Abbiamo detto, nello scorso numero, che un’azienda che ritenga non soddisfacenti i propri risultati deve darsi il tempo e l’occasione per una approfondita riflessione. Intendiamoci, si possono subito fare delle scelte, impostare dei cambiamenti. Tuttavia, affinché ciò che si sceglie di fare e di cambiare abbia un senso compiuto, è opportuno prendersi una pausa di riflessione e provare a formulare un’analisi dell’azienda.
Analizzare un’azienda significa scattare una fotografia con i dati salienti dell’azienda: si tratta sostanzialmente di fare un AUDIT. E’ preferibile, per quanto non indispensabile, che ad effettuare l’audit sia una persona esterna. Ad un esterno appaiono più evidenti una serie di scelte e modalità operative che invece sono del tutto normali a chi vi opera quotidianamente tanto che l’occhio non le vede neppure. L’audit mette in evidenza punti di forza e criticità; rende oggetto di discussione scelte consolidate ed apparentemente ovvie.
E’ evidente come sia necessario avere la disponibilità a mettersi in discussione. Al di là delle belle affermazioni “C’è sempre da imparare nella vita…” posso testimoniare quanto pochi siano coloro che sono davvero disposti a porsi seriamente in discussione, per giunta, magari, davanti ad un esterno.
L’audit è un’analisi della realtà che necessita di dati economici (conto economico se disponibile, costi alimentari, razioni, costi di materiale seminale, sementi, disinfettanti, farmaci, professionisti, ecc.), di dati quantitativi (consistenza del bestiame, dati di fertilità, produttività, consegne di latte, piani colturali, PGA, ecc.) e di procedure di lavoro (routine di mungitura, organizzazione delle visite del veterinario, procedure nel post-parto, lavoro del carrista, ecc.).
Dato che l’attività di audit richiede un periodo limitato di tempo, nell’arco di pochi giorni il quadro che si evidenzia, per quanto non esaustivo, data la limitatezza delle risorse impiegate, è più che sufficiente per porre in evidenza gli ambiti verso cui indirizzare i propri sforzi – che possono essere anche molto diversi dalle scelte che, d’impeto, si sarebbe ritenuto di dover fare.
Si può inoltre organizzare un piano di lavoro complessivo, all’interno del quale le varie scelte siano tra loro collegate ed interdipendenti. Ad esempio, se esiste – e spesso esiste – un problema di fertilità che senso ha cambiare i razionamenti alimentari, il mangimista o addirittura i piani colturali, se non si analizzano le procedure di post-parto o l’impostazione delle visite del veterinario? Che senso ha cambiare il latte in polvere se non si verificano le procedure di colostratura?
Dato che un’azienda agricola è un insieme complesso ed interconnesso di scelte e di organizzazione, di tale complessità è necessario tener conto.
La fase di audit è inoltre interessante per confrontarsi sui programmi a medio termine: quali obiettivi l’azienda intende realisticamente porsi? Molto spesso non vi sono obiettivi, ovvero gli obiettivi sono di minima sussistenza. Altre volte gli obiettivi sono del tutto irrealistici.
Se abbiamo due pani e tre pesci, è poco probabile che riusciremo a fare meraviglie; d’altra parte, se abbiamo una Ferrari, abbiamo l’obbligo di pensare a qualcosa in più che utilizzarla per andare al mattino ad acquistare una pagnotta dal fornaio.
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