La nutrizione è la scienza che studia i rapporti esistenti tra i principi nutritivi, o nutrienti, e i fabbisogni metabolici di un organismo vivente. Questi fabbisogni vengono suddivisi negli animali da reddito, come la vacca da latte, in quelli per il mantenimento, la crescita, la produzione, la riproduzione ed il mantenimento delle riserve corporee.

Il criterio che la bovina seguirà nel ripartire i nutrienti ingeriti dipenderà molto dal suo potenziale genetico, o meglio dal tipo e dall’intensità della selezione genetica a cui è stata sottoposta. Maggiore sarà stata la pressione selettiva sulla produzione di latte, più grande sarà la priorità conferita alla mammella nell’utilizzare il glucosio, gli aminoacidi e gli acidi grassi, rispetto alle altre funzioni metaboliche. Se ad esempio si fossero selezionate le bovine prevalentemente per l’interparto, la ripartizione dei nutrienti avrebbe avuto un canale preferenziale verso le funzione metaboliche coinvolte per questo obiettivo.

E’ tuttavia necessario ricordare che la produzione di latte, espressione massima dell’attitudine materna, è prioritaria di per sè nei mammiferi nei primi mesi dopo il parto. La selezione genetica ha semplicemente amplificato ciò che in natura avviene normalmente. I nutrienti a cui accede la bovina sono contenuti nelle cellule vegetali essendo, almeno in Europa ed in altre nazioni del mondo, vietato l’uso di alimenti provenienti dal mondo animale come carne, pesce, sangue, grassi e piume. La cellula vegetale di per sè, o meglio le sue pareti e il suo contenuto, apportano una serie di nutrienti appartenenti ai macro-raggruppamenti dei carboidrati, le proteine, i grassi, le vitamine ed i minerali. Alcuni nutrienti come le vitamine ed i minerali vengono aggiunti come molecole sintetizzate dall’uomo tenendo però presente che esse sono già presenti nelle cellule vegetali ossia in natura. La supplementazione con le forme sintetiche serve solo ad aumentarne la concentrazione e, in alcuni casi, la biodisponibilità. Nella nutrizione degli animali da reddito esistono anche additivi “alieni”, ossia non presenti in natura, che hanno la funzione di promotori di crescita ma che ormai, almeno in Europa, non sono più utilizzabili nella vacca da latte.

La nutrizione degli animali da reddito è profondamente diversa tra specie monogastriche come i polli, le galline ed i suini e quelle poligastriche come i ruminanti ossia bovini, ovini, caprini e bufalini. Nei monogastrici i nutrienti principali vengono assorbiti nei loro costituenti più semplici nell’intestino, esistendo infatti una relazione diretta tra quanto apportato e quanto assorbito come aminoacidi, acidi grassi, glucosio, vitamine e minerali. Nei ruminanti ciò è vero  solo parzialmente, è infatti valido solamente per la quota di nutrienti che riescono a superare indenni l’attività fermentativa ruminale. In realtà quando si alimenta una bovina da latte gli obiettivi del nutrizionista sono quelli di massimizzare, ed al minor costo possibile, la crescita della biomassa ruminale favorendo quella che produce maggiormente, come prodotto terminale, un acido grasso importante come l’acido propionico.

Le regole che la nutrizione di base segue per decidere quali e quanti nutrienti apportare per soddisfare tutte le classi di fabbisogni della bovina da latte derivano dalle tabelle delle necessità nutritive oppure dai più complessi modelli matematici oggi disponibili. Se i fabbisogni oggi ritenuti  lo “stato dell’arte” fossero completamente affidabili e validi in tutte le condizioni non avremmo quelle serie di dismetabolie che ricadono nell’area di competenza della medicina della produzione, che nel caso della bovina da latte viene meglio definita come “dairy production medicine”( DPM ).

Questa branca della medicina veterinaria si occupa principalmente delle malattie metaboliche, della fertilità e dell’immunità degli animali da reddito che producono latte. La nutrizione clinica è tra gli strumenti principali della DPM, e si occupa di come modulare l’apporto dei nutrienti in funzione delle variazioni dell’assetto ormonale e metabolico della vacca da latte e di come contribuire all’ottimizzazione della fertilità e del sistema immunitario nelle bovine. Il fatto che, anche con un’applicazione ottimale della nutrizione di base e delle migliori tecniche d’allevamento, ci possa essere un’incidenza elevata di malattie metaboliche, di sub-fertilità e di scarsa immunità è da considerarsi normale per due ragioni fondamentali. La prima è che tra ricerca ed evoluzione genetica c’è un considerevole disallineamento temporale ossia le tecniche d’allevamento ed i fabbisogni nutritivi degli animali evolvono, in genere, più lentamente rispetto ai continui “riassetti ormonali e metabolici” imposti dalla selezione genetica. Spesso si ha la sensazione che il continuo afflusso di nuove generazioni bovine in allevamento trovi non sempre adeguatamente preparati allevatori, zootecnici e veterinari. L’altra ragione è che gli animali, anche i più selezionati ed omogenei, sono individui ossia non rispondono nella stessa maniera allo stress della produzione per cui hanno bisogno di interventi mirati e personalizzati se non altro per gruppi omologhi.

La nutrizione clinica pertanto, da un lato utilizza i nutrienti, modulandone gli apporti, come principi attivi farmacologici e dall’altro va in “deroga” temporanea o permanente dei fabbisogni nutritivi, ritenuti lo stato dell’arte, per gestire essenzialmente la sub-fertilità, l’immunità e le malattie metaboliche. Un uso estremizzato della nutrizione clinica è quella tecnica definita da molti nutraceutica che vede proprio nell’uso “ amplificato “ di alcuni nutrienti le sue fondamenta. L’esempio più classico di utilizzo della nutrizione clinica è nella gestione della sindrome della sub-fertilità o meglio di quello che è di competenza della nutrizione. La bovina, nei primi 3 o 4 mesi di lattazione, viene alimentata con una dieta formulata dal nutrizionista di base con l’obiettivo della massima concentrazione energetica possibile e contemporaneamente di garantire una grande assunzione giornaliera di sostanza secca. Questa impostazione consente alla bovina di disporre di una grande quantità di megacalorie giornaliere necessarie per modulare l’inevitabile bilancio energetico negativo di questo periodo. Il bilancio proteico negativo di questa fase invece, si può evitare attraverso l’esatta conoscenza dei fabbisogni e di quali siano i rischi effettivi di un eccesso di questo nutriente. Lo stesso si può dire per la concentrazione di NSC, grassi, minerali e vitamine.

Le razioni così concepite devono avere delle “accortezze” al loro interno necessarie per prevenire o gestire le sempre in agguato malattie metaboliche di questo periodo o quei nutrienti in grado di stimolare gli ormoni necessari alla fertilità o addirittura di stimolare, per quanto possibile, il sistema immunitario. Dei nutrienti funzionali agli obiettivi prima esposti ne verrà amplificato l’uso e in fasi ben precise del ciclo produttivo della bovina da latte preferibilmente dietro prescrizione veterinaria. La sola ricerca di razioni alla più alta concentrazione energetica possibile, tecnicamente molto semplice da realizzare, non ha dato nei fatti quei risultati positivi sperati sulla fertilità.  Per avere un ovocita di ottima qualità, un  follicolo in grado di produrre la massima quantità possibile di ormoni steroidei e per avere un utero in grado di accogliere e nutrire adeguatamente l’embrione almeno fino alla placentazione,  si possono utilizzare le indicazioni della nutrizione clinica a completamento di quanto viene prescritto  dalla nutrizione di base. Tutto questo per tutta la fase sia di lattazione che d’asciutta perché, come più volte indicato su queste pagine, la qualità dei follicoli si condiziona solo nel lungo periodo. Il compito del nutrizionista clinico è quello di intervenire modulando i nutrienti fino alla nutraceutica, o andando in deroga ai fabbisogni, quando la nutrizione di base non è in grado di gestire al meglio la salute delle bovine. Sempre nell’ambito  della sindrome della sub-fertilità si può fare l’esempio dei disordini minerali del puerperio che tanto condizionano la vita produttiva e riproduttiva della bovina. I fabbisogni minerali ideali, se correttamente applicati, sia in asciutta che in lattazione sono in grado di assicurare il massimo livello di sanità e fertilità delle bovine.

Esiste tuttavia, a causa o di forti carenze o eccessi di macrominerali nei foraggi destinati in genere in asciutta ma anche in lattazione, la necessità di andare in deroga ai fabbisogni variando gli apporti giornalieri oppure sovra dosando zolfo e cloro per tentare di ottimizzare la calcemia del periparto. Questi interventi, fisiologicamente molto “delicati”, richiedono un percorso diagnostico preciso che va dal monitoraggio delle patologie legate ai disturbi del metabolismo minerale, all’esecuzione degli esami emato-chimici e alla diagnostica individuale e collettiva. Questo per evitare che la cura abbia effetti più nefasti della patologia che s’intende curare o prevenire, oppure che l’intervento adottato non risulti efficace. Altro esempio di ricorso alla nutrizione clinica per gestire al meglio la fertilità e l’immunità è quello della possibilità di stimolare la produzione dell’insulina nel periparto e d’intervento nei confronti dell’insulino-resistenza.

La nutrizione di base, consapevolmente o meno, adottando diete iper-energetiche e quindi ricche di amidi e grassi, cerca di stimolare già nel close-up la secrezione pancreatica d’insulina, cercando di non esasperare una già fisiologica insulino-resistenza. Questo obiettivo però non deve e non può essere perseguito “alla cieca” perché il rischio di creare un danno superiore a quanto si voleva risolvere, è molto alto. A diete così realizzate il nutrizionista clinico può chiedere deroghe sia perché il pH ruminale è eccessivamente basso e sia perché si evidenziano i segni nefasti dell’insulino-resistenza. In questi casi, oltre alla deroga dall’obiettivo della razione alla più alta concentrazione energetica possibile, verranno adottati i dettami della nutrizione clinica nell’utilizzo di alcuni acidi grassi, aminoacidi e additivi in grado di aiutare l’organismo nella gestione complessiva dell’insulina per quello che si sa sia l’effetto sia sulla fertilità che sull’immunità. Ultimo esempio è quello della gestione nutrizionale della vacca grassa. Tutti i sistemi di calcolo dei fabbisogni della bovina da latte sono basati sul soddisfacimento delle necessità per il mantenimento, la crescita, la produzione, la riproduzione e la ricostruzione delle riserve energetiche. Quando si ha la priorità di gestire un eccessivo accumulo di peso delle bovine, causato da un erronea gestione della rimonta, dell’asciutta e della fine lattazione, è necessario adottare, oltre all’ovvia riduzione dell’apporto energetico, quelle cautele per evitare in fasi delicate come l’asciutta di sommare agli effetti negativi del sovrappeso sulla salute e la fertilità delle bovine quelli ancora più gravi della lipidosi epatica. In quest’ultimo caso la nutrizione clinica interverrà con quei nutrienti o principi attivi in grado di accompagnare, fino alla totale ossidazione, gli acidi grassi provenienti dal tessuto adiposo, scongiurando, o meglio tentando di farlo, la  loro riesterificazione epatica in trigliceridi o la produzione di corpi chetonici.

In conclusione la nutrizione clinica e la nutrizione di base sono due facce della stessa medaglia. La prima di maggiore competenza medica e l’altra più adatta al percorso formativo delle scienze agrarie e quindi degli zootecnici. In comune hanno l’obiettivo di massimizzare la produzione, la salute e il benessere nella coerenza delle motivazioni che spingono gli allevatori di allevare animali da reddito.