E’ noto che agli allevatori italiani di vacche da latte piace la genetica e investirci. Un piacere non fine a se stesso ma propedeutico e indispensabile per aumentare la produzione, la qualità del latte, la morfologia e perché no, i così detti caratteri funzionali. Ruminantia ha colto questo condivisibile interesse dedicandogli una rubrica su Ruminantia Mese, da sempre ottimamente gestita da Fabiola Canavesi.
Allo stato attuale non sappiamo se la crisi del prezzo del latte di fine 2014 abbia indotto gli allevatori italiani a “rallentare” gli investimenti sui “tori” di altissimo livello. Ci sono tuttavia riflessioni da fare in un momento come questo dove è doveroso mettere sotto osservazione ogni centro di costo del conto economico dell’allevamento. Osservando l’indispensabile strumento “Profilo Genetico Allevamento” dell’ANAFI, si nota che negli ultimi 10 anni c’è stata una differenza costantemente al di sopra dei kg 1100 tra il latte munto da ciascuna bovina rispetto al suo potenziale genetico. Lo stesso può dirsi sia per la percentuale che per i chilogrammi di grasso e proteina. In particolare, nel 2014 (ultimo dato disponibile) mancano all’appello kg 1391 di latte, lo 0.16% di grasso e lo 0.22%di proteine. Utilizzando come valore del prezzo del latte alla stalla in Italia quello dell’ultima rilevazione (Novembre 2015) della Commissione europea di euro 0.339/kg, si può facilmente quantificare in Euro 555 il mancato ricavo per ogni bovina di razza frisona che partecipa al programma di selezione genetica in Italia. Prendendo come riferimento la tabella di pagamento qualità della Lombardia, si vede come la franchigia per accedere ai premi sul grasso sia compresa tra 3.70 e 3.80% (p/v) e che per ogni linea centesimale sopra a tale livello si possono percepire 0.02065 euro/100lt. Relativamente alla proteina, la franchigia è tra 3.25 e 3.30%(p/v) e per ogni linea centesimale superiore si possono percepire euro 0.04648 ogni 100 litri. La nostra frisona ha prodotto, nel 2014, un latte al 3.78%(p/v) di grasso e al 3.39%(p/v) di proteina, e quindi a premio qualità. Nonostante questa ottima “performance fenotipica” mancano, sempre rispetto al potenziale genetico, lo 0.16% di grasso e ben lo 0.22% di proteina, valori che nei sistemi pagamento qualità per il latte alimentare potrebbero condizionare pesantemente il prezzo del latte alla stalla. Stesso ragionamento può essere utilizzato per il latte destinato alla produzione di formaggio, dove all’appello mancano ben kg 58 di grasso e kg 60 di proteina per ogni singola bovina. Ma perché c’è questa “cronica discrepanza” tra fenotipo latte, grasso e proteine e potenziale genetico? Sulla produzione pesano sicuramente i lunghi giorni di lattazione, dovuti principalmente ai lunghi interparti che purtroppo sembrano non migliorare in buona parte degli allevamenti italiani. Sulla concentrazione di grasso e sulla proteina la responsabilità principale, se non esclusiva, è della nutrizione delle vacche da latte, dove purtroppo alcuni pregiudizi pesano sulle scelte alimentari (le scuole di pensiero). La considerazione da fare e la domanda da porsi è: che senso ha investire così tanto sul miglioramento genetico dei caratteri produttivi? Questo considerando che in Italia nel secondo semestre del 2014 sono stati utilizzati sulla frisona, per 938.410 fecondazioni, tori con PFT 2162, latte +1054, +0.06 a grasso e + 0.04 a proteina. Non converrà maggiormente concentrarsi sui caratteri funzionali, così legati alla longevità funzionale e alla fertilità, e pianificare maggiormente la nutrizione e la gestione delle bovine? E’ come comprare automobili sempre più potenti ed efficienti ma aver dimenticato di fare una buona scuola piloti, per non farsi male.
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