La fertilità, di cui abbiamo spesso scritto, è sicuramente il vero problema degli allevamenti di bovine da latte anche perché se queste non partoriscono non fanno il giusto latte, e per partorire devono rimanere gravide. Uno degli aspetti più controversi e dibattuti è quanto la qualità dei follicoli e dell’ovocita sia in grado di condizionare la fertilità e se i trattamenti ormonali possano prescindere da tutto questo. Il problema è che le varie opinioni che si generano sull’argomento sono spesso condizionate da interessi e quando si cerca il conforto delle evidenze scientifiche si tende a cercare e considerare solo quelle che confermano la propria teoria (confirmation bias). Personalmente ritengo che una posizione equilibrata sia la più efficace.

I trattamenti ormonali hanno un valore inestimabile per recuperare le sempre troppe bovine con difficoltà riproduttive e i cocktail ormonali, o meglio le molte varianti dell’Ovsynch, danno un grande aiuto in tal senso. L’applicazione di routine a tutte le bovine ha senso però solo se in allevamento ci sono oggettivamente problemi insormontabili nella rilevazione dei calori e se le bovine hanno difficoltà ad esibire un normale comportamento estrale. Certamente, l’auspicio che l’uso routinario di Ovsynch e delle sue varianti diventi il gold standard nella gestione della riproduzione della bovina da latte lascia molto perplessi e sicuramente non potrà essere accettato dai consumatori.

Nel 1997 fu pubblicato sul Journal of Dairy Science (80:301-3016), da J.R. Pursley, M.R. Kosorok e M.C. Wiltbank, un rivoluzionario lavoro intitolato “Reproductive management of lactating dairy cows using synchronization” che gettò le basi scientifiche per la nascita e poi il successivo brevetto di Ovsynch. Da allora molte sono state le declinazioni del “sync”, come il Presynch, l’Heathsynch, il Cosynch, il Select synch, il G6gsynch, il CIDR synch, il Double ovsynch, etc.

Generalmente, chi consiglia l’uso routinario di questi metodi non considera la qualità dei follicoli, dei successivi corpi lutei e dell’ovocita, ritenendo che ulteriori trattamenti ormonali con impianti di progesterone (CIDR e PRID) o hCG possano comunque risolvere il problema senza doverne ricercare la causa nel complesso metabolismo della bovina da latte e negli innumerevoli fattori di rischio che incontra durante tutto il suo ciclo produttivo. La selezione genomica e la gestione del metabolismo della bovina da latte possono invece dare un contributo sostanziale alla qualità di follicoli e ovociti. Gli obiettivi che per anni hanno condizionato la selezione genetica, e cioè l’aumento della produzione di latte, grasso e proteina, hanno inevitabilmente “esasperato” il bilancio energetico e proteico negativo delle prime settimane di lattazione, vero grande fattore metabolico che condiziona negativamente, direttamente ed indirettamente, la qualità dei follicoli, dei corpi lutei, degli ovociti e degli embrioni. La bovina non è geneticamente meno fertile del passato, lo è perché la nutrizione non è in grado di “restituirgli” appieno i tanti nutrienti utilizzati dalla mammella per produrre latte, grasso e proteine, generando appunto un bilancio energetico e proteico, o meglio amminoacidico, negativo che può persistere per diverse settimane dopo il parto.

Due sono i concetti propedeutici al comprendere e condividere in pratica che la nutrizione, o meglio la prevenzione delle dismetabolie, può condizionare la qualità delle strutture ovariche e la loro funzionalità e che gli ovociti, dai quali si vorrebbe ottenere una gravidanza dopo la fine del periodo volontario d’attesa, sono contenuti in follicoli che vogliono essere “informati” su cosa chimicamente succede all’esterno. Il primo è che per un follicolo candidato alla dominanza, e quindi all’ovulazione, dalla fase primordiale a quella ovulatoria passano oltre quattro mesi. E questo vale anche per le corti follicolari che lo accompagnano. Il secondo concetto invece considera il fatto che una “discontinuità” nei fattori di crescita ormonali e nei nutrienti causerà alterazioni irreversibili ai follicoli non sanabili con alcun trattamento ormonale vicariante.

Per far comprendere intimamente questo fenomeno anche ai non addetti ai lavori utile è la metafora della coltivazione del mais. Per avere un raccolto di trinciato di mais si utilizza abitualmente un mais classe 700, ossia che arriva a maturazione, dopo la semina, in 135 giorni, periodo analogo a quello necessario alla maturazione di un follicolo dalla fase primordiale a quella ovulatoria. Per la produttività del mais da trinciato, la salute delle cariossidi e la digeribilità di tutta la pianta è fondamentale che tutta la sequenza delle operazioni, che vanno dalla lavorazione della terra, alla semina, ai trattamenti fitosanitari, le concimazioni, l’irrigazione fino alla raccolta, sia eseguita “secondo arte”. Un errore in una di queste operazioni può irreversibilmente compromettere la qualità finale della pianta del mais. Nessun agricoltore che conosce bene il ciclo del mais si stupisce di un cattivo raccolto se ci sono state cattive pratiche agronomiche nelle fasi precedenti. Allo stesso modo non ci si dovrebbe stupire di anaestri, degenerazione cistica del follicolo, deboli comportamenti estrali, morti embrionali precoci o fallimenti degli inevitabili trattamenti ormonali per cercare di recuperare e precocemente una gravidanza.

L’imponente selezione naturale che ha fatto evolvere la riproduzione dei mammiferi ha posto molte barriere da superare prima di permettere ad una gravidanza di instaurarsi o proseguire. Per una femmina di mammifero una gravidanza è un situazione metabolica molto impegnativa che presuppone l’accesso a grandi quantità di nutrienti, specialmente se la gravidanza si deve instaurare in contemporanea con la massima produzione di latte. Molte sono le “ricognizioni metaboliche” che la bovina compie per garantire una crescita armonica dei follicoli. Nella fase preantrale del follicolo, che dura circa tre mesi, sono molto importati i fattori di crescita ormonali sistemici come l’IGF-1, ormone prodotto principalmente dal fegato dietro stimolazione dell’ormone somatotropo (GH). L’IGF-1 è il più potente ed efficace fattore di crescita cellulare e viene secreto se nel sangue c’è una sufficiente quantità di nutrienti, ed in particolare di amminoacidi. Questo ormone accompagna e stimola la crescita del follicolo dall’inizio alla fine della sua “vita”, a meno che episodi di varia durata, come una cattiva alimentazione in asciutta o nelle prime settimane di lattazione o le malattie metaboliche, non ne riducano la secrezione. Esiste anche una produzione locale follicolare (autocrina e paracrina) dell’IGF-1.

Altri fattori di crescita follicolare importanti sono le gonadotropine ipofisarie FSH e LH che svolgono un ruolo decisivo nella crescita dei follicoli nella fase antrale. Il livello di questi due ormoni condiziona la maturazione del follicolo, la sua capacità di produrre estrogeni e la futura qualità del corpo luteo. Un ruolo importante nella modulazione della secrezione pulsatile delle gonadotropine ipofisare è svolto dal GnRH ipotalamico che, come è ben noto, viene secreto dopo un’attenta ricognizione metabolica che riguarda anche le endotossine. Una bassa concentrazione ematica di glucosio, di insulina e di IGF-1 sottoregola il recettore StAR (Steroidogenic Acute Regulatory Protein). Inoltre, il fluido follicolare è in “equilibrio” con la concentrazione ematica di BHBA, NEFA, glucosio e urea. In aggiunta a questo, per una corretta produzione di estrogeni e progesterone è necessario un buon aflusso, rispettivamente al follicolo e al corpo luteo, di colesterolo dal fegato attraverso le LDL (Low Density Lipoprotein).  

Si può pertanto concludere che, in attesa che la selezione genomica ci renda disponibili in stalla bovine meno difficili da ingravidare, molte sono le possibilità offerte dall’industria farmaceutica e dalla nutrizione clinica. Pensare però che solo con la nutrizione o i farmaci si possa migliorare la fertilità in allevamento è un atteggiamento che può essere fuorviante.