In questi primi giorni di Novembre è ripresa la lotta degli allevatori per un prezzo del latte alla stalla più equo, o meglio, superiore alla soglia della sopravvivenza. Ci saremmo auspicati che tutte le associazioni e i sindacati agricoli avessero almeno questa volta trovato un accordo e si fossero mossi in maniera unitaria. Ciò avrebbe dato una forza maggiore alla protesta e rassicurato sul fatto che nella mission di queste organizzazioni ci fosse l’agricoltura al primo posto e non interessi di potere o quant’altro. Troppi ancora gli assordanti silenzi delle industrie che forniscono agli allevatori beni strumentali come alimenti, strutture, farmaci, etc, così inevitabilmente dipendenti dagli allevamenti. In ogni caso bene che si sia finalmente individuato il nemico da combattere.
Abbiamo più volte scritto sulle pagine di Ruminantia che il problema del prezzo del latte alla stalla è, non solo in Italia, dovuto in buona parte alla multinazionale francese Lactalis che, per complicità e distrazione della politica, è diventata così grande da sfuggire ad ogni controllo. Gli altri gruppi nazionali e internazionali, piccoli o grandi che siano, si sono semplicemente accodati ai prezzi imposti da Lactalis, diventandone pertanto complici. Siamo ancora aspettando da maggio 2015 la risposta dell’Antitrust all’esposto presentato da Codacons e Coldiretti contro un possibile “cartello” in Italia, anche se il Presidente Pitruzzella aveva già messo “le mani avanti” riferendo in Parlamento le difficoltà di un esito positivo proprio per le “scatole cinesi” attraverso le quali Lactalis opera in Italia.
Due però le cose che ci stupiscono. Nel nostro paese buona parte della produzione di latte viene destinata a produrre le nostre oltre 50 DOP e IGP di cui conosciamo esattamente la quantità, come esattamente sappiamo che oltre il 40% del latte viene importato in virtù della nostra non autosufficienza. Quello che apparentemente nessuno sa, e ciò è gravissimo, è quanto latte viene confezionato come fresco e UHT recante nelle confezioni diciture tipo “solo latte italiano” o, addirittura, ” solo latte munto in provincia di ……” o diciture similari. Questo vale anche per formaggi non DOP e IGP. Quello che però osserviamo è il proliferare di questo tipo di diciture sulle confezioni. La stessa Sterilgarda ha forse dovuto capitolare e scrivere sulle etichette, e anche sui mezzi di trasporto, che il latte utilizzato è “solo italiano”. Questo anche sulle confezioni del microfiltrato parzialmente scremato! Queste diciture servono perché orientano gli acquisti del consumatore italiano e permettono all’industria di vendere al pubblico il latte fresco e UHT ad un prezzo notevolmente superiore alla media europea senza riconoscere all’allevatore un adeguato corrispettivo.
Bene e finalmente la protesta contro Lactalis, anche se la risposta che ci si aspetta è la solita: “se non mi volete dare il latte lo prendo all’estero a prezzi ben al di sotto dei 30 centesimi”. Ma perché non coinvolgere le autorità competenti come l’AGCM (antitrust), ICQRF ( repressione frodi), NAS, etc. per: verificare se il latte utilizzato per le DOP e IGP, o nelle confezioni prima citate, sia effettivamente tutto italiano o, meglio, se esistono gli estremi per il reato di pubblicità ingannevole e/o truffa in commercio; attivare le istituzioni competenti come ISMEA a quantificare quanto latte fresco, UHT o formaggi non DOP e IGP vengono etichettati in questo modo; avviare una campagna che stimoli a consumare prodotti lattiero-caseari fatti con latte italiano. Dai numeri ufficiosi di cui disponiamo si potrebbero avere in Italia due prezzi del latte. Uno per quello italiano e uno per il latte generico, senza ricorrere all’inconsistente e pericolosissima indicizzazione del prezzo del latte da riservare, eventualmente, al solo latte generico.
Scrivi un commento
Devi accedere, per commentare.