Il pascolo e il pascolare sono un modo di allevare e alimentare i ruminanti domestici fortemente condizionato dal livello di antropizzazione di un luogo e dalle sue caratteristiche pedoclimatiche. In genere è un’attività che si può fare alcuni mesi l’anno, ossia quando l’erba è abbondante e in grado di dare sussistenza agli animali. Le realtà dove c’è tanta erba tutto l’anno sono infatti tipiche di paesi nord europei come l’Irlanda e i Paesi Bassi.
Il MASAF ha pubblicato il 27 settembre 2023 le “Disposizione integrative di sostegno accoppiato al reddito del Piano strategico PAC 2023-2027 e precisazioni in merito alla densità del bestiame al pascolo adeguata alla conservazione del prato permanente e alla coltivazione della canapa”. Questo atto del Ministero ha voluto, insieme ad altri aspetti, dare precise indicazioni su quale deve essere il carico di animali per ettaro espresso in UBA per prevenire imprecisioni e truffe di vario genere, e comunque per preservare i prati permanenti che sono un’inimitabile fonte di biodiversità e sottrazione di carbonio dall’atmosfera.
Il MASAF ha ritenuto adeguato un carico massimo di 2 UBA/ettaro/anno nelle zone vulnerabili ai nitrati e 4 UBA/ettaro/anno nelle altre zone. Limitandoci ai ruminanti, 1 UBA corrisponde ad un bovino con età superiore a due anni, 0.6 per quelli tra 6 mesi e due anni, e 0.15 per gli ovini e i caprini.
La Superficie Agricola Utilizzata (SAU) in Italia è pari a 12.598.161 ettari e rappresenta il 41.8% dell’estensione del nostro Paese. I seminativi, le colture cerealicole, gli ortaggi e altro coprono metà della SAU. Un quarto della SAU italiana è già dedicata a prati stabili. In Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna si concentra più di un terzo della produzione nazionale. In Italia produciamo 13.202.000 tonnellate di latte bovino (2021) con 1.300.079 capi adulti di sesso femminile ( BDN 30/6/2023).
Nonostante questi numeri apparentemente elevati non abbiamo ancora raggiunto l’autosufficienza nella disponibilità di latte bovino. Se dietro la spinta delle associazioni animaliste e ambientaliste convertissimo tutti gli allevamenti da “intensivi” in “estensivi”, riuscissimo a mantenere invariate le produzioni procapite, considerassimo una media aritmetica di 3 UBA per ettaro e potessimo avere erba da pascolare come in Irlanda per 365 giorni all’anno, avremmo bisogno di circa 433.000 ettari di SAU, ossia del 3.4% del totale disponibile. Questo calcolo esclude tutti gli animali giovani.
Oltre alle bovine da latte si allevano in Italia anche pecore che secondo i dati della BDN al 30 giugno 2023 sono 5.878.735 capi totali, che occuperebbero 881.810 ettari di SAU, ossia il 7% del totale disponibile di terra agricola.
Se aggiungiamo a questa fantasiosa stima, che ripetiamo considera un’impossibile disponibilità di erba abbondante per 12 mesi, anche i bovini da carne, che in Italia, tra piccoli e grandi, sono 2.414.686 capi, occuperemmo una porzione importante della SAU del nostro Paese, se non tutta.
Quando si rappresentano i numeri in questo modo è facile arrivare a conclusioni affrettate ed errate. L’uso del pascolo primaverile-estivo è una scelta assolutamente consigliabile per gli allevamenti di bovini e ovicaprini ubicati in aree non irrigue dove le coltivazioni agricole classiche sono difficili da fare. E’ anche una buona soluzione nelle aree di pianura irrigue se il pascolo rappresenta un claim che concorre ad elevare il valore del latte e della carne su di esse prodotti. Il cambiamento climatico in atto sta concentrando i fenomeni piovosi in pochi e spesso disastrosi giorni dell’anno e ancora poco o nulla si è fatto per evitare le perdite da ruscellamento dell’acqua piovana.
Gli allevamenti che taluni chiamano “estensivi” non possono oggettivamente competere con gli allevamenti ubicati nelle pianure irrigue ma devono, come del resto stanno già facendo in molti, puntare su prodotti del latte e della carne di alto prezzo perché il loro costo di produzione è proporzionalmente più elevato rispetto a quello degli allevamenti “intensivi” di pianura. Produrre carne e latte da animali che pascolano incontra sicuramente i favori dell’opinione pubblica sia per ragioni etiche che salutistiche.
Le fuorvianti campagne pubblicitarie che fin qui hanno promosso gli acquisti di molti prodotti del latte e della carne si sono dimostrate un pericoloso boomerang. Quando l’opinione pubblica si è accorta di come vengono allevati veramente gli animali domestici da cibo ha reagito rallentandone i consumi. L’esperienza dovrebbe servire a non ripetere gli stessi errori, per cui quando si narrano il pascolo e il pascolamento, e più in generale l’allevamento, va fatto in assoluta verità senza idealizzarlo per non rischiare che il giornalismo d’inchiesta possa mettere in difficoltà anche una realtà zootecnica adatta a dare un valore alle zone più difficile del nostro Paese.
Esiste certamente una differenza tra animali da carne e da latte che possono essere allevati utilizzando il pascolo. Razze rustiche come la maremmana e la podolica, presenti quasi esclusivamente al Sud Italia, possono pascolare tutto l’anno e vivere all’esterno in assenza di ricoveri e senza integrazione di concentrati anche nei momenti più delicati del loro ciclo produttivo, come il periparto o quando l’estate e la siccità mettono a dura prova i pascoli. Generalmente queste due razze hanno a disposizione aree molto grandi dove il carico di animali per ettaro è bassissimo, e questo garantisce loro di trovare quasi sempre qualcosa da mangiare.
Razze da carne più selezionate come le bianche italiane, la charolaise e la limousine possono utilizzare i pascoli per la linea vacca vitelli, ma gli allevatori preferiscono allevare in stalla gli animali da ingrasso dopo la fase di svezzamento.
Per le specie da latte, siano esse bovine, ovine, caprine e bufaline, il discorso è differente. Chi ha allevamenti ubicati in zone non irrigue e di alta collina o montagna, e non può oggettivamente coltivare la terra per produrre foraggi, spesso ricorre alla monticazione, ossia il portare gli animali adulti nei pascoli di montagna per circa quattro mesi l’anno. Anche durante questo periodo, se sono razze bovine e animali in lattazione agli animali viene riservata una quota di concentrati, ossia miscele prevalentemente di cereali, leguminose e sottoprodotti, che viene somministrata durante la mungitura. Non somministrare concentrati alle bovine delle principali razze da latte durante la lattazione le può esporre a problemi riproduttivi e sanitari. Quando poi le bovine tornano dagli alpeggi (demonticazione) vengono spesso ospitate in allevamenti a stabulazione libera o fissa molto simili a quelli presenti in pianura. Durante i restanti otto mesi dell’anno le bovine vengono alimentate con fieni e concentrati ma spesso anche con insilati, a meno che eventuali disciplinari non lo vietino.
In particolarissime condizioni potrebbero anche esserci allevamenti di bovine da latte che possono pascolare tutto l’anno e non avere mai bisogno di integrazioni di concentrati, ma francamente non ne conosco alcuno in Italia. Quanto detto per le bovine può valere anche per le pecore e le capre da latte, anche se queste sono specie molto differenti. Allevare animali al pascolo anche per pochi mesi l’anno può sembrare facile ai non addetti ai lavori, perchè essi vedono solo la parte romantica e bucolica di questa tipologia d’allevamento.
Nella realtà dei fatti molte sono le complessità. Innanzitutto ad essere molto critico è l’aspetto della sostenibilità economica. Le nazioni e la Comunità europea erogano sotto varie forme aiuti economici a queste realtà perché la produzione di cibo e il presidio del territorio sono considerati aspetti strategici per la collettività. Si sa che la politica evolve ed è spesso condizionata dal sentire collettivo, per cui si potrebbe verificare che nel medio e lungo periodo anche le realtà zootecniche delle aree interne debbano cercare una sempre maggiore indipendenza economica per mettere in sicurezza la loro attività. Fare zootecnia basata sul pascolamento richiede tecniche e a volte tecnologie non seconde a quelle necessarie agli allevamenti a stabulazione per tutto l’anno. Ci sono problemi da risolvere come la difesa dai predatori che non si può, per ovvi motivi, risolvere con l’estinzione di questi animali. Al contempo ci sono criticità come le parassitosi, controllabili con semplicità negli allevamenti confinati ma con difficoltà in quelli “estensivi”. Lo stress da caldo e il costante approvvigionamento di acqua e cibo sono problemi complessi da risolvere quando gli animali vivono all’esterno per molti mesi l’anno.
In conclusione, si può dire che per dare futuro e dignità agli allevamenti che vogliono o devono usare il pascolamento in zone “difficili” bisogna mettere da parte la narrativa näif e affrontare i problemi per quelli che sono raccontando alla gente, e quindi ai consumatori, la verità e nient’altro che la verità, perché le bugie hanno sempre “le gambe corte”.
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