Spesso nei referti analitici troviamo analizzato il lattosio, anche se questa molecola non è regolamentata da nessuna legge e neanche inclusa nei parametri di pagamento del latte a qualità. Ma allora perché viene regolarmente analizzato? E’ difficile dare una risposta chiara e univoca ma la determinazione del lattosio può dare informazioni utili a chi si occupa, a vario titolo, di latte, a patto che si sappia bene cos’è e da quali fattori viene influenzato.

Il lattosio è un composto solubile ad elevata attività osmotica classificabile tra gli zuccheri. E’ presente in natura solo nel latte ed è composto da una molecola di glucosio e una di galattosio. Nell’alimentazione umana il lattosio è importante come fonte di galattosio. L’enzima che rompe il legame tra glucosio e galattosio si chiama lattasi, o β-galattosidasi, ed è particolarmente abbondante nei neonati dove il galattosio è indispensabile per la sintesi dei cerebrosidi. Il galattosio è quindi un importante fattore di crescita cerebrale mentre il glucosio è utilizzato come fonte energetica. Il lattosio, inoltre, determina la solubilità e la tessitura di alcuni derivati del latte, è responsabile delle alterazioni di colore, aroma e sapore del latte dovute al suo surriscaldamento, è il substrato per le fermentazioni microbiche del latte ed ha un potere dolcificante 4 volte superiore al saccarosio.

Per quanto riguarda gli aspetti zootecnici, il lattosio ha un ruolo di primo piano nella produzione del latte in quanto fattore limitante. Il lattosio viene sintetizzato all’interno delle cellule dell’epitelio alveolare mammario, e più specificatamente nell’apparato del Golgi, a partire dal glucosio. Una molecola di glucosio viene dapprima isomerizzata a galattosio e poi unita ad una di glucosio. La sintesi del lattosio avviene ad opera dell’enzima galattosiltransferasi con l’ausilio dell’α-lattoalbumina, glicoproteina normalmente presente nel siero di latte (siero-proteina) in grandi quantità (25% di tutte le sieroproteine o il 2-5%). Gli ormoni associati al parto, come la prolattina e i glucocorticoidi, stimolano la trascrizione dei geni che codificano l’α-lattoalbumina che a sua volta interagisce con la galattosiltranferasi per la sintesi del lattosio.

Il lattosio richiama acqua nell’apparato del Golgi dove si formano le vescicole secretorie. E’ pertanto la sintesi del lattosio che condiziona la quantità di latte prodotta e l’α-lattoalbumina rappresenta il più importante fattore limitante.

La selezione genetica operata dall’uomo sulle specie e sulle razze destinate ad essere allevate per produrre latte ha quindi favorito quei soggetti più abili a produrre lattosio, e più capaci di drenare glucosio dal sangue circolante e sintetizzare l’α-lattoalbumina. La mammella di una bovina in lattazione può utilizzare anche l’85% del glucosio ematico, anche perché le cellule mammarie non sono in grado di sintetizzarlo essendo prive della glucosio-6-fosafatasi. Una bovina che produce 40 kg di latte drena circa 3000 grammi di glucosio dal sangue. La mammella di una bovina in lattazione e non ancora gravida ha la priorità metabolica quasi assoluta, seconda solo al metabolismo basale e alla termoregolazione. I genetisti hanno premiato quei riproduttori che danno all’allevamento della prole, e quindi alla mammella, la maggiore priorità metabolica possibile e che sono in grado di includere nel latte maggiori quantità di acidi grassi e caseina.

Per una bovina, o meglio per la sua mammella, è quindi importante disporre di abbondanti quantità di glucosio, acidi grassi e amminoacidi, trasportati alle cellule epiteliali mammarie dal sangue che la irrora. L’insulina gioca un ruolo di primo piano nell’approvvigionamento di questi nutrienti alla mammella ed è l’ormone che è stato maggiormente modulato dai genetisti, insieme al somatotropo o GH. La mammella è l’organo che produce il latte, alimento insostituibile nell’accompagnare il nascituro fino alla piena autosufficienza alimentare che nei vitelli avverrebbe in natura al sesto mese d’età. Questo è il motivo per cui questo organo ha l’assoluta priorità metabolica su ogni altra funzione. Spiega inoltre l’apparente correlazione negativa che esiste tra la produzione di latte e la fertilità, in quanto la riproduzione è in coda alla lista delle priorità metaboliche di ogni mammifero.

Da un punto di vista fisiologico, questa priorità metabolica della mammella si concretizza nel ruolo irrilevante che ha l’insulina sulle cellule dell’epitelio mammario nella loro capacità di catturare glucosio dal sangue che la irrora. Il glucosio che entra nelle cellule mammarie serve alla sintesi del lattosio (nelle bovine in lattazione), alla generazione del NADPH, alla sintesi del grasso del latte, alla produzione d’energia e alla sintesi di acidi nucleici e amminoacidi. La bovina ha una glicemia tendenzialmente bassa (40-80 mg/dl) e non esiste una correlazione positiva tra glicemia e produzione di latte. Il trasporto di glucosio dentro le cellule alveolari mammarie è invece condizionato dall’espressione dei recettori GLUTs, codificati dal gene SLC2, la cui espressione (GLUT1 mRNA) segue esattamente la curva di lattazione. Questi recettori, essenzialmente GLUT1 e GLUT8, sono responsabili di quello che viene chiamato “trasporto facilitato” o “diffusione facilitata”. Esiste anche un “trasporto sodio dipendente” dovuto ai recettori SGLT1 e SGLT2. L’efficienza di questi recettori influenza sensibilmente l’uptake di glucosio nelle cellule della mammella e quindi, se non si sono limitazioni nella disponibilità di α-lattoalbumina, la produzione di lattosio e conseguentemente di latte.

E’ stato osservato come l’uptake mammario di glucosio dipenda anche dalla disponibilità di acetato, acido grasso prodotto dal rumine in seguito alla fermentazione della fibra. Un fattore importante che influisce sulla produzione di latte non è quindi la glicemia ma la disponibilità “illimitata” di glucosio per la mammella, unicamente condizionata dalla portata del flusso di sangue che irrora, nell’unità di tempo, quest’organo. A condizionare questo è principalmente l’ormone GH o somatotropo, che nelle bovine di alto potenziale genetico è sensibilmente più alto rispetto alla media della popolazione. A mantenere una glicemia tendenzialmente elevata ci pensano le regolazioni omeoressiche dell’insulina. Nelle bovine a fine gravidanza e inizio lattazione un assetto ormonale “simil” diabete tipo-1 (insulino carenza) e tipo-2 (insulino resistenza) garantisce una ridotta capacità di utilizzazione del glucosio da parte delle cellule dei tessuti dotati di recettori per il glucosio insulino-sensibili. A fronte di questo assetto ormonale “simil diabetico” non si osserverà mai in una bovina in lattazione l’iperglicemia, in quanto questo zucchero sarà prontamente drenato dalle cellule mammare.

La selezione genetica operata dall’uomo ha quindi promosso bovine “simil diabetiche” perché ciò ha anche favorito la lipomobilizzazione e quindi la possibilità di produrre latte con una maggiore concentrazione di grasso. Questa scelta ha avuto come “effetto collaterale” un aumento della predisposizione alla chetosi metabolica e alla tossiemia gravidica nelle pecore e nelle capre. Dai dati pubblicati dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna si evidenzia una relativa stabilità nella concentrazione di lattosio nei campioni di massa di latte bovino analizzati dall’Istituto dal 1997 al 2017 che rimane comunque sempre superiore al 4.9% (Figura 1).

Figura 1

Dai dati elaborati dall’Ufficio Studi dell’Associazione Italiana Allevatori è possibile notare come le bovine (latte individuale) con una concentrazione anomala di lattosio (< 4.50%) siano circa il 5%. Utilizzare pertanto la concentrazione di lattosio del latte di massa come biomarker è piuttosto difficile, anche se ci sono alcune condizioni che la possono influenzare. Più è alta in allevamento la percentuale di bovine primipare, maggiore sarà la concentrazione di lattosio. Normalmente, una primipara “sana” ha una concentrazione di lattosio nel latte superiore al 5%. In allevamenti dove la disponibilità di acqua da bere è piuttosto limitata, e dove quindi le bovine presentano sintomi clinici di disidratazione, la concentrazione di lattosio nel latte di massa potrebbe essere superiore alla media. Esiste un differenza stagionale del lattosio (Figura 2), che ha un andamento molto simile alla produttività media degli allevamenti di bovine da latte presenti nell’emisfero boreale.

Figura 2

Un allevamento potrebbe avere una percentuale di lattosio nel latte anche più bassa della media se una percentuale molto elevata di bovine ha un’elevata conta di cellule somatiche, ossia una mastite, anche sub-clinica, ma ad andamento cronico. Una mammella colpita da mastite può produrre un latte con una concentrazione di lattosio anche molto bassa per due motivi. Il primo è che alcuni patogeni della mammella consumano il lattosio per le proprie necessità energetiche. Il secondo motivo invece, e il più importante, è che in una mammella infiammata, magari cronicamente, la tenuta degli spazi intercellulari (tinght junction) tra le cellule dell’epitelio mammario diventa meno salda e, a causa della differente pressione osmotica tra il sangue che irrora la mammella e gli alveoli mammari, una parte del lattosio può trasferirsi da latte al sangue.

Si può pertanto concludere che la determinazione della concentrazione di lattosio nel latte di massa è di scarso interesse sia per i veterinari che per i nutrizionisti, mentre può interessare gli organismi di controllo. Un latte di massa con cellule somatiche e lattosio molto basso può far sospettare la rimozione illegale di leucociti dal latte attraverso filtri e centrifughe. La concentrazione del lattosio individuale è invece un interessante biomarker per valutare la sanità di una mammella. Bovine con cellule somatiche costantemente superiori alle 200.000/ml e con una percentuale di lattosio sensibilmente < 4.70% hanno mammelle cronicamente infiammate e di quasi impossibile guarigione. Bovine con cellule somatiche anche molto elevate ma in modo non continuativo e con una percentuale di lattosio > 4.80% hanno ampie possibilità, con un’opportuna terapia, di guarire.

E’ molto difficile invece immaginare di utilizzare la concentrazione di lattosio nel latte di massa per capire se la disponibilità di energia della dieta di un allevamento sia adeguata. Il lattosio del latte individuale in condizioni di grave e protratta malnutrizione, sia energetica che proteica, può diminuire ma la bovina presenterà una serie di gravi alterazioni fisiologiche a decorso clinico che possono rendere non necessaria la determinazione del lattosio nel latte individuale perché è sufficiente osservare l’animale.