L’ipocalcemia clinica è una patologia facilmente diagnosticabile nelle bovine da latte che rimangono al suolo dopo la prima o la seconda munta. Questo fenomeno avviene quando il calcio ematico è inferiore a 1,50 mmol/L e viene abitualmente trattato con infusioni endovenose a base di calcio. Fortunatamente, però, i fenomeni di ipocalcemia clinica, grazie alle strategie alimentari, si sono ridotti fortemente attestandosi a valori tra il 3-5%.
Molto più diffuso, e complesso per le sue correlazioni con le altre patologie puerperali, è il fenomeno dell’ipocalcemia sub clinica. Questa colpisce circa il 45% delle pluripare nei giorni dopo il parto (Reinhardt et al 2011). Il livello di ipocalcemia sub clinica si situa tra 1,5 e 2,1 mmol di calcio per litro di sangue, e tutti gli studi che hanno correlato questa condizione con le altre patologie puerperali hanno rilevato una maggior percentuale di dislocazione dell’abomaso e una minor produzione di latte rispetto agli animali normocalcemici (Neves et al 2018).
Molto importante è il momento in cui si effettua la valutazione della discalcemia: infatti, se durante il primo giorno di lattazione questo fenomeno non è correlato con rischi di metriti e dislocazioni, quando questo avviene al 3° e 4° giorno la correlazione è assai elevata.
Anche la produzione di latte delle vacche ipocalcemiche al primo giorno è migliore delle normocalcemiche, mentre l’ipocalcemia al terzo giorno è correlata negativamente alla produzione di latte, l’endometrite e il normale ritorno alla ciclicità.
Si possono così suddividere gli animali in: vacche normocalcemiche, ipocalcemiche in prima giornata, persistentemente ipocalcemiche e normocalcemiche in prima giornata e ipocalcemiche alla quarta.
In più di uno studio (Neves, Seely, Caixeta) l’ipocalcemia subclinica in prima giornata è correlata ad una maggior produzione di latte nei primi settanta giorni, a significare che l’attività del paratormone è assai efficiente nonostante la grande produzione di colostro, mentre una calcemia bassa al quarto giorno suggerisce che il fabbisogno di inizio lattazione ha “scombinato” i meccanismi biologici capaci di mantenere le concentrazioni corrette di calcio ematico.
La percentuale di vacche gravide al primo servizio è assai ridotta in vacche discalcemiche (18,1% vs 27,4% delle normocalcemiche), e i giorni al primo concepimento sono stati, in media, 16 in più (Seely et al 2023).
Anche l’attività ruminale ha una correlazione con l’ipocalcemia dal momento che le contrazioni ruminali fanno affidamento sulla concentrazione di calcio nel citosol.
Nelle prime due settimane dopo il parto, vacche discalcemiche hanno ruminato per circa 32 minuti in meno rispetto alle normocalcemiche (480 Vs 512).
L’omeostasi del calcio viene influenzata da tre fattori chiave:
- eccessiva perdita di calcio con il colostro, con variazioni individuali in ragione della quantità prodotta, ma anche in ragione della concentrazione di calcio per litro;
- peggioramento del riassorbimento intestinale di calcio;
- il riassorbimento di calcio dalla matrice organica dell’osso può non essere sufficientemente rapido (specialmente in gravidanza avanzata), per mantenere inalterato il livello di calcio plasmatico.
Ma come far fronte all’ipocalcemia subclinica post parto?
Le infusioni sottocutanee o endovenose di calcio sono efficienti solo in caso di ipocalcemia clinica, dal momento che l’emivita del calcio ematico dopo la somministrazione è assai breve. Negli ultimi anni hanno preso piede i trattamenti per via orale tramite boli di calcio, grazie anche alla facilità di somministrazione. Essi sono somministrati in due dosi: uno al parto e uno in prima giornata.
Gli studi scientifici non hanno mostrato effetti positivi su produzione di latte, condizioni di salute e parametri riproduttivi, dimostrando che solo una piccola parte della popolazione può trarre beneficio dal trattamento; mentre se osserviamo le sottopopolazioni, le vacche sopra la media di produzione ne beneficiano al contrario delle basse produttrici.
D’altro canto, le vacche zoppe o con BCS >3,5 hanno minori possibilità di incorrere in problemi di salute se trattate con i boli. Seely et al 2022, hanno dimostrato che l’effetto dei boli di calcio è molto rilevante in vacche dal terzo parto in su, al contrario delle primipare e secondipare che non hanno dimostrato una maggior produzione di latte. Sembrerebbe quindi che di questa strategia beneficerebbero solo le vacche dal terzo parto in poi.
Nell’eziopatogenesi dell’ipocalcemia un fattore assai importante è l’attività ormonale della costellazione paratormone (PTH)/1,25(OH)2 D3 (il primo dei due stimola la produzione della seconda a livello renale) vs calcitonina e fattore di crescita dei fibroblasti 23(FGF23). Infatti, i primi due stimolano la mobilizzazione del calcio e del fosforo a livello osseo, mentre i secondi esercitano un’attività contraria. Naturalmente, questi meccanismi sono regolati da feedback di natura endocrina.
L’ossidazione della vitamina D3 avviene quasi completamente nel rene, in minore quantità in altri organi (fegato e mammella). Tutti i metaboliti della vitamina D circolano nel sangue legati a delle proteine (DPB vitamina di binding protein) della famiglia delle albumine. L’attività biologica della vitamina D è esercitata in primo luogo attraverso i recettori della vitamina D intracellulari.
Il sistema endocrino che fa riferimento alla vitamina D è parte del sistema che controlla il calcio e il fosforo ematici e scheletrici. La diminuzione del calcio ematico stimola il PTH, come avviene nelle vacche post parto; quest’ultimo, a sua volta, provoca la sintesi dell’1,25(OH)2D3 e stimola gli osteoclasti a mobilizzare calcio e fosforo dalle ossa. La vitamina D attiva stimola inoltre l’assorbimento gastrointestinale del calcio e del fosforo.
Il contrario accade quando il calcio ematico è elevato ed entra in azione la calcitonina che inibisce l’attività dell’idrossilasi che produce la vitamina D attiva. Anche l’FGF23 in risposta al fosforo ematico inibisce la sintesi della vit D.
La perdita irreversibile di calcio nel latte all’inizio della lattazione richiede un’efficiente omeoresi di questi ormoni. Inoltre, tutti i fenomeni infiammatori (metrite) risultano in un sequestro di calcio dai tessuti, minor ingestione e ridotta funzionalità ruminale.
Purtroppo, la vitamina D3 nella sua forma alimentare tradizionale non è efficiente come il suo metabolita attivo. Nell’ultimo periodo è stato ammesso all’uso nei ruminanti il 25(OH) vitamina D3. La sua somministrazione bypassa l’ossidazione epatica garantendone un’efficacia molto superiore. Inoltre, permette di espletare anche la funzione immunomodulante tipica della vit.D. Anche la riduzione del fosforo alimentare nel preparto, inibendo l’attività del FGF23, permette una miglior attività del PTH.
Tutte queste nuove strategie devono però integrare, e non sostituire, quella che negli ultimi 20 anni ha costituito lo strumento più efficace per prevenire l’ipocalcemia, cioè l’acidificazione/anionizzazione della dieta delle bovine in close-up.
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