Il successo di un’impresa dipende dalla capacità dell’imprenditore di produrre beni o servizi che rispondano perfettamente alla domanda dei clienti, di gestire con “intelligenza” il conto economico e di scegliere come collaboratori le persone giuste. C’è anche quel pizzico di fortuna che non guasta mai, ma che in termini scientifici è difficile da definire.

Avere le persone giuste al posto giusto, e il saperle motivare e gestire, sono le vere qualità di un buon imprenditore e di un manager. Ci sono aziende direttamente gestiste da proprietari o da manager “narcisisti” che vedono nei collaboratori solo precisi e accondiscendenti esecutori di ordini, ma molte di queste hanno ben pochi successi.

L’aforisma “l’occhio del padrone ingrassa il cavallo” è un concetto giusto ma arcaico, che altro non è che l’ultima ratio che ha l’imprenditore che non sa delegare e che non sa scegliere i giusti collaboratori.

L’agricoltura, e nello specifico gli allevamenti, sono imprese per lo più padronali dove la motivazione economica e quella edonistica convivono in proporzioni tra loro molto variabili. Gli allevatori di ruminanti solitamente gestiscono in proprio l’allevamento e la campagna, in genere affiancati da parenti stretti e operai per lo più stranieri. Le aziende che forniscono agli allevatori beni e servizi, a meno che non siano multinazionali, sono anch’esse spesso padronali ed impiegano collaboratori per lo più italiani. Pur tuttavia, stanno crescendo nel nostro paese allevamenti di grandi dimensioni di proprietà di società che spesso si occupano di tutt’altro e che delegano a personale specializzato la gestione di queste aziende.

Sia gli allevamenti che le imprese che operano in zootecnia hanno molto spesso in comune il problema di trovare manodopera generica o specializzata. Il metodo maggiormente utilizzato è il passa parola oppure il rivolgersi ad agenzie di ricerca del personale, ma il più delle volte far incontrare la domanda e l’offerta di lavoro nelle filiere zootecniche è molto difficile.

Molto utile, in quanto breve e sintetico, per definire questo problema non marginale è il termine inglese mismatch.

Per dare opportunità ai giovani di entrare nel mondo del lavoro e ai senior di ricollocarsi, la scuola superiore e l’Università hanno un ruolo fondamentale. Sacrosanta e irrinunciabile è la cultura di base, aspetto criticato da taluni ma vero fondamento della qualità e della resilienza dell’uomo. Pur tuttavia, quando si è nella fase di formazione e aggiornamento professionale, il contatto con il mondo del lavoro è fondamentale per meglio tarare i percorsi formativi. Non sono molti gli atenei che si confrontano con le parti sociali per meglio definire i migliori percorsi didattici per le lauree magistrali e specialistiche; e lo stesso problema si riscontra con molte scuole professionali.

Altro grande scoglio è la modalità d’ingresso nel mondo del lavoro. Un giovane laureato o diplomato cerca lavoro inviando montagne di curriculum alle aziende oppure cerca un affiancamento a professionisti individuati spesso senza un criterio specifico. Quando gli allevamenti cercano personale specializzato da adibire alla mungitura, alla gestione della vitellaia, alla preparazione delle razioni e in campagna, la ricerca diventa molto complessa. Per non parlare della difficoltà di trovare un direttore d’allevamento o un capo stalla. Lo stesso succede quando le industrie cercano agenti di commercio e tecnici, ma anche figure interne.

Se è vero che le risorse umane condizionano nel bene e nel male il successo di un’impresa, è vero allora che tra le priorità per il nostro paese deve esserci quella di rimodulare la didattica, l’aggiornamento professionale e il metodo con cui, soprattutto i giovani, possono entrare nel mondo del lavoro.

Importante è che nell’agenda politica il mismacth sia affrontato e gestito con la massima urgenza. Nel mio vissuto, continuamente ricevo richieste e offerte di lavoro, come succede probabilmente a molti dei miei colleghi. E’ urgente che si crei un contenitore dove si possano incontrare la domanda e l’offerta di lavoro e dove le imprese e la didattica possano reciprocamente condizionarsi, dal momento che a volte le imprese, e soprattutto gli allevamenti, cercano profili professionali che non esistono più o che non sono mai esistiti. Per definire i percorsi didattici professionali si dovrebbe partire dalla definizione di quale mansioni servono e di quale debba essere la più corretta retribuzione. Molti master di primo e secondo livello è vero che fanno percorsi didattici moderni e interessanti ma spesso chi vi partecipa riesce a spiegare male alle imprese quale vantaggio deriverebbe da un loro impiego.

Per concludere, credo sia alquanto inopportuno attribuire la causa delle difficoltà che le imprese spesso hanno nel trovare il personale necessario al fatto che i giovani d’oggi non hanno voglia di lavorare. La didattica si deve chiedere se i suoi insegnamenti siano ancora adeguati per preparare i giovani alla vita e al lavoro. Le imprese si devono chiedere se il profilo professionale che cercano e il livello retributivo che intendono erogargli siano razionali e i giovani devono metabolizzare il fatto che il modello di lavoro attuale è molto diverso dagli stereotipi che magari hanno acquisito in famiglia.