Allevare gli animali è un’attività veramente globalizzata. Le stesse razze, strutture, attrezzature, alimenti e sementi le troviamo in ogni angolo del globo.
Lo stesso non si può per dire per la gestione della nutrizione, specialmente dei ruminanti ed in particolar modo delle bovine da latte.
In primis molto dipende se i nutrizionisti sono indipendenti, ossia se appartengono ad organizzazioni pubbliche o private, o se sono legati in qualche modo all’industria. Tra queste due tipologie di professionisti non esiste una scala valoriale, ossia, non è detto, ad esempio, che chi è indipendente sia più “bravo” di un collaboratore dell’industria o viceversa.
Fare e modificare le razioni per le bovine da latte può essere fatto per motivazioni diverse che vanno dal solo cambio di alimenti legato alla loro disponibilità, alle variazioni di prezzo delle materie prime o anche al modulare diversamente i rapporti dei vari nutrienti nella dieta per ragioni prestazionali o sanitarie.
Nella maggior parte del mondo, e soprattutto nei grandi allevamenti, i nutrizionisti consulenti concordano e condividono con il direttore dell’allevamento, l’addetto o gli addetti alla gestione dell’alimentazione e i veterinari, i livelli nutritivi che s’intende utilizzare nelle diverse fasi del ciclo produttivo delle bovine.
Anche se esistono dei metodi molto precisi per calcolare i fabbisogni nutritivi di questi animali, si applicano spesso i dovuti correttivi in funzione del livello genetico dell’allevamento, del tipo di comfort di cui dispongono gli animali, dell’indirizzo produttivo (latte da bere o da trasformazione), della presenza o meno di malattie, sia trasmissibili che non, e della qualità delle risorse umane.
Questo tipo di metodo di lavoro comporta modifiche dei piani alimentari alcune volte l’anno, ma in genere molto poche. La stesura delle razioni in funzione della disponibilità aziendale degli alimenti autoprodotti, dei contratti e dei prezzi viene fatta dagli addetti degli allevamenti ma con una frequenza mai inferiore ai due mesi, a causa della “lentezza” con cui un rumine “impara” una nuova razione. In questa tipologie di aziende la razione, o meglio la dieta da somministrare alle varie categorie di animali presenti in allevamento, ha come unico obiettivo quello di assecondare le varie classi di fabbisogni, quali mantenimento, crescita, riproduzione e produzione, avendo inequivocabilmente chiaro che la nutrizione accompagna solamente il metabolismo degli animali ormai geneticamente “progettati” a dare l’assoluta priorità metabolica alla produzione quali-quantitativa del latte, se sono adulti e non ancora gravidi, e all’utero gravido sia che siano adulti che giovani.
In un passato ormai remoto, un po’ per scarsa cultura e un po’ per diversità delle razze, alla nutrizione veniva attribuito un ruolo modulatore sulla crescita, la produzione, la salute e la riproduzione delle bovine. Si pensava, e purtroppo lo si pensa ancora, che esiste un rapporto quasi diretto e lineare tra la concentrazioni di alcuni nutrienti, quali energia, proteine, grassi, amido, vitamine e oligoelementi, e la quantità di latte prodotto, la sua concentrazione di grasso e di proteine, e le prestazioni riproduttive.
Questa interpretazione, non proprio biologica, ha fatto proliferare a macchia di leopardo nel mondo un modo di interpretare la nutrizione più che come espressione tecnica, come una disciplina artistica e sciamanica. Senza avere alcun supporto statistico sembrerebbe che in Italia abbia prevalso in un recente passato, e spesso tuttora, questo modo d’interpretare la nutrizione e la determinazione dei fabbisogni nutritivi. Si esortano o si impongono cambi di razione, soprattutto agli zootecnici dipendenti o collaboratori delle industrie che producono alimenti zootecnici, per le motivazioni più disparate e a volte con una frequenza temporanea che prescinde anche una più superficiale conoscenza della fisiologia del rumine.
Nel nostro paese ci sono allevamenti che modificano le razioni, anche settimanalmente, a causa della mastiti, delle feci molli, delle cisti ovariche, del comportamento estrale, dei flemmoni e quant’altro, e valutano l’efficacia di tali variazioni anche da un giorno all’altro. Questo modo “singolare” di gestire la nutrizione animale fa intendere agli allevatori, e più in generale a chi non è un nutrizionista, che si procede a tentativi e per pura esperienza individuale fino a che non si “azzecca” la razione giusta.
Inoltre, con questo modo di procedere, il nutrizionista si attribuisce un ruolo chiave nel causare o risolvere la maggior parte delle patologie dell’allevamento. Un ruolo salvifico e al contempo nefasto per un allevamento, che prescinde dalla qualità degli alimenti, della stalla, della sala di mungitura, dell’igiene, della presenza di patogeni e della qualità del personale.
Ovvio è che in un mondo che va sempre di corsa e che cerca soluzioni istantanee e scorciatoie, il proporsi come solutore di problemi a prescindere agevola la vendita e facilmente tende ad eliminare un concorrente. Una razione che dà la speranza, o l’illusione, di evitare costosi interventi in stalla per migliorare l’igiene dei piedi e delle mammelle, e la gestione del reparto svezzamento vitelli, rispetto al ripensare alla qualità del proprio personale o dei professionisti a cui si ricorre, alla qualità dei foraggi, e chi ne ha più ne metta, è una bella tentazione a cui è difficile dire no.
Molti allevatori, come del resto tante persone e nelle più disparate situazioni, più che affrontare i problemi e cercare soluzioni cercano i colpevoli, incamminandosi inconsapevolmente verso un percorso fatto di procedere a tentativi spesso faticosi, costosi e non risolutivi. Si sa che la produzione delle bovine e le malattie hanno un tipico e prevedibile andamento stagionale che si ripete ogni anno da tempo immemore. Le razioni che “fanno aumentare il latte”, magari in maniera significativa, e la fertilità, sono quelle di fine autunno, mentre quelle di inizio estate inevitabilmente saranno accompagnate da problemi, specialmente in stalle non dotate di adeguati sistemi di raffrescamento.
Questa retorica, che va bene quando tutto va bene, offusca dalla vista degli allevatori la possibilità di utilizzare i nutrizionisti per stabilizzare i costi delle razioni o farsi aiutare a scegliere gli alimenti con il miglior rapporto qualità/prezzo utilizzabili per soddisfare comunque i fabbisogni nutritivi. E’ difficile che in Italia, anche a fronte di forti tensioni sul mercato degli alimenti zootecnici, si modifichino anche profondamente le razioni, proprio perché si vedono indissolubilmente legate alla salute e alla fertilità degli animali.
Questo modo di procedere toglie una fetta enorme di potenziale redditività derivante dalla produzione del latte, anche in considerazione del fatto che la spesa per l’alimentazione è il maggiore centro di costo nel conto economico di questa tipologia di allevamenti.
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