Il latte è un “miscuglio” complesso di molecole che si è selezionato da quando sono apparsi i primi mammiferi sulla terra. Il suo scopo è quello di nutrire i nascituri e di dargli una buona salute. Dalla domesticazione degli animali, per i soggetti dotati di lattasi, il latte è stato utilizzato anche dagli uomini adulti, e ciò estende fino alla tarda età i vantaggi derivanti dal consumo di questo alimento.

La ridotta o assente presenza di lattosio nei latti fermentati e in molti formaggi ha permesso di allargare a tutti la possibilità di giovare dei vantaggi offerti dal latte. L’avanzare delle conoscenze sulla nutrizione e l’invecchiamento della popolazione ha portato ad avere una maggiore attenzione sugli alimenti e su alcuni nutrienti in essi contenuti. Un complesso di patologie molto attenzionate sono quelle cardio-vascolari (CVD) e la sindrome metabolica, che per molti aspetti sono altamente correlate. In Italia, le CVD sono responsabili del 34,8% dei decessi e si stima che nel Regno Unito 7,5 milioni di persone convivano con queste patologie.

Molti sono i fattori di rischio. Oltre alla predisposizione genetica, al fumo, all’abuso di alcol e alla vita sedentaria, l’alimentazione gioca un ruolo importante.

Gli acidi grassi saturi (SFA), e la loro correlazione positiva con il colesterolo LDL (LDL-C), sono un importante fattore di rischio per le CVD ma anche la sindrome metabolica. Per tenere sotto controllo il colesterolo, le lipoproteine che lo veicolano nel sangue come le VLDL, l’HDL e le LDL sono consolidati biomarker. La comunità scientifica consiglia un livello di colesterolo totale nel sangue < 200 mg/dl, una concentrazione di HDL > 60 mg/dl e una di LDL tra 100 e 130 mg/dl, anche se per i soggetti a rischio CVD si raccomanda di stare addirittura sotto a 55 mg/dl. Le LDL contengono la maggior parte del colesterolo e sono co-responsabili della formazione delle placche aterosclerotiche dei vasi.

All’interno del latte troviamo oltre 400 acidi grassi diversi, di cui alcuni probabilmente vantaggiosi per salute e altri probabilmente dannosi. Ho volutamente utilizzato il condizionale perché nonostante siano migliaia di anni che l’uomo consuma i prodotti del latte ci sono nella ricerca ancora molte contraddizioni. Nel latte ci sono preziosi minerali e vitamine, e nelle caseine e sieroproteine possiamo trovare molti aminoacidi importanti. Sempre nel latte sono contenuti tanti peptidi bioattivi. Ci sono poi i grassi, di cui alcuni hanno effetti sicuramente positivi ed altri forse negativi per la salute.

Per meglio tentare di dare una risposta alla domanda contenuta nel titolo di questo articolo è bene ricordare come avviene l’arricchimento degli acidi grassi del latte. Gli acidi grassi del latte sono in parte sintetizzati ex-novo dalla mammella e in parte captati dal sangue e senza alcuna modifica incorporati nel latte. Gli acidi grassi a corta carta e media catena, ossia da C4:0 a C14:0, vengono sintetizzati a livello mammario partendo dagli acetati e dai butirrati prodotti dalle fermentazioni ruminali. In presenza di elevate quantità di propionato vengono sintetizzati anche il C15:0 e il C17:0. Il C16:0 e il C16:1 derivano o da una sintesi ex-novo a livello mammario o da un’incorporazione di quelli presenti nel sangue che irrora la mammella. Gli acidi grassi saturi (SFA), i monoinsaturi e polinsaturi a lunga catena vengono captati dal sangue e incorporati senza trasformazioni nel latte, e derivano dalla dieta oppure dal tessuto adiposo.

Il paradigma corrente nell’alimentazione umana è mantenere la quota di grassi della dieta intorno al 30% delle calorie necessarie, possibilmente ricorrendo maggiormente agli acidi grassi monoinsaturi (MUFA) e polinsaturi (PUFA) anziché ai SFA. Sembrerebbe certo che il consumo degli acidi grassi saturi a media catena (MCFA), come il C12:0 (acido laurico), il C14:0 (acido miristico) e il C16:0 (acido palmitico), sia positivamente correlato con le LDL-C. Gli acidi grassi a corta catena (SCFA) e i LCFA, come il C18:0 (acido stearico), hanno un effetto neutro sulle CVD. Ad oggi si ha una quasi consolidata certezza che i MUFA, i PUFA e i trans C18:1 abbiano effetti positivi sulla salute umana. Non sempre però gli isomeri trans degli acidi grassi sono un tocca sana per la salute. Questa tipologia di acidi grassi di derivazione industriale sembrerebbe essere dannosa per la salute del cuore e dei vasi sanguigni. Si riconosce anche il ruolo positivo dei coniugati dell’acido linoleico che sono omega 6.

La concentrazione degli singoli acidi grassi nel latte è molto variabile, perché dipende dalla genetica, dalle caratteristiche degli animali, dalla stagione e dall’alimentazione. Alcuni lavori riportano che nel latte invernale delle bovine statunitensi il 65% del grasso è costituito da acidi grassi saturi (SFA), il 28% da MUFA e il 7% da PUFA. I prodotti lattiero-caseari apportano dal 40 al 60% degli SFA assunti dalle popolazioni che li consumano.

Attraverso l’alimentazione dei ruminanti è possibile modulare la presenza di alcuni acidi grassi nel latte al fine di ridurre la concentrazione di SFA aumentando i MUFA e i PUFA.

Alcune metanalisi riportano che la sostituzione dell’1% dei carboidrati con SFA aumenta le LDL-C di 0.032 mmol/L, mentre con i cis-MUFA e/o PUFA le LDL-C si riducono rispettivamente di 0.009 e 0.0019 mmol/L. In un’altra metanalisi viene riportato che la sostituzione dell’energia alimentare da SFA con PUFA comporta una riduzione complessiva del 10% del rischio di malattia coronarica per ogni 5% di energia da incremento dei PUFA. La sostituzione dell’1% di energia da SFA con PUFA abbassa l’LDL-C, con una probabile riduzione delle CVD. Quando attraverso la dieta giungono nel rumine gli acidi grassi contenuti negli alimenti, essi subiscono importanti processi di lipolisi e di bioidrogenazione se hanno doppi legami. A causa di ciò si sviluppano nel rumine isomeri dell’acido linoleico (C18:2) e dell’acido oleico (C18:1) come trans-11 C18:1 (Trans-MUFA o R-TFA). Come abbiamo detto in precedenza, al contrario degli effetti dannosi accertati dei TFA prodotti dall’industria sulla CVD, quelli naturali presenti nel latte hanno esiti o nulli o addirittura positivi.

Nei ruminanti introdurre nell’alimentazione semi integrali, panelli di oleaginose o il pascolo potrebbe arricchire il latte di R-TFA. Il seme di lino integrale estruso ha effetto sullo specifico arricchimento del latte di acido linolenico (C18:3 n-3). Nelle diete dei ruminanti sia da latte che da carne allevati indoor, a causa dell’elevata percentuale di concentrati delle razioni, la quantità di acidi grassi volatili e ioni idrogeno è molta alta, come rapida è la velocità di transito ruminale del cibo ingerito. In queste condizioni i MUFA e i PUFA presenti nelle diete subiscono importanti processi di bioidrogenazione e una grande quantità di isomeri di questi acidi grassi insaturi può arrivare nell’intestino tenue ed essere assorbita. Il trans-11 C18:1, il trans-9, cis-11 C18:2 e il trans -10, cis -12 C18:2 sono in grado di ridurre anche di molto la percentuale di grasso nel latte. Quest’ultimo, anche noto come CLA, è un coniugato dell’acido linoleico e bastano 3-4 grammi di questo acido grasso per ridurre del 25% la percentuale di grasso del latte. Pertanto, per avere la certezza di diminuire nel latte e nella carne dei ruminanti la quota di SFA sostituendola con MUFA e PUFA è necessario ridurre, se ciò è possibile, nella loro dieta la quantità di concentrati, aumentando le fibre e proteggendo gli acidi grassi insaturi rendendoli rumino-indegradabili.

In conclusione però si deve dire che nonostante il latte abbia un contenuto di SFA del 70-75% molte evidenze scientifiche gli attribuiscono un ruolo cardio protettivo. Nel latte e nei formaggi ci sono agenti cardioprotettivi come il calcio e alcuni peptidi bio-attivi che sono poco presenti nel burro. I peptidi del latte hanno questo effetto perché inibiscono la conversione dell’angiotensina associata alla produzione di angiotensina II che è un potente vasocostrittore.