Quando un’azienda non “gira” in modo soddisfacente, ed i tentativi di rimettersi in carreggiata non danno i risultati sperati, c’è la possibilità di affrontare problemi aggrovigliati utilizzando un approccio diverso. Non tanto attraverso il semplice cambio di uno dei fattori di produzione (il mangime, il capo stalla, l’alimentarista, il veterinario, il carro unifeed, ecc) quanto invece proprio del metodo di conduzione aziendale. Dopo aver effettuato un Audit, (cfr. numero precedente di Ruminantia) e con esso individuato i punti di forza e le criticità dell’azienda, è necessario definire quali sono gli obiettivi che il titolare dell’azienda si pone. Potrà sembrare una domanda con una risposta ovvia: l’obiettivo è guadagnare, che diavolo!

Le risposte sono invece quanto mai varie: alcuni vogliono poter arrivare in modo onorevole alla pensione vicina; altri vogliono cedere l’azienda; altri vogliono “giocare” a fare gli imprenditori agricoli; altri vogliono fare bene il proprio pezzo di lavoro ma nulla possono verso il fratello, il padre o chi altro abbia la responsabilità di altri settori aziendali.

Dal mio angolo di visuale del mondo zootecnico, credo che siano pochi, sottolineo pochi, i titolari d’azienda ad avere chiarezza sugli obiettivi da raggiungere a medio termine. Spesso gli obiettivi sono di cortissimo raggio: il prossimo taglio di fieno, i parti delle prossime settimane, il prezzo del latte in questo autunno che inizia, il pagamento di fornitori-affitti-cambiali agrarie-mutui.

Per quanto sia importante e utile fare in modo che le problematiche imminenti siano condotte in porto, ritengo decisivo, oggi,  chiedersi cosa vorremmo essere tra cinque anni.  Un tempo non impossibile ma neppure imminente. In questo orizzonte temporale, si possono collocare sia la gestione della quotidianità sia le strategie da perseguire. Ovviamente tra i due orizzonti ci deve essere coerenza.

Cercare efficienza e reddito con un’azienda di 80 vacche, poca terra e due o tre componenti della famiglia che vi operano può non essere sufficiente. Date queste condizioni, l’argomento di un ampliamento si pone e, con esso, la necessità di produrre più rimonta e dunque usare oggi a tappeto seme sessato. Che senso ha, d’altro canto, produrre  rimonta in eccesso in un’azienda con strutture al limite della loro capienza?

Avere in ingresso nuova disponibilità di lavoro familiare, può indurre, in un’azienda di circa 300 vacche, a sviluppare ragionamenti circa un piccolo impianto di biogas da 99 kwh.

Due aziende per le quali la dimensione ridotta costituisca un limite al reddito, potranno forse pensare a forme di collaborazione se non anche di fusione? Pensiamoci: normalmente si tratta di dimezzare gli investimenti di trattori, macchinari, carro unifeed e sale di mungitura. Sempre, gli strumenti di lavoro, che costituiscono investimenti fenomenali, vengono utilizzati per un numero medio di ore giornaliere davvero incompatibile con l’investimento richiesto.

Sono solo esempi, per i quali immagino che un discreto numero di aziende avranno sviluppato obiezioni utili a condividere il ragionamento, eccetto che per applicarlo a se stessi.

Definire le strategie, gli obiettivi a medio termine, serve anche a questo: ciò che ci poniamo come traguardo e verso cui indirizziamo ogni scelta aziendale, è davvero il porto sicuro verso cui desideriamo muovere?