Con l’arrivo della primavera si è ripetuta anche stavolta in Italia l’ampiamente prevedibile e antica “farsa” del calo del prezzo del latte alla stalla e le ennesime indignazioni che non daranno alcun risultato pratico dal momento che gli industriali del latte sono molto più uniti ed efficaci degli allevatori e di chi li rappresenta. Se si potesse raccontare al marziano a cui Pif ha dedicato la sua trasmissione “Caro marziano” perché cala il prezzo del latte quando di tipi di latte ormai ce ne sono tanti e per una “robusta” serie di leggi non si possono utilizzare indifferentemente per produrre le varie “forme del latte”, probabilmente non capirebbe.
Con una lettera del 4 Aprile 2018 Italatte ha comunicato ai suoi conferenti che da Marzo 2018 il contratto va in deroga perché il valore di riferimento dell’indice (70% valore EU e 30% valore Grana 9 mesi) è passato da 370 euro/1000 litri a 355 euro/1000 litri, ossia 2.5 centesimi al litro in meno. La decisione di Italatte segue comunque quello che hanno fatto, o stanno facendo, in Italia altri industriali del latte. Quindi niente di nuovo e sconvolgente.
Quello che è interessante è la motivazione addotta da Italatte che recita testualmente “E’ di tutta evidenza che il prezzo liquidato nei primi due mesi, come definito dal contratto, non ci permette di essere competitivi sia sul mercato nazionale che in quello internazionale causando forti perdite di volumi di vendita”. Questo implicitamente significa che DOP, IGP, STG, latte UHT e fresco marcato italiano si possono fare indifferentemente con latte italiano o straniero, e che a breve calerà il prezzo dei prodotti del latte al pubblico.
Né in questa lettera né in altri ambiti, l’industria del latte e buona parte dei sindacati agricoli si sono chiesti perché ormai da diversi anni il consumo, e quindi le vendite, dei prodotti del latte siano in costante e continua perdita, come chiaramente mostra la tabella successiva. Non deve ingannare nell’analisi, la lettura del dato dei formaggi industriali, che crescono in volume del 3.4%. Si tratta infatti di sottilette, paste filate e spalmabili solitamente utilizzati come ingredienti di altri preparati alimentari.
La Coldiretti Lombardia, nella persona del suo Presidente Ettore Prandini, ha prontamente risposto con una lettera indirizzata ad Italatte datata 5 Aprile in cui contesta il fatto che la suddetta società abbia indirizzato la lettera direttamente agli allevatori e non a Coldiretti Lombardia che ne ha i mandati. Confagricoltura Lombardia pubblica nella medesima data un comunicato stampa a firma del suo presidente, Antonio Boselli, che ribadisce ad Italatte che il metodo di calcolo del prezzo del latte è condivisibile ma l’agire così, direttamente con gli allevatori, senza previa consultazione è fuori luogo.
Tutto ciò fa presagire che a breve ci saranno manifestazioni di piazza che in genere mai hanno dato risultati tangibili.
Come i nostri lettori ben sanno, secondo le nostre analisi, le motivazioni dietro alla riduzione di consumi del latte e dei formaggi sono principalmente preoccupazioni etiche nei confronti dei diritti degli animali d’allevamento e riguardanti il rispetto per l’ambiente, e ragioni salutistiche, e non quindi il calo del potere d’acquisto delle famiglie.
E’ ormai un anno che Ruminantia, in partnership con Duregger, Elanco, Inseme, Rota Guido, Studio Lorenzi, TDM, Timazootec, Veronesi e Zoetis, sta portando avanti una proposta molto concreta di riqualificazione della produzione del latte bovino che abbiamo chiamato Latte Etico® da produrre nella Stalla Etica®.
E’ giunto il tempo di affrontare, con il supporto della scienza e dei dati epidemiologici, il fatto che molte persone non consumano più i prodotti del latte perché, a torto o a ragione, pensano che facciano male alla loro salute.
Esiste in Italia una parte della popolazione “oggettivamente” intollerante al lattosio che può quindi consumare solo formaggi a lunga stagionatura dove questo zucchero è assente. Abbiamo voluto mettere tra le virgolette il termine oggettivamente perché attualmente gli unici due test di comprovata efficacia per diagnosticare l’intolleranza al lattosio sono l’H2-Breath Test e il Test genetico. Il primo ha una sensibilità del 77.5% ed una specificità del 96.6%. Il test genetico (polimorfismo C/T-13910) ha invece una sensibilità del 97% ed una specificità del 96.6%.
Molto istruttivo a questo proposito è l’ascolto della video-intervista al Prof. Fernando Aiuti.
Una percentuale in continua crescita di persone non intolleranti al lattosio, e quindi in possesso dell’enzima lattasi, pensa che il latte e alcuni suoi derivati gli faccia male, per cui li eliminano dalla loro dieta. Per capire meglio questo fenomeno abbiamo consultato Francesco Galli, professore di biochimica e nutrizione presso il Dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell’Università di Perugia, che ci ha spiegato che molte di queste “sensibilità” rappresentate dai pazienti ai medici non possono essere accompagnate da una diagnosi oggettiva perché in molti casi mancano gli algoritmi diagnostici specifici. Lo stesso avviene per altre presunte o reali intolleranze o allergie alimentari come la celiachia.
Una sensazione, purtroppo senza il supporto di dati specifici, ci porta a pensare che nel latte bovino, accanto ai numerosi nutrienti benefici per la salute umana, ci sia qualcosa che può far male alla gente. La letteratura scientifica è controversa, ma nella black-list sono “finiti” ormoni naturali come l’IGF-1 e gli estrogeni, le endotossine, le citochine pro-infiammatorie e quant’altro. Su questo ci siamo confrontati con Franco Berrino, noto epidemiologo dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e cofondatore con Enrica Bortolazzi dell’associazione La Grande Via, e con Gianfranco Gabai, professore presso il Dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione dell’Università di Padova. Abbiamo anche chiesto un parere a Daniela Barile, professoressa di Food Science e Technology presso l’Università della California Davis, perché ha competenze specifiche sugli effetti che l’aumento della permeabilità intestinale ha nei confronti di molecole altrimenti innocue per la salute umana.
Con questo editoriale Ruminantia passa alla fase 2.0 di un percorso iniziato con la pubblicazione il 5 Ottobre 2016 della rubrica Etica & Salute che ha lo scopo di comprendere cosa del latte e della carne faccia bene o male, in modo da verificare con i genetisti e i nutrizionisti se ci sia possibilità di modificare, attraverso la selezione genomica e la nutrizione, la composizione del latte bovino.
Questo editoriale è anche un appello alla comunità scientifica, alle società scientifiche, all’industria del latte a cui chiediamo di aiutarci ad approfondire questi aspetti per permettere alla nostra rivista di divulgare informazioni utili ad arginare la fuga dai prodotti del latte che, oltre ad avere ripercussioni economiche e sociali negative per tutti gli operatori della filiera del latte, ha anche un impatto sulla salute umana che si vede privata delle tante sostanze benifiche apportate dal latte.
Forse sarebbe opportuno abbandonare l’ormai arcaica, e per certi versi ridicola, contrapposizione tra allevatori e industria del latte per nuove forme di dialogo e cooperazione, che tutelino gli interessi economici di tutte le parti e diano “nome e cognome” ai problemi come azione propedeutica al risolverli.
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