Nell’allevamento dei ruminanti da latte, cioè bovine, bufale e pecore, vengono utilizzati diversi additivi allo scopo di migliorare la loro salute e la produzione. Su molte di queste molecole rimane però sempre il dubbio della loro reale efficacia. Non è questo il caso della colina. Per i ruminanti da latte, come le bovine, la fine della gravidanza e l’inizio della lattazione sono  periodi molto difficili da un punto di vista metabolico, al punto che la maggior parte delle patologie che le colpiscono vedono nel puerperio (0-20 gg dopo il parto) il picco di prevalenza. I grandi sconvolgimenti ormonali, l’aumento dei fabbisogni energetici e proteici e la bassa capacità d’ingestione delle ultime due settimane di gravidanza e delle prime settimane di lattazione causano in molte bovine un accumulo di acidi grassi nel fegato come trigliceridi (TG), derivanti dal dimagrimento tipico di questo periodo. Quando la loro presenza supera l’1% (sul tal quale) si può già parlare di lipidosi epatica (LE). La patologia viene considerata lieve se la concentrazione di TG è compresa tra l’1% e il 5% e grave se >10%. Dalle molte ricerche effettuate si stima che un numero compreso tra il 20 e il 65% delle vacche da latte presenta una concentrazione epatica di TG >5%.

Due sono le principali cause di questa malattia. La prima è dovuta al para-fisiologico dimagrimento che inizia già prima del parto e continua nelle prime settimane di lattazione a causa del bilancio energetico e proteico negativo (alta domanda di nutrienti/insufficiente possibilità di assumerli). La seconda è legata al complesso acidosi ruminale subclinica – endotossicosi che insorge nella transizione (-20 + 20 gg) per una errata gestione dell’alimentazione. La lipidosi epatica impedisce il buon funzionamento del fegato con un impatto negativo sulla produzione di latte e dei suoi costituenti e sulla fertilità, e provoca un aumento del rischio per praticamente tutte le patologie metaboliche.

La misure nutrizionali e gestionali per prevenire la LP sono sostanzialmente le stesse che si adottano per gestire il bilancio energetico e proteico negativo, ma vengono rinforzate dall’aggiunta nelle diete della transizione della colina. Questa molecola, di difficile classificazione, appartiene, insieme all’amminoacido metionina, al gruppo dei “donatori dei gruppi metilici” ed è indispensabile per la sintesi della fosfatidilcolina, molecola coinvolta nell’assemblaggio di lipoproteine come la VLDL. E’ attraverso queste lipoproteine che il fegato si libera dei trigliceridi che vi si sono accumulati conseguentemente al dimagrimento. La bovina è in grado di sintetizzare la colina a partire dalla metionina (fosfatidiletanolamina → fosfatidilcolina)  ma le bovina da latte, e alcune pecore altamente produttive come la Lacaune, sono per definizione sempre carenti si questa molecola nella fase di bilancio energetico e proteico negativo.

E’ pertanto altamente consigliabile l’aggiunta di colina nelle diete di preparazione al parto e inizio lattazione ma a due condizioni. La prima è quella che la colina deve essere rumino-protetta (RP) in modo da non essere rapidamente e completamente distrutta dal rumine risultando quindi inutile. In un datato esperimento condotto nel Maryland si dimostrò come somministrando gr 326 di colina cloruro non rumino-protetta solo un 1 grammo ne arrivava all’intestino tenue.  La seconda condizione è che il dosaggio deve essere adeguato. In commercio si trovano diverse coline RP con una concentrazione del principio attivo che va dal 25 al 60% a differente capacità di by-pass e biodisponibilità intestinale. Ottimale ed efficace è la dose di gr 15-20 capo/giorno di principio attivo. In condizioni di alta prevalenza della lipidosi epatica  si consiglia il trattamento per tutto il periodo di asciutta, magari in associazione al glicole propilenico. Nei casi meno gravi è sufficiente l’inclusione in tutta la fase di transizione, ossia in piena fase di bilancio energetico e proteico negativo. L’efficacia di questo additivo si misura valutando la produzione di latte, l’incidenza di tutte le malattie metaboliche e alcuni parametri della fertilità come la ripresa dell’attività ovarica dopo il parto e il tasso di concepimento al primo servizio, sempre che sia stato stabilito correttamente il periodo volontario d’attesa.