Le particolarità della fisiologia digestiva e dell’approvvigionamento dei nutrienti dei ruminanti portano a considerare fondamentale la conoscenza di tutti quei meccanismi che condizionano l’ingestione di sostanza secca. Il comportamento alimentare della bovina da latte, come del resto quello di tutti gli altri ruminanti, non è cambiato dal loro progenitore Uro, ossia dall’epoca della domesticazioni ai nostri giorni. Questo animale nel momento in cui si dedicava a ingerire l’erba era molto esposto all’attenzione dei predatori, e quindi molto vulnerabile, per cui doveva farlo rapidamente. L’Uro infatti, ma anche i progenitori delle bufale, delle pecore e delle capre, brucando ingeriva molto rapidamente l’erba senza masticarla per poi nascondersi in luoghi sicuri per la ruminazione, ossia una masticazione successiva all’ingestione.

Quando mangiano l’unifeed le bovine ingeriscono in 28 minuti 2.2 kg di sostanza secca! La concentrazione nutritiva dell’erba è molto bassa, per cui, per soddisfare i loro fabbisogni di nutrienti, i ruminanti devono effettuare molti pasti al giorno ed hanno bisogno di molto tempo da dedicare alla ruminazione. Secondo quanto riportato da Dado e Allen nel 1994 (JDS 77 (1) 132-144), una bovina media in lattazione (primipara-pluripara) che produce 33 kg di latte per ingerire 22.8 kg di sostanza secca (efficienza alimentare 1.45) impiega 301 minuti al giorno, suddivisi in 11 pasti di 28.8 minuti. Per ruminare il cibo ingerito saranno necessari 457 minuti, suddivisi in 14 cicli ruminali giornalieri di 22.3 minuti ciascuno alla velocità di 61.6 atti masticatori al minuto. Questa “intensa” attività nutritiva deve essere accompagnata dalla possibilità per le bovine di trascorrere almeno 11 ore al giorno sdraiate. Un allevamento di bovine da latte di successo, ben costruito e ben gestito, asseconda la fisiologia delle bovine eliminando gli effetti collaterali (predatori, parassiti, fame, sete ed intemperie) tipici dell’ambiente selvaggio. Rispetto a quando pubblicato da Dado e Allen nel 1994, l’attuale comportamento alimentare delle bovine da latte è cambiato e sia l’ingestione che la produzione sono molto più elevate.

Rimane da capire se fanno più latte perchè mangiano di più o se mangiano di più perchè fanno più latte. Dilemma giustificato dal fatto che la taglia delle bovine non sembra essere così aumentata, e neanche la concentrazione e la digeribilità dell’NDF che sappiamo condizionare l’ingestione giornaliera (ingestione d’NDF 1.22-1.42% peso vivo) e le dimensioni del pasto (0.67 kg per pasto). E’ noto che una ridotta ingestione collettiva (media) di sostanza secca, rispetto a quanto dovrebbe essere secondo l’equazione di stima adottata, e rispetto allo storico per il periodo considerato (THI e fotoperiodo), è un sintomo di qualche malattia, di un alterazione dell’approvvigionamento idrico, di alterata qualità di un alimento o di anomalo funzionamento dell’attrezzatura che somministra la dieta gli animali (carro unifeed, autoalimentatore o robot). In un allevamento moderno è pertanto fondamentale monitorare giornalmente l’ingestione di sostanza secca, soprattutto nei reparti che ospitano bovine in bilancio energetico e proteico negativo (NEBAL e NPB), ossia nella fase di transizione (preparazione al parto e puerperio) e nelle prime settimane di lattazione. In queste tre fasi lo squilibrio tra fabbisogni nutritivi e capacità d’ingestione è la principale causa di insufficiente produzione (rispetto al potenziale genetico), di ridotta fertilità e di buona parte delle malattie metaboliche. E’ pertanto necessario conoscere i più intimi meccanismi che condizionano l’ingestione di sostanza secca delle bovine da latte.

Prima di analizzare nel dettaglio i fattori legati agli animali, agli alimenti, al management e all’ambiente che interferiscono positivamente o negativamente sull’ingestione è necessario capire come avviene a livello fisiologico la regolazione dell’ingestione nella bovina da latte. Tre sono le principali teorie proposte per spiegarla. La prima, di Allen (1996 – J.A.S. 74:3063-3075), afferma che “l’ingestione volontaria di sostanza secca è in funzione del peso e del volume dell’ingerito in rapporto al tasso di flusso del tratto reticolo-ruminale”. La seconda, di Illius e Jessop (1996 – J.A.S. 74:3052 – 3062), che si basa sul feedback dei fattori metabolici, afferma che “quando l’assorbimento dei nutrienti, principalmente proteina ed energia, supera i fabbisogni o quando il rapporto dei nutrienti assorbili non è corretto un feedback negativo impatta sull’ingestione”.  Ketelaars e Tolkamp (1996 – J.A.S. 74: 3036-3051) presentarono invece la teoria del ”consumo d’ossigeno” secondo la quale “gli animali consumano energia netta ad un tasso che ottimizza l’uso dell’ossigeno e minimizza la produzione di radicali liberi”. La teoria più plausibile e di più facile riscontro pratico è quella di proposta da Allen che si basa sull’osservazione del fatto che il propionato deprime l’ingestione agendo sulla riduzione delle dimensioni del pasto.

I nutrizionisti sanno bene che l’acido propionico derivante dalla fermentazione ruminale dell’amido, o quello apportato da additivi come il glicole propilenico e il propionato di sodio o di calcio, sono il substrato migliore per la produzione epatica di glucosio e quindi di energia. Sicuramente la possibilità di riempimento del rumine condiziona la capacità d’ingestione (rumen fill), pertanto l’inserimento di amido nelle diete delle bovine in NEBAL e NPB può essere effettuato eliminando la fibra, con conseguente riduzione della produzione di saliva e calo del pH ruminale. E’ proprio l’acidosi ruminale il limite all’inserimento di amido nella razione. I propionati prodotti dal rumine e i chemiocettori ruminali agiscono sul centro ipotalamico della sazietà. La pratica d’allevamento c’insegna che diete ad alta concentrazione d’amido sono ingerite in quantità inferiore rispetto a quelle a media concentrazione, per cui la quantità di amidi assunti giornalmente è spesso uguale.

I fattori legati agli alimenti, agli animali, al management e all’ambiente sotto elencati condizionano la capacità d’ingestione agendo o sulla dimensione dei pasti o sulla loro frequenza.

Conclusioni

Il monitoraggio dell’ingestione effettiva di sostanza secca è una pratica zootecnica e veterinaria molto importante. Questo consente di tenere sotto controllo il rendimento tecnico ed economico delle diete somministrate ai vari gruppi di animali. Inoltre, il controllo quotidiano dell’ingestione ci permette di rilevare immediatamente un problema che sta nascendo in allevamento. La tecnica dell’unifeed è sicuramente comoda per la gestione e vicina alla fisiologia dei ruminanti ma non incentiva il contatto diretto dell’allevatore con le bovine e quindi non agevola l’osservazione di cambiamenti del comportamento alimentare della singola bovina o della mandria.