L’elevata incidenza di patologie e l’eccessiva mortalità delle vitelle da rimonta nelle stalle da latte sono un problema che ancora persiste in molti allevamenti. Secondo quanto contenuto nella review di Emma Cuttance e Richard Laven, pubblicata su The Veterinary Journal (256 -2019- 105356) dal titolo “Estimation of perinatal mortality in dairy calves”, si stima una mortalità perinatale che oscilla tra il 5 e il 10% nel mondo.
Più complesso è quantificare la prevalenza delle patologie e i danni a lungo termine che esse possono provocare sulla futura carriera produttiva degli animali. A causa del dilagare dei casi di antibiotico-resistenza, tutte le pratiche di metafilassi antibiotica applicate sulle vitelle da rimonta al fine di tenere sotto controllo le malattie infettive devono essere abbandonate, per cui l’igiene e la profilassi vaccinale sono aspetti di fondamentale importanza.
Al fine di trovare le migliori soluzioni per rendere il più possibile efficiente il sistema immunitario dei giovani ruminanti, è bene conoscerne in modo approfondito la fisiologia e tenere presente l’importanza del colostro. Nei ruminanti i rapporti tra madre e feto sono intermediati da una placenta di tipo sindesmocoriale o cotiledonare. Attraverso i placentomi possono passare al feto acqua, gas, molte sostanze nutritive o tossiche, e infezioni. Non possono invece transitare molecole di grandi dimensioni come le immunoglobuline (Ig) e molte altre.
Nelle prime settimane di vita il tratto gastrointestinale deve compiere un rapido percorso di maturazione al fine di poter assorbire i nutrienti necessari per il sostentamento e la crescita del vitello. Il vitello nasce privo di immunoglobuline, e quindi dell’immunità acquisita o adattativa, mentre può disporre di quella innata, anche se nei primi giorni di vita è ancora poco efficiente. Nei mammiferi che hanno una placentazione diversa da quella dei ruminanti, durante la gravidanza la madre trasferisce al feto anche le immunoglobuline. Nei ruminanti il trasferimento degli anticorpi dalla madre al feto avviene solo dopo la nascita attraverso il colostro.
Le immunoglobuline G (IgG) sono quindi il tipo di anticorpi più importante nei bovini, in particolare le IgG1. Queste vengono prodotte dalle plasmacellule (linfociti B) e rappresentano il 75% del totale delle IgG sieriche. Già 5-6 settimane prima del parto inizia la colostrogenesi, ossia l’accumulo all’interno della mammella del colostro.
Le ultime settimane di gravidanza sono caratterizzate da profonde modificazioni ormonali nella madre che coincidono, e in parte condizionano, con il trasferimento delle IgG1 dal siero al colostro. Già un mese prima del parto la concentrazione sierica di estrogeni si innalza, mentre corticosteroidi, GH e prolattina lo fanno più tardivamente e molto vicino al parto. Di converso, il progesterone cala in quest’ultimo periodo. Le variazioni dell’assetto ormonale, soprattutto degli estrogeni, dell’ultima fase di gravidanza influenzano, direttamente e indirettamente, il trasporto selettivo delle IgG1 nel colostro. La concentrazione sierica di progesterone nella madre cala vistosamente a fine gravidanza, e ciò coincide con il calo di quella delle IgG1 del sangue. Esiste anche un effetto omeoretico del GH che può stimolare il trasferimento delle immunoglobuline. Ad oggi non è chiaro se la produzione di colostro sia proporzionale al numero di cellule epiteliali mammarie.
La composizione analitica del colostro è molto diversa sia da quella del latte di transizione, ossia quello prodotto dopo il colostro, che dal latte propriamente detto. Una corretta assunzione di colostro è essenziale per la sopravvivenza dei vitelli durante il periodo neonatale, perché esercita fenomeni metabolici ed endocrini sistemici transitori e ha anche effetti più duraturi, soprattutto per quanto riguarda l’immunoprotezione e lo stato nutrizionale. Pertanto, il colostro è solo quello della prima munta o, nel caso di allattamento naturale, quello che si trova preformato nella mammella dopo il parto. Come si evidenzia nella sottostante tabella, nel colostro la concentrazione di IgG1 è molto elevata, come pure la concentrazione di ormoni come l’IGF-1, la prolattina, l’insulina e il glucagone.
In uno studio norvegese condotto da S. M. Gulliksen, K. I. Lie, L. Sølverød e O. Østera, dal titolo “Risk Factors Associated with Colostrum Quality in Norwegian Dairy Cows” e pubblicato sul Journal of Dairy Science (doi:10.3168/jds.2007-0450), viene riportato che nelle 1250 bovine presenti nei 119 allevamenti considerati, il contenuto di IgG nel colostro campionato variava da 4 a 235 g/L, con una mediana di 45,0 g di IgG/L, con il 10°, 25°, 75° e 90° percentile pari a 23,1, 31,4, 63,6 e 91,6 g di IgG/L, rispettivamente.
Complessivamente, il 57,8% dei campioni di colostro conteneva meno dei 50 gr/L di IgG desiderati. Il vitello in natura, ossia alimentato direttamente dalla madre, si allatta molte volte al giorno attraverso piccoli pasti e riesce a bere un volume di colostro pari al 10-15% del suo peso. Il peso dei vitelli alla nascita di razza frisona è di circa 45 kg, per cui la quantità giornaliera di colostro che può essere assunta è di circa 6 kg. Per avere la massima capacità di assorbimento intestinale di IgG1 il vitello deve bere 4 litri di colostro entro 6 ore dalla nascita e altri 2 litri nelle ore successive.
Continuare a somministrare colostro oltre le 24 ore di vita non è di alcuna utilità per evitare il Failure Passive Transfer (FPT), ossia il fallimento parziale o totale del trasferimento di anticorpi dalla madre al feto. Oltre alla quantità e alla tempestività della somministrazione, è importante che il colostro sia di qualità, intesa soprattutto come concentrazione di IgG1. Si considera essere di buona qualità un colostro che ha una concentrazione di IgG1 > 50 gr/L. Si considera accettabile una concentrazione ematica di IgG1, a 24 ore di età, di minimo 10 gr/L, considerando che la biodisponibilità delle immunoglobuline, ossia il tasso di assorbimento intestinale, è di circa il 35%. Per escludere la FPT si possono dosare semplicemente le proteine totali sieriche considerando che nelle prime 24 ore di vita esiste tra loro e le IgG1 una buona correlazione (0.71).
Il colostro fornisce al vitello neonato molti nutrienti essenziali e molti dei suoi importanti effetti sono anche dovuti alle sostanze non nutritive disponibili. L’assunzione di una corretta quantità di colostro e la sua qualità provocano “drastici” cambiamenti morfologici e funzionali del tratto gastro-intestinale (GIT). Esiste una quasi totale convergenza della comunità scientifica e di quella dei tecnici sugli aspetti fin qui trattati, e il livello di adozione di questi paradigmi è negli allevamenti in costante crescita. A seguito di queste regole è diventata routine nelle stalle il controllare la qualità del colostro con i colostrometri e i rifrattometri, e il congelamento di quello di migliore qualità al fine di rendere possibile la somministrazione del colostro nei tempi e nelle quantità raccomandati. Più complesso è invece l’argomento relativo a come migliorare la quantità e la qualità del colostro qualora siano insufficienti. Si considera normale una produzione di colostro di 6 ± 3.7 kg per bovina, che corrisponde di fatto alla quantità consigliata da somministrare al vitello entro le 12 ore di vita.
Sono molto numerosi i fattori che influenzano la qualità e quantità del colostro prodotto dalle bovine da latte: nutrizione, condizioni ambientali, tempo dal parto alla mungitura, numero di parti, lunghezza del periodo d’asciutta, difficoltà al parto, peso, sesso e vitalità del vitello, BCS delle bovine e livello produttivo. La denutrizione, ad esempio, riduce la formazione di colostro, mentre un’elevata concentrazione nutritiva della dieta di preparazione al parto ne migliora la quantità e qualità. Alcuni sistemi ormonali come l’IGFs possono essere modulati dalla nutrizione, ed in particolare dalla concentrazione di aminoacidi sierici. Alcune evidenze scientifiche riportano gli effetti positivi sulla qualità del colostro di antiossidanti come il selenio e la vitamina E.
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