Nel corso della recente Fiera Agricola di Verona il “rumor” di una riduzione del prezzo del latte alla stalla si mescolava ad un evento ben organizzato e con tanta gente. Tanto l’entusiasmo e la caccia alle fatture dove prendere atto del calo del prezzo. Il mercato del latte è abbastanza prevedibile e sorprende solo chi non segue i “numeri” o ha poca memoria. Si fa tanto latte da Gennaio a Giugno e pochissimo da Agosto a Dicembre. Storicamente il prezzo del latte segue questo andamento: l’industria lo paga meno in inverno e primavera e di più estate ed autunno, come se le vendite dei prodotti del latte e il loro prezzo al pubblico avessero lo stesso andamento. Alcune industrie lattiero-casearie (troppe) con questo metodo stabilizzano in realtà i loro bilanci. Spesso ripetiamo che il “diavolo fa le pentole e non i coperchi” perché questo arcaico meccanismo commerciale diventa sempre più difficile da sostenere dal momento che i numeri girano e la memoria diventa sempre più affilata.
La novità è che i consumi dei prodotti del latte sono in continuo ed incessante declino e di latti, intesi come materia prima, ce ne sono ormai di tanti tipi. C’è quello italiano, quello indifferenziato, quello d’alta qualità, quello biologico, quello no ogm, c’è il recente “latte fieno”, c’è quello per fare DOP e IGP e c’è anche il Latte Etico. Quindi in Fiera a Verona quale di questi latti doveva subire o ha subito un calo del prezzo? Non stiamo mica parlando di petrolio, dell’oro o della soia che sono tutti uguali in tutto il mondo! E di quale tipo parliamo quando si dice che ce n’è troppo?
Si ha sempre l’impressione che le notizie negative in agricoltura siano bombe ad orologeria, diffuse ad arte, e spesso inventate, quanto si è prossimi ad elezioni o in vicinanza dell’approvazione di leggi favorevoli ad una delle molteplici lobbies italiane. Sembra ormai consolidata la prassi che la trattativa del prezzo del latte sia tra i singoli produttori o le cooperative e l’industria, ossia che non sia più di competenza dei sindacati agricoli o della politica. Un particolare che sfugge è che quando vanno in difficoltà gli allevamenti ci va anche tutto l’indotto, cioè il secondario (industria e commercio) ed il terziario privato (professionisti), per cui occuparsene è sì un dovere morale ma anche un atto molto speculativo (siamo sulla stessa barca).
Il latte ha quindi molti volti, per cui parlare di latte spot e dell’andamento del prezzo del latte in Europa e nel mondo è sì interessante ma anche di scarsa ricaduta pratica. Chi segue con ansia il mercato del latte spot di Lodi e quello olandese penso avrà notato come sia completamente non correlato con il prezzo del latte alla stalla. Quando aumenta a dismisura, ossia in autunno, il valore del latte aumenta di poco, quando diminuisce, cioè in inverno e primavera, c’è la rincorsa a diminuire il prezzo alla stalla il più possibile. Sembra che il latte spot di Lodi serva solo come pretesto per ridurre, quando serve, il valore del latte.
Il nostro paese ha prodotto 11.523.000 di tonnellate di latte nel 2016. Di questo, circa la metà è stato utilizzato per produrre le DOP che ci auguriamo siano fatte solo di latte italiano, o almeno di questo è certo il consumatore. Il 10% serve per produrre il latte fresco, che ormai in buona parte reca in etichetta la dicitura regolamentata dalle legge “Latte italiano”. Delle rimanenti 4.523.000 tonnellate il 19% serve a produrre latte UHT, che in molti casi riporta l’origine del latte, e il 76% è utilizzato per formaggi non DOP, IGP e STG prodotti da caseifici industriali, artigianali o anche aziendali. Il 30% del latte viene ancora importato, anche se la tendenza è in riduzione. Nel primo semestre del 2017, nei confronti dello stesso periodo dell’anno precedente, l’importazione di latte dall’estero è calata del 19.5%, arrivando a 1.026.000 di tonnellate, forse perché il prezzo medio si è spostato da euro 26 a 33 euro/ton. Secondo noi pertanto parlare di prezzo del latte in Italia ha senso solo quando si fanno le statistiche.
Quando i rumor della Fiera, abilmente disseminati dai “portatori d’interesse”, parlano di una riduzione del prezzo del latte di 2 centesimi verrebbe da chiedere di quale categoria di latte stanno parlando e di come si potrebbe trovare latte alternativo da destinare alla produzione. Durante gli incontri che Ruminantia ha organizzato con la Farm Consulting, Arrigo Milanesi ha portato molti esempi di grandi industrie che cooperano con i fornitori in una politica economica e finanziaria molto più raffinata di quella antica e poco lungimirante del “tirare il collo ai fornitori” per trarre immediati più alti profitti, più tipica di un mercato delle spezie medio-orientale che di un settore industriale del mondo occidentale. Solo quando l’industria del latte comprenderà, come hanno fatto buona parte degli altri settori, che il fornitore di latte non è la controparte ma un partner con cui condividere un business si potranno mettere in atto tutte quelle misure di comunicazione e di ristrutturazione degli allevamenti funzionali ad arginare la fuga dei consumatori dai prodotti del latte. Nel frattempo, sta crescendo a dismisura il numero dei caseifici aziendali o agricoli che senza una particolare strategia stanno dando le risposte che la gente cerca, erodendo la produzione industriale e la vendita della GDO. E’ urgente dare un futuro ad un settore che oggi sicuramente non ne ha uno, non per colpa di qualche complotto o iattura, ma solo per l’incapacità di leggerlo!
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