Nelle scorse settimane, durante le proteste con i trattori sulle strade, è stato posto con determinazione l’accento sulla questione del giusto prezzo al quale le aziende agricole pongono sul mercato i prodotti del proprio lavoro. Si tratta di un argomento gigantesco in ogni angolo del mondo, basti pensare alla produzione di caffè, banane o cacao ed alle formidabili implicazioni che questo comporta.
Dato che quel briciolo di competenza che ho riguarda la produzione di latte nel nostro Paese, di quella parlo. Avverto che è possibile che alcuni ragionamenti possano essere totalmente diversi per chi produce grano, frutta, insalate o altro. A mia insaputa, direi. Segnalo peraltro che esistono diverse definizioni di giusto prezzo.
Per giusto prezzo, definiamo ora che si intenda un prezzo di vendita del litro di latte che renda possibile coprire Opex e Capex, i costi operativi e del capitale e consenta un utile tale da rendere affrontabili i rischi d’impresa. Tutti d’accordo fino a questo punto. Dato che il diavolo si nasconde nei dettagli, proviamo ad approfondire la questione.
Se vogliamo che il giusto prezzo copra i costi di produzione, da questi è necessario partire. Iniziamo con i costi operativi che sono quelli che le aziende affrontano nel quotidiano per mandare avanti l’attività. Ci si riferisce ai costi alimentari, alle utenze, ai farmaci, al seme, alla manodopera, alle manutenzioni, ecc.
Quali costi utilizziamo come riferimento? I costi medi? Se così facciamo, una buona parte delle aziende non sarà d’accordo perché, per definizione, attorno ad una media ci sono aziende che hanno costi più bassi ed altre che hanno costi più alti. Per i dati reali in nostro possesso, aggiornati al 2023, ad un costo medio operativo di 54,4 centesimi per litro, corrispondono estremi pari a 44,5 centesimi al litro per il più basso e 67,1 centesimi al litro per il più alto. Tra il minimo ed il massimo c’è uno spazio di circa 23 centesimi: un’enormità!
Ne deriva che il giusto prezzo è diverso per ogni azienda. Se fosse possibile e, per un finto spirito di solidarietà, scegliessimo come riferimento il prezzo più alto, ne deriverebbe che le aziende con i costi più bassi guadagnerebbero cifre veramente importanti rispetto ad altre che riuscirebbero soltanto a coprire i propri costi. Di conseguenza, le prime avrebbero a disposizione risorse importanti da investire grazie alle quali diventerebbero ancora più efficienti, creando ulteriore divario con le aziende con i costi più alti. Sappiamo bene come finisce la storia.
Non possiamo peraltro far finta di non sapere che siamo inseriti in un contesto internazionale ed il prezzo di un prodotto non lo si può stabilire per decreto in una singola area o Paese. Se altri Paesi, tutto il mondo in verità, non facessero scelte analoghe, in brevissimo tempo il nostro comparto andrebbe in sofferenza.
I dati che ho appena fornito si riferiscono all’attività che, come Farm Consulting, svolgiamo per le aziende di vacche da latte. Si pone subito un’altra questione: quali dati utilizziamo per definire i costi e, di conseguenza, il giusto prezzo? Utilizziamo dati reali, derivanti da registrazioni di aziende vere o dati stimati? La questione non è banale in quanto non è raro vedere pubblicazioni seguendo le quali le aziende, mediamente, da anni, sarebbero regolarmente in perdita; cosa che appare in contrasto con la realtà dei fatti.
Mi pare pertanto che, nel nostro settore, la questione abbia alcune componenti imprescindibili, tra le quali: si parla di giusto prezzo all’interno di una filiera che va dal produttore ed arriva sulla tavola del consumatore. Della filiera fanno parte diversi attori; la forza di ognuno di questi attori contribuisce a definire come ci si spartisce la cifra che il consumatore spende.
Come primo anello della filiera, soffriamo di una debolezza strutturale dovuta al fatto che siamo l’anello debole; ciascuna azienda agricola, per grande che sia, è un vaso di coccio tra vasi di ferro. Finché ci comporteremo da splendidi solitari, i rapporti di forza non potranno cambiare ed il percorso verso il giusto prezzo rimarrà una chimera.
Ciascuna azienda deve fare i conti con i propri costi di produzione: deve anzitutto conoscerli e, conoscendoli, può lavorare per fare parte di coloro che hanno i costi di produzione più bassi. Se ciascun produttore non conosce il proprio costo di produzione, reale e misurato e non stimato o calcolato da altri, di che parliamo?
Chiedere al prezzo del latte di essere così “giusto” da coprire i nostri costi, qualunque essi siano, è una richiesta senza senso. Sono consapevole di esprimere un’opinione ruvida, che non blandisce; tuttavia, se vogliamo risolvere i problemi, la prima cosa da fare è dirsi con chiarezza anche cose scomode, ammesso che siano vere. Da lì si parte per migliorare.
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