Abbiamo più volte riportato, sia nella rubrica Etica & Salute che nel manuale e nelle linee guida della Stalla Etica, come alla base della riduzione del consumo di latte e dei formaggi ci sia un disagio etico dei consumatori e come la crisi economica non sia quindi l’unica, o la più importante, ragione per spiegare questo fenomeno. Nel periodo 2012-2016, secondo la fonte Ismea-Nielsen, il consumo di latte è calato mediamente del 7%, con punte di -15.8% nelle famiglie con più alto reddito e di – 21% negli under 34 anni. In calo anche i consumi di formaggio che, nel solo 2016, hanno subito una riduzione del 4.5%. Identica la tendenza alla riduzione nel consumo delle carni. Negli ultimi 10 anni si è infatti passati dai kg 25 ai kg 17 pro-capite.

La gente, soprattutto chi vive nelle città (67% della popolazione italiana), pensa che le vacche da latte vengano allevate allo stato brado e che mangino erba. Questa visione “paradisiaca” rappresenta la realtà di un remoto passato che però, alimentata da film e racconti, è tuttora tramandata con forza dalle quasi totalità della pubblicità dell’industria lattiero-casearia; come se l’allevamento intensivo, ossia quello praticato nella maggior parte dei casi, avesse dei segreti da nascondere. Quando le inchieste giornalistiche e i social media hanno cominciato a mostrare la realtà degli allevamenti, la gente, soprattutto quella urbanizzata, si è spaventata e il senso di colpa che ne è derivato sta portando molte persone a ridurre, se non ad abbandonare, il consumo dei prodotti di origine animale.

Ruminantia, nel lungo tour che sta facendo in Italia per presentare La Stalla Etica® e il Latte Etico®, sta incontrando migliaia di allevatori e, con relativo stupore, sta constatando una reazione positiva da parte loro.

In che senso?

Molti allevatori erano già consapevoli del fatto che l’attuale gestione dell’allevamento delle vacche da latte non va perché troppi sono ormai i problemi la cui soluzione è estremamente costosa e alcuni di essi sembrano essere irrisolvibili. Non può essere considerata normale la scarsa longevità funzionale di razze come la frisona che impone l’avere alle spalle enormi e costosi parchi manze a cui addirittura fare fecondazioni con semi sessati. Non può essere normale il fatto che se non si ricorre ad un uso sistematico di antibiotici nella vitellaia le malattie e la mortalità sono fuori controllo, che senza la sincronizzazione ormonale come prassi le vacche non rimangono gravide, che con la dermatite digitale ci si debba convivere e che molte delle vacche che vivono nelle stalle a cuccette sono piene di lesioni agli arti e alla groppa.

Per non parlare poi della nutrizione. Più passa il tempo e più si è costretti ad utilizzare razioni con una quantità sempre crescente di concentrati per contrastare il bilancio energetico negativo, a cui recentemente si è aggiunto anche il bilancio proteico negativo, ben sapendo che questi due aspetti sono la causa primaria della sindrome della sub-fertilità della vacca da latte. In alcuni di noi sta crescendo il sospetto che le alte concentrazioni di endotossine nel latte e le grandi quantità di ormoni come l’IGF-1, e ciò che non conosciamo, possano essere alla base del fatto che a porzioni sempre più ampie della popolazione il latte faccia male, pur possedendo l’enzima lattasi anche in età adulta.

In questa fase di post-allevamento industriale, molti di questi aspetti necessitano di una revisione, pur essendo consci del fatto che tornare all’allevamento estensivo non è nè auspicabile nè tantomeno praticabile. Se “liberassimo” tutte le vacche in lattazione al pascolo dovremmo occupare il 13% del nostro paese, considerando inoltre che la nostra attuale produzione serve a coprire solo il 70% del latte di cui abbiamo bisogno.  Dare più spazio alle bovine e fornirgli accessi all’esterno, in tutte le fasi del loro ciclo produttivo, risolve molti problemi. Gestire i vitelli in un modo diverso da quello che oggi è considerato il paradigma ed evitare, ove sia possibile, che le bovine vivano in stalle anguste, sovraffollate e perennemente sul cemento può aiutare a prevenire tanti problemi di fertilità.

Abbiamo riassunto nelle linee guida della Stalla Etica® tutte quelle soluzioni genetiche, ambientali, manageriali, sanitarie e nutrizionali che riteniamo possano essere utili agli allevatori per recuperare dignità sociale e redditività e che tranquillizzano inoltre la coscienza della gente in modo da tornare a bere un bicchiere di latte e mangiare un pezzo di formaggio con serenità. Abbiamo quindi maturato la convinzione, soprattutto ascoltando gli allevatori, che gli interessi dei consumatori non sono in contrasto con quelli degli allevatori. Nelle versioni successive alla 1.0 delle “istruzioni per l’uso” e negli articoli che pubblicheremo su Ruminantia continueremo ad approfondire tutti gli argomenti in esso contenuti con il contributo degli autori di Ruminantia Mese. Abbiamo anche bisogno che la comunità scientifica ci aiuti a capire quegli aspetti controversi che sembrano un ritorno al passato ma che in realtà sono un accelerazione verso il futuro. Anche l’industria che opera in agricoltura e zootecnia deve continuare ad esercitare quel ruolo di spinta, divulgazione e innovazione che ha accompagnato e guidato la crescita della zootecnia ma riflettendo (con serenità e lungimiranza) su quelli che vengono considerati paradigmi e sui copia-incolla d’oltre oceano.

Per produrre Latte Etico® servono nuove tecnologie farmaceutiche, di progettazione di stalle e infrastrutture, di management sanitario, di selezione genomica e di gestione della nutrizione di precisione e della nutraceutica.  Ci aspettiamo molto dalle aziende partner del progetto La Stalla Etica® e dalla numerosa community di sostenitori di Ruminantia per rendere La Stalla Etica® un progetto di cui il nostro paese possa essere orgoglioso e che possa dare una nuova speranza e un nuovo futuro non solo agli allevatori ma anche all’indotto che con loro condivide “gioie e dolori”.