La qualità genetica raggiunta dalle bovine da latte, e dalla razza frisona in particolare, è davvero sorprendente. Nulla da eccepire sui suoi fenotipi produttivi. Le Holstein allevate nel mondo in ambienti, latitudini, climi, tipi di gestione e alimentazione estremamente diversi esibiscono performance produttive molto simili, a testimonianza dell’elevato livello genetico raggiunto e della sua omogeneità.
Senza andare molto lontano, è sempre affascinante confrontare le produzioni della frisona in Lombardia ed in Emilia-Romagna. Si tratta di un’area geografica vasta ma molto omogenea ubicata nella pianura padana, ma con una profonda differenza sul come nutrire le vacche da latte dovuta al disciplinare di produzione del Parmigiano Reggiano. Le razioni che si fanno in Lombardia sono completamente differenti da quelle per le bovine allevate nel territorio di produzione di questa DOP, anche se la genetica è molto simile se non identica.
Nel 2021, le 566.583 frisone lombarde socie ANAFIBJ hanno prodotto mediamente 11157 kg di latte al 3.90% di grasso e 3.37% di proteina. Le 206.204 frisone emiliano-romagnole controllate da AIA hanno mediamente fatto 10225 kg di latte al 3.77% di grasso e al 3.37% di proteine. La differenza produttiva delle due regioni è stata pertanto di circa 3 kg di latte/capo. Mi sarebbe piaciuto confrontare i dati riproduttivi ma è un’informazione che non ritengo sia affidabile al 100% per cui è bene ometterla. Anche se una differenza media di 932 kg di latte tra le due regioni attigue è molto elevata, il tipo di concentrazione nutritiva e gli alimenti utilizzabili nei due contesti non la giustificano.
E’ ormai da tempo che ci siamo accorti che la nutrizione ha un importanza sempre minore nel determinare il livello produttivo delle bovine da latte mentre ha un’influenza decisamente importante sulla loro fertilità e salute. Sono passati ormai tanti anni da quando si facevano le razioni per il livello produttivo che si desiderava ottenere. C’erano le diete per fare 27 kg di latte e quelle per i 30 kg, e per chi voleva esagerare c’erano anche quelle per i 35. Si immaginava che la nutrizione potesse gestire la produzione di latte come un acceleratore condiziona la velocità di un automobile: più si pigia e più si corre. I genetisti hanno a tal punto modificato le priorità metaboliche delle bovine di alto potenziale genetico, e non solo di razza frisona, che le “fresche”, ossia quelle nelle prime settimane di lattazione e che non sono ancora gravide, e le avanti in lattazione sembrano ormai appartenere a due “specie” diverse. I genetisti non mi risulta abbiano mai attivato un dialogo approfondito con i fisiologici e i nutrizioni che si occupano di ruminanti da latte quando allestiscono o modificano gli indici genetici. Quando i professionisti che si occupano di management, sanità e nutrizione delle bovine si trovano a dover gestire problemi complessi come la fertilità, la longevità funzionale, le malattie metaboliche e quelle infettive, non possono non porsi domande sulla variabile genetica. In molti di noi c’è il pensiero che una selezione così spinta le abbia rese “ingestibili”, o che addirittura abbia causato difetti enzimatici e metabolici.
Il fare razioni “alte d’energia” comunque e a prescindere per risolvere buona parte dei problemi di stalla ha fatto il suo tempo, altrimenti dovremmo vedere una differenza abissale tra la fertilità delle bovine allevate nel comprensorio del Parmigiano Reggiano rispetto a quelle del comprensorio del Grana Padano, almeno nelle stalle dove si utilizza la TAI solo nelle bovine diagnosticate ipofertili e non a tappeto. Il concetto di bilancio energetico negativo nella fase di transizione e nelle prime settimane di lattazione è fuorviante, come forse lo è l’utilizzare la concentrazione energetica di una razione, soprattutto nei ruminanti da latte. Molte sono le molecole coinvolte nella sintesi ex novo del glucosio e il mantenimento della omeostasi glicemica è un meccanismo biochimico estremamente complesso. Più che di Joule o megacalorie si dovrebbe parlare di gruppi di molecole e delle loro profonde interazioni prima di arrivare a stimare, cosa oggi impossibile, quante molecole di ATP può far produrre una determinata razione. Ho più volte descritto, accanto al classico bilancio energetico negativo, il bilancio amminoacidico negativo, quello dei gruppi metilici e quello di taluni acidi grassi essenziali.
A fronte della premessa fin qui fatta, è tempo di introdurre il concetto di bilancio glicemico negativo che è una condizione tipica delle bovine fresche ma che sembra abbia il nadir nella prima settimana di lattazione, periodo in cui sia le riserve di glicogeno epatico che quelle di proteine labili muscolari si riducono al minimo, per non dire che si esauriscono. Per il glucosio esiste nella prima fase di lattazione una competizione esasperata tra la mammella e il sistema immunitario in un contesto in cui servirebbe invece da parte di quest’ultimo un’estrema efficienza per contrastare le infezioni uterine tipiche del puerperio e l’ingresso in circolo di grandi quantità di endotossine di derivazione oltre che uterina anche ruminale, soprattutto da razioni che cercano di contrastare senza se e senza ma il bilancio energetico negativo. Quando i genetisti hanno “lavorato” per metterci a disposizione bovine altamente produttive e che fanno un latte ad elevato contenuto di grasso e proteina hanno dovuto scegliere i riproduttori che avevano degli assetti ormonali e metabolici coerenti con questi obiettivi. Questi animali hanno però alcuni “difetti” piuttosto gravi, come la difficoltà a riprodursi e un sistema immunitario di limitata efficienza, soprattutto quando è sotto pressione. A testimonianza di ciò il fatto che l’infertilità e la mastite sono le prime due cause di rimonta precoce, e quindi di scarsa longevità funzionale. Gli zootecnici e i veterinari, per cercare di risolvere questi “effetti collaterali” molto negativi della selezione genetica, hanno dovuto introdurre tecniche come la metafilassi antibiotica a tappeto alla messa in asciutta, per tenere sotto controllo le mastiti e nel puerperio, e dopo il parto per limitare la prevalenza della metrite puerperale. Per risolvere invece la scarsa fertilità si è diffusa la tecnica della TAI, e quindi l’utilizzo delle sincronizzazione ormonali sistematiche. L’opinione pubblica non vede di buon occhio l’intensa “medicalizzazione” degli allevamenti, e concetti come l’uso razionale dei farmaci si stanno diffondendo a macchia d’olio.
Per trovare un equilibrio tra prestazioni produttive elevate e un buon livello di salute e fertilità è necessario ai nutrizionisti un cambio di mentalità, ossia passare dal rigido conoscere e applicare pedissequamente i fabbisogni nutritivi, che per definizione non sono mai aggiornati visto il rapido divenire del progresso genetico, ad approfondimenti di endocrinologia e biochimica. Il nutrizionista moderno deve avere una profonda conoscenza di questi campi del sapere per trasformarsi da nutrizionista di base a nutrizionista clinico. Sarà poi compito degli alimentaristi quello di trovare il miglior compromesso tra fabbisogni nutritivi, alimenti disponibili e costi alimentari, e fare le più opportune manutenzioni delle razioni. E’ necessario mettere in condizione le bovine adulte in produzione e non ancora gravide, e quelle in preparazione al parto, di potere disporre della più grande quantità possibile di glucosio, in modo da trovare un equilibrio tra gli elevatissimi fabbisogni di glucosio della mammella e quelli delle cellule del sistema immunitario.
Non bisogna mai dimenticare che la capacità dell’intestino di collaborare all’approvvigionamento del glucosio è nei ruminanti molto limitata, e che la maggior parte di queste molecole viene sintetizzata attraverso la gluconeogenesi a partire da alcuni amminoacidi, propionato, l-lattato e glicerolo. Le cellule dell’epitelio alveolare mammario hanno trasportatori di glucosio di tipo GLUT-1, ossia non insulino dipendenti, che conferisco alla mammella e al metabolismo basale l’assoluta priorità metabolica. Le cellule del sistema immunitario per proliferare, differenziarsi, esercitare la fagocitosi e produrre ROS hanno un’elevatissima necessità di glucosio e di aminoacidi. Ad esempio, nelle 12 ore successive ad un’iniezione di endotossine, la richiesta di glucosio del sistema immunitario aumenta fino a 1.5 kg, che è simile a quella necessaria alla produzione di 40 kg di latte. Il resto dei tessuti non mammari ha un consumo molto basso di glucosio.
In conclusione, si può condividere il fatto che i nutrizionisti abbiano necessità di un approccio olistico alla nutrizione dei ruminanti da latte di alto merito genetico per trovare il migliore equilibrio tra elevate prestazione produttive e i fenotipi “funzionali”.
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