E’ innegabile che le temperature medie, minime e massime italiane e di tutta la terra stiano progressivamente crescendo. In aumento sono anche i fenomeni climatici estremi come le “bombe” di calore e d’acqua.

Buona parte degli allevamenti di bovini e bufali, per non dire tutti, si è dotata negli ultimi anni di sistemi di raffrescamento diretto degli animali per ridurre il rischio di stress da caldo.

Questa patologia, che si diagnostica con esami clinici oggettivi, interferisce negativamente con la produzione e la qualità del latte, e con la fertilità e la salute degli animali, e molti dei suoi effetti nefasti si prolungano in autunno e addirittura fino ad inizio inverno perché lo stress da caldo colpisce animali in ogni fase del loro ciclo produttivo.

Mentre il surriscaldamento del nostro pianeta sta avanzando inesorabilmente il miglioramento genetico dei ruminanti sta anch’esso proseguendo. La selezione genetica dei ruminanti inevitabilmente li porta a dover dissipare una quantità di calore sempre crescente sia di provenienza ruminale che metabolico, aspetto che la pressoché assenza della sudorazione rende molto difficoltoso.

Figura 1. Serie delle anomalie di temperatura media globale sulla terraferma e in Italia, rispetto ai valori climatologici normali 1991-2020. Fonte: NCDC/NOAA e ISPRA. Elaborazione ISPRA.

Fino ad alcuni decenni fa, per i bovini stabulati nelle stalle, era considerata innovativa, e in molti casi risolutiva, l’adozione di ventilatori installati orizzontalmente sulle corsie di alimentazione e sull’area di riposo o inseriti nelle pareti delle stalle a stabulazione fissa.

Con l’aumento della temperatura la sola ventilazione non è più stata sufficiente per cui si sono diffusi i sistemi di raffrescamento indiretto anche detto evaporativo che consistevano nella nebulizzazione dell’acqua ad alta pressione negli ambienti per ridurre la temperatura dell’aria in stalla.

Dopo decenni di efficacia questi impianti a nebbia non sono stati più in grado di prevenire lo stress da caldo per i motivi prima argomentati, ossia il surriscaldamento della Terra e la maggiore produzione di calore endogeno degli animali.

In altre nazioni, e in particolar modo in Israele, grazie al lavoro tecnico e scientifico di Israel Flamenbaum, già negli anni ’80 hanno iniziato a diffondersi impianti di raffrescamento diretto degli animali, ossia la combinazione di ventilatori e docce installati sulle corsie di alimentazione, nelle sale d’attesa della mungitura o in luoghi diversi dove fare lo strategy cooling.

Questi impianti sono gestiti da timer che comandano le elettrovalvole delle docce e i ventilatori. In pratica, quando si aprono le elettrovalvole, le docce erogano acqua per il tempo necessario per bagnare a fondo gli animali sottostanti. In genere sono sufficienti dai 20 ai 40 secondi di doccia. Una volta chiuse le elettrovalvole, si attivano i ventilatori che trasportano l’acqua calda e umida che evapora dal corpo degli animali al di fuori della stalla.

Quando questi impianti si sono diffusi erano gli operatori di stalla a decidere quanti cicli giornalieri di docciatura e ventilazione fare e la durata dell’erogazione dell’acqua e dell’aria. Di fatto, non c’erano protoccolli standardizzati per gestire il raffrescamento delle bovine da latte. L’obiettivo era tenere nel range di normalità la temperatura corporea ( 38.5 – 39.0 °C), evitare una frequenza respiratoria maggiore di 80 atti al minuto e ottenere la minore dispersione possibile d’acqua dell’ambiente.

Già nel 1959 Earl C. Thom introdusse il concetto di THI (Temperature Humidity Index), ossia un indice numerico che combina la temperatura ambientale con l’umidità relativa. Molte sono le equazioni per calcolare il THI ma forse la più diffusa è quella di Mander ed altri (JAS 2006 84:712-719):

THI= 0.8 x T + (RH/100) x (T-14.4) + 46.4

dove T sta per temperatura e RH per umidità relativa registrati in stalla vicino agli animali.

Si considera di basso rischio un THI compreso tra 72 e 79, moderato uno tra 80 e 89 e molto elevato se >90. Molte specie animali non hanno le ghiandole sudoripare ma utilizzano l’apparato respiratorio per disperdere il calore corporeo in eccesso. Più è elevata l’umidità dell’aria respirata e più bassa è la possibilità di disperdere il calore per evaporazione da parte dei polmoni.

Quasi tutti gli impianti di raffrescamento degli animali oggi non sono più comandati manualmente ma da centraline dotate di sonde che calcolano il THI ed in funzione di questo regolano docce e ventilatori.

Contemporaneamente al raffrescamento diretto degli animali si è comunque evoluto il raffrescamento evaporativo che ha l’obiettivo di ridurre la temperatura dell’aria della stalla. Sia il raffrescamento diretto degli animali che quello dell’ambiente hanno in questi ultimi anni ridotto la prevalenza dello stress da caldo nei grandi ruminanti d’allevamento.

Alla luce del cambiamento climatico in atto e della maggiore produzione di calore endogeno dei bovini e dei bufali, la gestione degli impianti di raffrescamento diretto deve essere differente rispetto sia a quella manuale che tramite THI.

A Maggio 2016 Alessia Tondo e il sottoscritto presentarono in un articolo divulgativo “La sindrome della bassa produzione di latte in autunno”, ossia gli “strascichi” negativi estivi sulle bovine da latte. In queste ultime estati “infuocate” molti, ma non tutti, sono stati gli impianti che hanno realmente aiutato gli animali a tenere normale la loro temperatura corporea e la frequenza respiratoria.

C’è anche da dire che gli indicatori ambientali come il THI hanno difficoltà a gestire le differenze individuali, ossia dei singoli animali, nell’insorgere dello stress da caldo. L’ideale sarebbe la possibilità di disporre di sensori in grado di monitorare, o nel corso di sessioni diagnostiche o in tempo reale, su un numero di animali di stalla statisticamente significativo la temperatura corporea per verificare in maniera oggettiva se gli impianti di raffrescamento diretto o indiretto degli animali sono adeguati e stanno funzionando correttamente. Il sensore ideale è quello che registra il dato e lo trasmette wireless ad una centralina dotata di appositi algoritmi.

La temperatura corporea degli animali si può rilevare dal reticolo-rumine, dal retto, dalla vagina, dall’orecchio oppure dalla termografia della superficie corporea. La temperatura registrata dai boli ruminali è generalmente superiore di 0.5° C rispetto a quella corporea ed è influenzata dalla temperatura dell’acqua e dalla frequenza dell’abbeverarsi. La temperatura rettale è quella più affidabile ma bisogna sempre considerare che segue un ritmo circadiano. Al tramonto può essere superiore di 1.4°C rispetto all’alba. Inoltre, bisogna sempre considerare che l’alimentazione, l’estro e l’attività fisica esercitano pesanti interferenze. Tramite sensori indossabili si può misurare anche la temperatura vaginale che è altamente correlata con quella corporea e ha un andamento molto simile a quella rettale. Si ritiene genericamente che un sensore di temperatura possa essere tenuto in vagina per un massimo di 24 giorni continuativi in quanto il rischio di irritazioni e lesioni locali è molto elevato.

Conclusioni

Il THI è un indicatore di rischio ambientale interessante ma forse non più adatto a gestire l’emergenza climatica degli ultimi anni. Le accortezze costruttive, quelle nutrizionali, il raffrescamento evaporativo e quello ambientale sono le tecnologie di cui oggi disponiamo ma un livello d’incertezza risiede nella corretta istallazione degli impianti e nella loro gestione. La possibilità di monitorare direttamente la temperatura corporea degli animali e, un domani magari, la frequenza respiratoria, può consentire tramite opportuni algoritmi di gestire al meglio questi impianti o i loro aggiornamenti.

Il possedere impianti di raffrescamento non significa che si sta gestendo lo stress da caldo. Solo la clinica di allevamento e i sensori possono verificare oggettivamente se ciò sta avvenendo realmente.