da concentrati fibrosi (NFFS) come le buccette di soia, i cruscami e le polpe di bietola non dà significativi vantaggi all’ingestione di sostanza secca. Molto condizionante sembra invece essere la digeribilità dell’NDF che varia in funzione del fatto che i foraggi siano leguminose o graminacee, dello stadio vegetativo e in generale del livello di lignificazione.

Ogni unità di crescita della digeribilità dell’NDF (NDFD) corrisponde a 0.17 kg al giorno di aumento della DMI e a 0,25 kg di incremento di latte corretto a grasso (FCM). Sono invece pochi gli effetti sull’ingestione del tipo di granulometria dei foraggi e della loro “friabilità”. Secondo un’altra teoria, gli animali mangiano per controbilanciare con l’energia prodotta quella consumata. Il glucosio, e quindi la glicemia, hanno poco effetto sulla DMI dei ruminanti mentre l’effetto ipofagico del propionato è stato bene documentato ed anche sicuramente superiore a quello dell’acetato.

Molto interessante è la teoria dell’ossidazione epatica presentata da Russek nel 1963 che introdusse l’idea che è il fegato ad essere principalmente coinvolto nella stimolazione della fame e della sazietà perché ha un ruolo centrale nel metabolismo degli animali. I segnali da fegato arrivano al cervello tramite il sistema vagale, e sono condizionati dall’ossidazione epatica dei “combustibili” e la generazione dell’ATP.

Il fegato è il sensore primario dello status energetico perché è un organo anabolico chiave. Il flusso dei propionati di derivazione ruminale aumenta molto durante i pasti, e ciò causa primariamente segnali di sazietà. Il fegato dei ruminanti ha un’alta attività dell’enzima propionil CoA sintetasi.

Conclusioni

La piena consapevolezza dei meccanismi che sono in grado di condizionare la capacità d’ingestione aiuta a controllarli in considerazioni anche delle possibilità offerte dai software di razionamento. Di grande importanza è la conoscenza e l’utilizzo delle equazioni di previsione dell’ingestione attraverso le quali è possibile prevedere l’ingestione teorica e confrontarla periodicamente con quella effettiva nei vari gruppi di animali.

Tra le tante equazioni disponibili segnaliamo quelle incluse nel NASEM 2021:

  • DMI (kg/die) = [3.7 + n° parti x 5.7) + 0.305 x energia del latte (Mcal/die) + 0.022 x peso corporeo (kg)+ (0.689-1.87x n° parti) x BCS] x [1 – (0.212 + n° parti x 0.136 x e (- 0053 x giorni medi lattazione)

Come numero di parti inserire 0 se sono primipare e 1 se sono pluripare. Per il BCS utilizzare la scala 1-5.

  • DMI (kg/die): 12.0 – 0.107 x fNDF + 8.17 x ADF/NDF + 0.0253 x fNDFD – 0.328 x (ADF/NDF-0.602) x (fNDF-48.3) + 0.225x kg di latte prodotti al giorno + 0.00390 x (fNDF-48.3) x (kg di latte prodotti al giorno – 33.1)

La prima equazione si basa molto su fattori “animali” mentre la seconda su aspetti legati alla concentrazione e alla qualità della fibra.