L’espressione crisi è tra le parole che maggiormente utilizziamo dal 2008 ossia da quando il mondo occidentale ha constatato la grande fragilità della finanza nei confronti dell’economica. E’ ormai da moltissimi decenni che è più facile arricchirsi movimentando capitali nelle borse piuttosto che avviare e gestire al meglio attività produttive.
Questa fragilità del sistema occidentale ossia del “primo mondo” ha incoraggiato le cosi dette economie emergenti come quelle asiatiche che sono cresciute a dismisura anche grazie alla loro grande capacità di produrre a basso costo e con meno pressioni e complicazioni burocratiche. In parole povere è andato in crisi il sistema economico occidentale basata sulla finanza mentre è cresciuta quella parte del mondo dove la ricchezza si basa sul lavoro e comunque sulla produzione e commercializzazione di beni. L’agricoltura del nostro paese ha dimostrato come sempre una maggiore vivacità di reazione alla cosi detta crisi segnando punti postivi sul fatturato e sul numero di occupati. Il tutto con mille ostacoli tra cui spiccano la difficoltà d’accesso al credito e l’elefantiaca e farraginosa burocrazia italiana.
C’è anche da dire che il bombardamento mediatico sulla crisi e la disoccupazione e una classe politica sostanzialmente incapace ha fornito un potente anestetico ad un sistema agricolo obbligato dalle regole del mercato mondiale ad un rapido ammodernamento. Frequentando le economie emergenti asiatiche e nord-africane balzano agli occhi le differenze con il nostro paese. E’ vero che gli elevati costi di produzione, la burocrazia e la difficoltà d’accesso al credito stanno mettendo a rischio di sopravvivenza molti nostri produttori di latte ma come sempre succede a tutto c’è una soluzione che certo non si trova nel solo lamentarsi. Negli ultimi anni ci si è illusi che la soluzione principale al problema della scarsa redditività del produrre latte fosse quella di lottare con tutti i mezzi per ottenere un maggior prezzo del latte alla stalla. Poco si è ottenuto ed a mio avviso poco si otterrà. Le ragioni sono le solite. Pochi acquirenti, molti produttori mal rappresentati e molto divisi , logiche internazionali e totale latitanza della politica hanno vanificato di fatto ogni trattativa facendo oscillare il prezzo del latte entro una forbice di sussistenza.
C’è da dire tuttavia che in Italia esiste un blocco importante di allevatori “irriducibili” che hanno abbandonato i fazzoletti per le lacrime ed il facile lamentarsi all’ombra della cosi detta crisi e si sono e si stanno rimboccando le maniche. Questi allevatori hanno aumentato il tempo effettivo da dedicare alla propria azienda non tanto nei lavori manuali ma nell’analisi delle prestazioni tecniche e nel contenimento degli sprechi. La Frisona italiana se allevata correttamente da allevatori molto attenti ai particolari può , all’attuale prezzo del latte alla stalla, dare profitti allineati con le imprese che producono beni strumentali e il tutto con minori rischi d’impresa. Non si può certo paragonare la redditività della produzione di latte con quella finanziaria o di certe e note professioni. Pertanto la vera crisi delle economie occidentali è stata il brusco risveglio dall’illusione che si possa vivere ed arricchirsi senza lavorare , senza ricerca e senza produrre cultura e beni materiali. Ma intanto, e come sempre è stato e come sempre sarà, il mondo evolve e “scarica” chi non cambia con lui. Mi viene spesso da pensare che anche il Tyrannosaurus rex , ovvero il più grade predatore di tutti si sia estinto perché incapace di adattarsi al mondo che cambiava.
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