Dopo molti decenni, i cittadini e i politici europei sono ancora in difficoltà nel farsi un opinione precisa se sia il caso di autorizzare la coltivazione su vasta scala del mais e della soia geneticamente modificata. Il problema è che l’opinione pubblica è divisa in OGM SI e OGM NO, non tanto perché abbia potuto attentamente valutare i pro e i contro e farsi un idea propria, quanto perché multinazionali come Monsanto pretendono di imporre i propri prodotti a prescindere e c’è inoltre un blocco pregiudiziale opposto da una considerevole fetta della popolazione. Quando negli anni 90 venne presentato il mais Bt 176 ( NaturalGard™KnochOut™), cioè una pianta che grazie all’inserimento di geni del Bacillus thuringiensis che producono un’endotossina velenosa per la Piralide( Ostrinia nubilasis), gli addetti ai lavori la videro con grande favore. Ciò permetteva di ridurre l’impiego d’insetticidi e quindi minori spese, maggiore produttività e maggiore sostenibilità ambientale. Rimaneva e rimane la perplessità legata alla biodiversità del mais. Quando però nel 1995 fu presentata la soia Rundap-Ready ( RR) della Monsanto, senza un adeguata informazione, anche “ gli addetti ai lavori” mostrarono perplessità ancora non risolte. La soia RR è una pianta in cui è stato inserirto il gene proveniente dal batterio Agrobacterium, che la rende insensibile al potente erbicida glifosato prodotto in esclusiva dalla stessa Monsanto nel periodo compreso tra il 1970 e il 2000. Oggi il glifosato è presente in molti altri preparati commerciali ed il principale diserbante in post-emergenza utilizzato nel mondo. Ci sono oggi anche varietà di cotone e colza RR. Nel 2005 l’85% della soia coltivata negli USA era RR e nel mondo il 60%. Ormai anche nel mai Bt è stato inserito il gene per la resistenza al glifosate. In sostanza, accanto all’inserimento di un gene che aiuta le piante a resistere naturalmente ad insetti pericolosi come la piralide, ne è stato inserito una altro in grado di conferire resistenza a dosi molto più elevate di glifosate, in nome di un sicuro aumento della produzione per unità di superficie coltivata a mais, soia, cotone e erba medica.
La domanda del consumatore, l’agricoltore e il politico che si sforza di farsi “ idee proprie” è: ma il glifosate è veramente innocuo per l’ambiente e per la salute dell’uomo? Troppi erbicidi e insetticidi che nel passato erano considerati sicuri con il passare del tempo si sono rilevati pericolosissimi. E’ difficile dimenticare il DDT, il lindano, l’atrazina, etc.etc. Cerchiamo di capire brevemente cos’è il glifosate. Abbiamo visto che si tratta di un erbicida ad ampio spettro da utilizzare in post-emergenza per impedire la crescita di piante infestanti che sottraggono risorse nutritive alle piante coltivate, contribuendo pertanto ad aumentare la produttività per unità di superficie coltivata. A condizionare sensibilmente l’efficacia del glifosate e l’impatto ambientale sono la quantità e il tipo di surfactante e adiuvante con il quale viene confezionato nelle numerose preparazioni commerciali ora disponibili. Ad oggi ci sono oltre 400 adiuvanti diversi, utilizzati dalle oltre 35 diverse aziende che lo commercializzano. Dalle ricerche fin qui effettuate a condizionare i residui nel suolo, nelle acque, negli alimenti destinati all’uomo e agli animali è, oltre alle quantità impiegate per diserbare, il tipo di adiuvante utilizzato.
Negli USA è ammessa una concentrazione massima negli alimenti destinati all’uomo e agli animali di 400 ppm. L’EPA (USA Environmental Protection Agency) dà per il glifosate una MCLG (Maximum Contaminat Level Goal) e MCL (Maximum Contaminat Level) di 0.7 mg/L nelle acque, per rischi all’apparato urinario e riproduttivo dell’uomo. Studi recenti hanno verificato l’impatto di varie preparazione a base di glifosate su linee cellulari del fegato umano (HepGe), per verificarne la tossicità e l’azione di disturbo sul sistema endocrino. I livelli “pericolosi” sono stati, rispettivamente,di 5 ppm e 0.5 ppm che grosso modo corrispondono ad una concentrazione 800 volte inferiore a quella consentita come residuo massimo negli alimenti negli USA. Conclusione: L’esigenza di aumentare la produttività delle superfici coltivate è ineludibile visto il tasso di crescita della popolazione mondiale e dell’aumento dei consumi verso gli standard occidentali da parte dei così detti paesi in via di sviluppo. D’altro canto l’immissione di xenobiotici nell’ambiente va accuratamente controllata e messa in sicurezza. La valutazione dell’impiego di OGM deve essere priva di pregiudizi.
E’ necessario tuttavia puntare più sulla resistenza alle malattie che sulla tolleranza ai fitofarmaci. Ciò per un dovere etico di salvaguardia della salute umana, per la potenziale e non accertata pericolosità degli xenobiotici e per rassicurare la assolutamente motivata perplessità europea all’autorizzare la coltivazione di questo tipo di OGM.
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