E’ di qualche giorno fa la notizia della vita di Michael, salvata dai medici del San Raffaele di Milano dopo che il ragazzo è rimasto per ben 42 minuti intrappolato a due metri di profondità durante un bagno nelle gelide acque del Naviglio a Castelletto Cucciono (Milano). C’è chi grida al miracolo e chi pensa a cosa possa fare la scienza, o l’insieme delle due cose. Sta di fatto che i medici rianimatori dell’ospedale in pochi secondi hanno probabilmente abbandonato ogni ragionevole protocollo affidandosi alla loro intuizione e l’enorme bagaglio di conoscenze che, per come sono andate le cose, devono essere state necessariamente solide e profonde. Salvare una persona dopo 42 minuti di arresto cardiaco va oltre ogni immaginazione ma loro ci hanno provato. E con successo. Ma quale riflessione potrebbe stimolare a noi di Ruminantia.
A tutti noi che, a vario titolo, ci troviamo tutti i giorni ad affrontare problemi spesso nuovi e problemi apparentemente irrisolvibili. Il continuo e incessante divenire del mercato e della genetica ci costringono al dilemma quotidiano su quello che si dovrebbe fare, ammesso che molte di queste certezze siano ancora valide, e quello che si può fare nella normale realtà degli allevamenti. Non credo che siano molti gli allevatori rimasti che non sappiano cosa si dovrebbe fare per dare alle bovine benessere, salute e buon cibo ma spesso le condizioni economiche e le risorse umane di cui dispone la zootecnia non lo permettono. Gli affascinati protocolli di gestione, di nutrizione, farmacologici, di mungitura e di costruzione delle stalle, spesso acriticamente importati dall’estero e di cui è facile e rassicurante la “somministrazione” agli allevatori, il più delle volte naufragano nelle realtà delle stalle italiane e non solo. Naufragano perché concepiti in realtà zootecniche lontane anche culturalmente dalle nostre e perché pur di garantire un reddito, ultimamente di sussistenza, i nostri allevatori sono costretti ad andare continuamente in deroga alle regole. Di qui il sovraffollamento, sale di mungitura non più all’altezza, foraggi di qualità non ottimale, pavimenti scivolosi, eccetera, eccetera.
Noi veterinari e noi zootecnici siamo chiamati più ai comportamenti dei colleghi medici rianimatori del San Raffaele che alla passiva “somministrazione” dei protocolli validati spesso dal solo fatto che l’ha detto “l’americano”. Trovare una soluzione dove spesso e apparentemente non c’è è quanto ci chiedono i nostri allevatori. In questo noi italiani siamo agevolati, abituati come siamo a lavorare nel caos. Questo stimola la nostra intelligenza che, non dimentichiamoci mai, altro non è che la capacità di adattamento a situazioni nuove. Se il tutto è poi supportato da una profonda e aggiornata conoscenza teorica, il gioco è fatto proprio per non farsi mai dire che “l’operazione è tecnicamente riuscita ma il paziente è morto”. Bravi i medici del San Raffaele per aver salvato la vita di un ragazzo e grazie per la lezione che ci avete inconsapevolmente dato.
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