L’editoriale di questa volta vuole essere molto “qualunquista” anche perché le riflessioni “dotte” sulla redditività della nostra produzione di latte rimangono per lo più inascoltate dalle istituzioni spingendo gli allevatori a trovare soluzioni personalizzate per le proprie aziende. E’ vero che l’imprenditoria italiana è abituata ad andare avanti a prescindere da una burocrazia che spesso è più d’ ostacolo che di supporto. La situazione paradossale che stiamo vivendo è la seguente. Il sistema manifatturiero italiano ,dopo la crisi del 2008 che ha ridotto pesantemente i consumi interni, è stato costretto, per sopravvivere, ad aprire il mercato estero. Con molta sorpresa e per la grande abilità degli imprenditori italiani il “ made in Italy” sta tirando moltissimo all’estero soprattutto nelle economie emergenti dell’Asia , del nord Africa ed in parte del continente americano. Mangiare , vestire e guidare italiano sono gli status simbolo dei nuovi ricchi dei paesi con PIL in crescita vertiginosa. L’esportazione dei  nostri formaggi ha registrato nel 2012 ( dato ISMEA) una crescita di oltre il 7% rispetto all’anno precedente per un giro d’affari di 2 miliardi di euro ossia una crescita del 3.5% rispetto al 2011. Il prezzo del latte alla stalla nel mondo sta lievitando sensibilmente. Ad Aprile 2013 in Germania il latte vale £ 35/q.le con un incremento del 3.7%. Negli USA a Maggio 2013 il valore del latte è salito del 20.4 % posizionandosi a £ 33.62. Questo a testimonianza dell’elevata domanda di latte in un contesto di scarsa crescita della produzione.  Lo sbocco estero , la speranza di una ripresa dei consumi interni , l’allontanamento dello “ spettro” delle massicce importazioni di latte in Italia dall’est Europa e l’uscita ( speriamo assistita) dal regime quote latte rappresentano per gli allevatori che stanno investendo per continuare grandi certezze per il futuro. Questo scenario roseo viene offuscato da alcune situazioni. E’ vero che gli imprenditori hanno imparato ad “arrangiarsi” tra una burocrazia farraginosa e soffocante e  l’abbandono dai vantaggi derivanti da uno stato che li possa aiutare a rendere gli allevamenti sempre più efficienti. Il problema vero è che in Italia , anche se il prezzo del latte alla stalla è piuttosto elevato, i costi di produzione sono fuori controllo  e di fatto erodono pesantemente la redditività.  I limiti imposti sulla concentrazione di aflatossine nel latte  l’inquinamento di micotossine del cotone integrale e del mais e le limitazioni di molti consorzi di tutela dei formaggi impongono l’uso di una gamma ridottissima di materie prime come la soia , il girasole , i cruscami e poco altro.  Alcune di queste materie prime ed in particolare la soia sono controllati da grandi gruppi che danno la sensazione di imporre dei prezzi non esattamente legati all’andamento dei raccolti o comunque alla regola della domanda/offerta. Una soia decorticata estera quotata a Milano il 28 Maggio 2013 a 525 euro per tonnellata lascia molto perplessi .Sono ovviamente supposizioni ma a mio avviso richiederebbero una chiarificazione da parte delle autorità competenti. Non so se sul tema sia intervenuta la nostra “Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato” più conosciuta” come Antitrust Authority . Allo stesso tempo non so se sia intervenuta nel controllare se la determinazione del prezzo alla stalla avvenga in un regime di effettiva concorrenza considerando che il latte spot nazionale e stato quotato a Verona nel mese di Giugno 2013   a 43.30 – 44.33 euro/q.le.  In conclusione. Bravi gli imprenditori italiani che hanno saputo valorizzare , a proprie spese, il made in Italy nel mondo. Bene l’export dei nostri formaggi. Tuttavia una presenza dello stato e delle sue istituzioni  per verificare se in Italia siano rispettate le regole della concorrenza e di supporto tecnico ai nostri allevamenti     sarebbe quanto meno doverosa .