Il perdurare della pioggia fino alla 22esima settimana di Maggio ha ritardato i raccolti di fieno che inevitabilmente è “invecchiato”, ossia ha visto aumentare la sua quota di fibra poco digeribile. Questo analiticamente significa una aumento dell’uNDFom e, a volte, di lignina. Dai primi giorni di Giugno le temperature sono drasticamente aumentate raggiungendo i valori tipici del periodo e quindi nella soglia di rischio dello stress da caldo.
Lo stress da caldo è una vera e propria patologia che colpisce le bovine da latte quando esse non sono in grado di adattarsi ad un aumento della temperatura esterna e dell’umidità. Sappiamo che questi animali, quando il THI è superiore a 78, attivano dei comportamenti e “riassettano” il metabolismo con la finalità di limitare la produzione di calore corporeo e facilitarne la dispersione. L’obiettivo di questo meccanismo è mantenere costante ed entro i limiti fisiologici la temperatura corporea. Quando il THI diurno è superiore a 72 e quello notturno è superiore a 62, le bovine rallentano l’ingestione e la mobilità e già questo provoca una riduzione della produzione di latte e del comportamento estrale.
Nella quasi totalità degli allevamenti intensivi sono ormai presenti ventilatori e docce per aiutare gli animali a rinfrescarsi e a disperdere così la temperatura corporea in eccesso. Le tettoie o le zone alberate, disponibili anche in alcuni allevamenti estensivi, evitano l’irraggiamento solare diretto e quindi l’acquisizione di calore dal sole da parte delle bovine. Spesso però tutto questo non basta e può succedere che una parte o tutte le bovine si “ammalino” di stress da caldo. Questa evenienza è facilmente diagnosticabile osservando gli animali. I due sintomi principali sono una frequenza respiratoria > 80 atti al minuto e una temperatura corporea > di 0.5°C rispetto alla norma, e quindi > 39.0°C. Se più del 10% delle bovine presenta questa sintomatologia clinica si può emettere una diagnosi di stress da caldo collettivo, dovuta al fatto che l’ambiente d’allevamento e la sua gestione non sono in grado di preservare il benessere di buona parte degli animali. Ciò significa che i sistemi di raffrescamento adottati non sono sufficienti o sono mal realizzati.
In queste situazioni la nutrizione può fare molto anche se non per la prevenzione. Durante la fase antecedente allo stress da caldo, a causa dell’aumento della frequenza respiratoria, le bovine sono sottoposte ad un’intensa evaporazione dell’acqua e all’eliminazione di alcuni importanti sali minerali. L’alterazione del comportamento alimentare e l’aumentata necessità idrica e di alcuni sali alimentari hanno come conseguenza un maggior rischio di acidosi ruminale sub-clinica e di acidosi metabolica, almeno nella fase precedente alla compensazione. Proprio in virtù dell’alterata fisiologia del rumine in estate, il grasso e la proteina del latte si riducono, non tanto come espressione di acidosi ruminale quanto per la ridotta capacità fermentativa del rumine e quindi per la minore produzione di biomassa microbica e acidi grassi volatili. Se si verifica una significativa riduzione dell’ingestione (almeno il 5%) si dovrebbero attuare radicali modifiche della razione, riducendo la percentuale di amido rumino-degradabile e aumentando la quota di NDFD.
Non sappiamo come sarà il THI al momento in cui verrà pubblicato questo articolo ma abbiamo la certezza che il fieno non potrà apportare la quota di NDFD necessaria, e il supporto della fibra digeribile dei concentrati fibrosi è comunque limitato. La scienza della nutrizione dei ruminanti conosce i nutrienti e gli additivi in grado di mantenere la fermentazione ruminale più elevata possibile, specialmente quando la quota di NDFD è limitata. Per garantire alla bovina un adeguato flusso di proteina metabolizzabile con un buon bilanciamento amminoacidico è consigliabile, in estate, integrare la razione, almeno delle bovine nelle prime settimane di lattazione, con fonti proteiche a bassa degradabilità ruminale, come il glutine di mais e le soia trattate termicamente. Consigliabile è anche l’adozione di aminoacidi by-pass, come la metionina e la lisina, da dosare seguendo il bilanciamento amminoacidico del CNCPS. Per aumentare la quota microbica della proteina metabolizzabile è necessario fornire al microbioma ruminale nutrienti che ne aumentino il tasso di crescita. Molto importanti sono lo zolfo e l’azoto non-proteico, che nella dieta delle bovine in lattazione hanno un rapporto ideale di 1:15. Da questa scelta trarranno sicuramente beneficio soprattutto i batteri cellolosolitici, solitamente in difficoltà d’estate e ancor più quest’anno dove si prevede una non eccezionale qualità del fieno e degli insilati di erba e cereali autunno-vernini.
Solitamente, le diete per bovine da latte si fanno con una concentrazione minima di zolfo dello 0.2% della sostanza secca. Quando la quota di NDFD è ridotta, questa concentrazione può essere aumentata fino allo 0.25% e quella di azoto non proteico (frazione A1 delle proteine del CNCPS) fino al 3.57%. Nei periodi di rischio per lo stress da caldo è consigliabile comunque non superare la concentrazione di proteina solubile del 5%, ritenuta ideale per le bovine in lattazione. Lo zolfo, anche nella forma inorganica, stimola la sintesi di tutti gli aminoacidi solforati, come la metionina. E’ necessario dosarne bene l’integrazione in quanto la concentrazione potenzialmente tossica inizia già a 3000 ppm, ossia allo 0.3%. L’integrazione con una quota corretta di zolfo aiuta anche ad evitare un eccessivo accumulo di lattato a livello ruminale.
Tra gli additivi funzionali ad aumentare la digeribilità della fibra troviamo anche i lieviti, sia vivi che spenti, che hanno meccanismi d’azione molto diversi ma sinergici proprio nello stimolare la crescita del microbioma ruminale. Di sicuro interesse sono i terreni di fermentazione dell’Aspergillus oryzae perché ricchi di enzimi non solo cellulosolitici ma anche amilolitici. Gli enzimi purificati sono costantemente presenti nelle diete dei monogastrici mentre nei ruminanti non vengono quasi mai utilizzati in quanto la loro struttura proteica subisce una rapida e completa degradazione da parte delle proteasi ruminali. I terreni di fermentazione degli aspergilli sono ricchi di enzimi che sono in buona parte al riparo dalla proteolisi ruminale. Infine, sono molto utili in estate la biotina, da utilizzare al dosaggio classico di mg 20/capo giorno, e la vitamina B12, di cui non è certa la quantità da integrare. Della biotina si conosce molto, in particolare riguardo agli effetti positivi che ha come fattore di crescita del microbioma ruminale soprattutto per la quota cellulosolitica. I fabbisogni estivi dei macrominerali sono ormai noti da tempo e condivisi. Li abbiamo riportati nella Tabella 1. La diffusione della tecnologia XRF e NIRS ha ridotto molto i costi delle analisi permettendo quindi un loro ampio ricorso e una maggior precisione.
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