Negli allevamenti di ruminanti da latte la fertilità è in cima alla classifica delle priorità dal momento che è intimamente legata alla produttività dell’allevamento. Anche se apparentemente sembra prevalere l’atteggiamento di resa del ricorrere all’uso sistematico delle sincronizzazioni ormonali, nella bovina da latte la maggior parte degli allevatori e dei veterinari cerca di trovare soluzioni nella gestione e nella nutrizione di questi animali. Fare un uso razionale degli ormoni, come del resto degli antimicrobici, è possibile a patto che si utilizzi un metodo analitico per risolvere i problemi e non si preferisca la “scorciatoia”, o meglio il “condono tombale”, delle sincronizzazioni ormonali sistematiche. Gli ormoni, come del resto tutti i farmaci disponibili per gli animali da reddito, sono una risorsa fondamentale da utilizzare con parsimonia solo negli animali che hanno problemi. Ad inequivocabile testimonianza di questo il paradosso del fatto che la metafilassi antibiotica e la “metafilassi ormonale” sono pratiche promosse non dalle industrie farmaceutiche ma da alcune multinazionali della genetica e talune aziende che si occupano di nutrizione animale. Il “silenzio” intelligente dell’industria del farmaco sulle pratiche farmacologiche metafilattiche deriva dalla consapevolezza del rischio di un potenziale impatto negativo sulla salute umana e sulla sensibilità dei consumatori.

Elevata è l’attenzione all’energia della razione, o meglio a contrastare il bilancio energetico negativo negli animali selezionati per produrre latte, ed in particolar modo nelle bovine, per opporsi alla ridotta fertilità. Due sono i nutrienti a cui maggiormente ricorrono i nutrizionisti per aumentare la concentrazione energetica della razione delle bovine “fresche” e non gravide: i grassi e gli amidi. I grassi hanno il vantaggio di avere un’elevatissima concentrazione energetica e quindi di non occupare molta “sostanza secca” della dieta. Inoltre, il loro meccanismo d’azione è noto, anche se molti sono gli effetti collaterali negativi proprio sulla fertilità. L’amido è invece un nutriente a basso costo la cui conoscenza e modalità d’impiego è chiarissima nella nutrizione dei monogastrici mentre è notevolmente più complessa nei ruminanti.

Quando in allevamento si segnalano disordini riproduttivi riconducibili a deficit energetici solitamente il nutrizionista aumenta la concentrazione energetica della razione incrementando la quantità di cereali, inevitabilmente a discapito dei foraggi, o per meglio dire dei carboidrati strutturali. La combinazione di inserimento di amidi nella dieta e calo della quantità di saliva prodotta, per la riduzione delle “fibre lunghe”, porta ad una riduzione del pH ruminale. Questa condizione è ideale per quella parte del microbiota che fermenta gli amidi, ma anche per la bovina da latte perché i batteri amilolitici producono acido propionico che nei ruminanti è il precursore ideale del glucosio e quindi dell’energia. Dipende dall’abilità del nutrizionista mantenere il pH ruminale al limite dell’acidosi ruminale (pH < 5.60 per oltre 180 minuti al giorno) per avere la massima quantità di propionati prodotti.

La quota preponderante dei batteri ruminali, detti anche fibrolitici o cellulosolitici, è quella che fermenta i carboidrati strutturali. La maggior parte di questi batteri sono gram-negativi, come il Fibrobacter succinogenes, il Butyrivibro fibrosolvens, il Selenomonas ruminantium e la Megasfera elsdenii. Questi ultimi due sono anche importanti consumatori di acido lattico. Quando il pH ruminale scende al di sotto del 6.40 i batteri cellulosolitici entrano in forte difficoltà e con pH prossimi alla soglia dell’acidosi ruminale muoiono massivamente liberando nel fluido ruminale significative quantità di parti dello loro parete cellulare che sono classificate come endotossine, o meglio lipopolisaccaridi (LPS). In un organismo i LPS possono essere liberati da gram-negativi anche nel corso delle infezioni uterine, dell’intestino, dei polmoni e nel corso di mastiti. Una concomitante aumentata permeabilità degli epiteli (tight junction) che rivestono questi organi può consentire l’ingresso nel sangue e nel sistema linfatico di queste endotossine. I LPS possono anche essere assorbiti dai villi intestinali. Si definisce endotossiemia metabolica quando la concentrazione di LPS circolanti è dalle 10 alle 50 volte più bassa di quella concomitante allo shock settico. Quando queste tossine incontrano i macrofagi presenti sia nel fegato che nel sangue, o lungo il sistema linfatico, la reazione di questi importanti membri del sistema immunitario innato è quella di produrre citochine pro-infiammatorie, ed in particolare IL-1, IL-6 e TNF-α. Le endotossine che attraverso la vena porta giungono direttamente al fegato stimoleranno la produzione delle proteine della fase acuta SAA, HP, LBP e CRP. Quello che succede successivamente, a causa del contatto diretto dei LPS con i tessuti o tramite le citochine pro-infiammatorie o le proteine della fase acuta, è un profondo riassetto del metabolismo per preparare al meglio una risposta immunitaria sistemica contro quella che è genericamente interpretata dall’animale come un’infezione da gram-negativi. La bovina, o meglio un ruminante, non sa distinguere la provenienza dei LPS e quindi un’elevata morte di gram-negativi ruminali in seguito ad un pH troppo basso viene “letta” come un’infezione cronica da parte di questa classe di batteri in qualche distretto dell’organismo.

Durante i mesi caldi, e già nella fase antecedente allo stress da caldo, la bovina, per evitare l’innalzamento della temperatura corporea, promuove la vasodilatazione periferica per aumentare la dispersione del calore. Questa condizione sicuramente favorevole aumenta però la probabilità e la quantità di LPS che si trasferiscono nel sangue. Un organismo che deve far fronte ad un’infezione batterica riassetterà il metabolismo in modo da risparmiare risorse nutritive rallentando alcune funzioni metaboliche non prioritarie e programmandolo in modo che ci sia una maggiore disponibilità di glucosio e amminoacidi per il metabolismo del sistema immunitario, specialmente cellulo-mediato. Le endotossine, una volta penetrate nell’organismo attraverso, in questo caso, gli epiteli del tratto gastrointestinale, vengono trasportate dal sangue e dal sistema linfatico solitamente legate ad una proteina della fase acuta chiamata LBP (lipopolysaccharide binding protein). Solitamente le LBS trasferiscono i LPS alle cellule dotate di recettori tipo TLR4 che sono abbondantemente presenti nei macrofagi. E’ stato notato che l’elevato polimorfismo dei geni che codificano i TLR4 influenza molto sia il sistema immunitario che la riproduzione nella bovina da latte.

Le endotossine batteriche esercitano la loro interferenza direttamente, stimolando la produzione di citochine pro-infiammatorie da parte dei macrofagi e dei monociti e quella dei glucorticoidi. Sia i LPS, che i glucocorticoidi e le citochine IL-1-IL-6 e TNF-α intervengono sull’asse ipotalamo-ipofisi-ovaio a vari livelli, ma tutti con l’obiettivo di “rallentarel’attività riproduttiva che da un punto energetico e amminoacidico è molto dispendiosa, sia nel breve che nel medio e lungo periodo. La riproduzione non ha mai e in nessun caso alcuna priorità sul metabolismo. In questa condizione verrà ridotta la secrezione pulsatile del GnRH e dell’LH e, a livello le fluido follicolare, la concentrazione di LPS si equilibrerà con quella ematica. Oltre alla riduzione della produzione ipofisaria delle gonadotropine si verificherà anche una ridotta espressione dei recettori per le gonadotropine ipofisarie presenti sulle cellule della teca e della granulosa del follicolo. Questo quadro endotossicosico può influire sulla crescita e la differenziazione dei follicoli, compreso quello dominante, ed interverrà inoltre sulla produzione di estrogeni e successivamente su quella di progesterone da parte del corpo luteo. I LPS avranno effetti diretti e indiretti sul tasso di crescita della blastociste e ,quindi, sulla sua capacità di produrre INF-τ,  sulla stimolazione della produzione di PGF e, di conseguenza, di induzione della luteolisi.

Il TNF-α ha una funzione importante nella modulazione del metabolismo in caso di endotossicosi. Questa citochina a livello epatico stimola la produzione delle proteine della fase acuta, induce l’insulino-resistenza al fine di aumentare la glicemia, e quindi la disponibilità di glucosio da parte dei leucociti, e aumenta il catabolismo lipidico e proteico nei tessuti di stoccaggio. Sappiamo dall’esperienza clinica di molti veterinari e dalle molte ricerche effettuate sull’argomento che la metrite puerperale, l’acidosi ruminale, la mastite sia clinica che sub-clinica e la dermatite digitale predispongono le bovine alla sub-fertilità.

Che ci sia un “robusto” link tra bilancio energetico e amminoacidico e fertilità è evidente, ma nei ruminanti la definizione stessa di energia e di come agevolarne l’approvvigionamento è un tema complesso proprio in virtù del fatto che questi animali, per la loro peculiare fisiologia, ricorrono più volentieri alla gluconeogenesi che all’assorbimento diretto di glucosio dall’intestino tenue. E’ evidente che il precursore più importante per la gluconeogenesi è il propionato che deriva dalle fermentazioni ruminali degli amidi, ma è proprio la produzione di LPS il limite da non oltrepassare.

Una disattenzione del nutrizionista può quindi creare il paradosso di avere una razione con livelli molto elevati di energia, perché in grado di stimolare al massimo la produzione epatica di glucosio, un buon aspetto delle bovine e un’ottima produzione ma anche una pessima fertilità.

Concentrarsi invece sulla ottimizzazione della crescita del microbiota ruminale, specialmente della frazione cellulosolitica, per aumentare la produzione di glucosio a partire dagli amminoacidi gluconeogenetici, può essere un valido supporto all’approvvigionamento energetico, evitando i “blocchi riproduttivi” innescati dai LPS. Il ricorso a cellulose ben digeribili, sia da foraggi che da concentrati, associate ad una buona qualità di proteine solubili può essere una saggia soluzione, anche se non è premiata dalle principali equazioni di calcolo dell’energia ma dal metabolismo della bovina. La selezione genomica ci potrà in futuro aiutare ad avere lattazioni con picchi produttivi meno elevati e più posticipati e lattazioni più persistenti, in modo da evitare la coincidenza tra picco produttivo e fine del periodo volontario d’attesa.