Salvo le aziende con titolare unico (ammesso che coniuge e figli non intervengano), in tutte le aziende dove sono presenti più soci – e sono la stragrande maggioranza – si sviluppano discussioni su ogni possibile argomento. A volte si tratta di argomenti ordinari, come può esserlo la decisione di tagliare per il fieno oggi o fra un paio di giorni; se trattare una vacca o mandarla al macello; se dare priorità nella giornata ad un lavoro piuttosto che ad un altro. Ci sono aziende in cui, quotidianamente, si discute al mattino per gli aggiustamenti alle razioni alimentari. A questo livello, pur se le discussioni possono assumere toni da sfida epica, si tratta di una specie di gioco in cui i ruoli sono ben noti e chiari: c’è chi spinge, chi frena, chi media.
A volte, gli argomenti di discussione salgono di livello e le decisioni sono più difficili, oltre che opinabili: seminare mais classe 400 o 700? Introdurre il pastone o usare farina di mais? Cambiare l’alimentarista e di conseguenza il fornitore?
C’è poi un ulteriore livello in cui, di solito, vince il più forte, cioè quello che si impunta: introduciamo i robot di mungitura? Ampliamo la stalla? Costruiamo l’impianto di biogas?
Si tratta ovviamente di semplificazioni e di esempi; tuttavia, si può notare che, in ognuno di questi livelli di discussione, riscontriamo un crescendo in termini di impatto economico e di strategia aziendale. Se lasciamo le discussioni quotidiane nel capitolo delle modalità, più o meno colorite, di affrontare la giornata ed il singolare modo di rapportarsi con gli altri, è evidente che le decisioni più impegnative, hanno totalmente a che fare con l’idea di futuro che ognuno ha per sé stesso e per la propria famiglia. Un conto sono le scelte gestionali, un altro sono gli investimenti. Non si tratta solo di decidere di che “colore” prendere il trattore che si è deciso di acquistare; si tratta di decidere se fare o meno una scelta che cambia i connotati dell’azienda.
Ed è strabiliante vedere come, con grande frequenza, tali scelte, e le discussioni che da queste nascono, non partano da un’analisi economica.
Spesso si discute – a questo punto possiamo anche dire che si litiga – senza un fondamento di numeri e di valutazioni economiche scritte. Ognuno sostiene la propria tesi “a braccio”, adducendo esempi positivi o negativi secondo la tesi che vuole sostenere. Sono testimone di litigi in cui, contemporaneamente, le due parti sostenevano posizioni esattamente opposte. L’una sosteneva che le aziende con i biogas se la passavano male (portando ovviamente esempi inconfutabili), l’altra che le aziende con i biogas erano quelle più ricche (portando altrettanti esempi inconfutabili). Nessuna delle due parti disponeva di un foglio di carta a partire dal quale si poteva discutere, anche animatamente, della opportunità o meno di investire in quella direzione.
La certa o supposta sostenibilità – parola di gran moda – declinata come minimo in senso economico è calcolata a voce; quasi mai lo è con ragionamenti numerici scritti, quasi mai lo è a partire dai risultati economici aziendali attuali. Se si vuole riflettere seriamente su ipotetici miglioramenti o peggioramenti economici, mi pare che il presupposto minimo sia di sapere dove ci si trova in quel preciso momento. Si migliora o si peggiora rispetto a cosa?
Mi pare che anche nelle litigate sia utile darsi un metodo “scientifico”, partire da un’analisi scritta, formulare delle ipotesi, porre quelle ipotesi in condizioni di stress e, infine, operare una scelta una scelta.
Qualcuno chiama questo processo con altri nomi: l’analisi si chiama conto economico e le ipotesi si chiamano simulazioni.
Litigare è un’arte ed io ricordo che il grande Pelè, in una celebre pubblicità diceva: “Quando faccio una cosa, mi piace farla bene!”
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