Gli organismi viventi superiori dotati di riproduzione sessuata si sviluppano a partire dall’incontro di due cellule sessuali (gameti), una maschile (spermatozoo) e una femminile (ovocita), dotate di una sola copia di cromosomi (corredo aploide). I cromosomi sono formati dalla cromatina, che altro non è che un composto di DNA, RNA e proteine. Dall’unione del gamete maschile e quello femminile nasce lo zigote, che ha parte del corredo genetico del maschio e della femmina. Nello zigote il DNA è organizzato in una doppia elica associata agli istoni, che sono le proteine intorno alle quali si avvolge. Lo zigote inizierà subito a duplicarsi e da esso si svilupperà la morula e successivamente la blastociste.
E’ ancora diffusa la convinzione che gli organismi viventi si adattino all’ambiente oppure, se sono specie domestiche, alle necessità dell’uomo grazie alle modifiche del DNA. L’individuo più adatto, ossia che ha un patrimonio genetico più favorevole per nutrirsi, riprodursi e adattarsi agli stress, ha dei geni migliori. Con l’evolvere delle conoscenze si è invece definitivamente accertato che anche alcuni caratteri acquisiti possono essere trasmessi alle generazioni future per aiutarle a meglio adattarsi all’ambiente nel quale dovranno vivere. Molti di questi vantaggi evolutivi sono trasmessi dai genitori ai figli addirittura prima del concepimento.
Durante l’inverno a cavallo tra il 1944 e il 1945, quindi poco prima della fine della seconda guerra mondiale, i nazisti che occupavano una parte dei Paesi Bassi misero in atto nei confronti della popolazione civile un severo embargo di generi alimentari. La grave penuria di cibo e un inverno particolarmente freddo provocarono la morte di circa 18.000 olandesi. Questo episodio, ricordato anche con il nome “inverno della fame”, destò l’interesse degli scienziati che posero la loro attenzione sui bambini concepiti durante questo periodo seguendoli poi fino ad un’età avanzata. Quello che ne scaturì fu incredibile. I bambini concepiti durante l’inverno della fame ebbero da adulti una maggiore probabilità di ammalarsi di obesità, ipertensione, diabete tipo 2, schizofrenia e depressione. La grave malnutrizione materna e forse paterna aveva modificato l’espressione genetica e quindi il metabolismo dei nascituri, condizionandoli per tutti gli anni della loro vita; e forse qualcuno di questi caratteri acquisiti fu trasmesso anche alle generazioni seguenti. In pratica, le madri modificarono il metabolismo dei loro figli in modo da renderli più adatti ad un ambiente ostile, freddo e con poco da mangiare.
Al di là della compassione per quel popolo e della curiosità storica e scientifica, questo aspetto dell’ereditarietà ha un’importante ricaduta pratica anche nella zootecnia ed in particolare nelle specie e nelle razze da latte.
Per definire questo particolare aspetto della genetica si usa il termine epigenetica, coniato nel 1942 da Conrad Had Waddington, che definisce “quella branca della biologia che studia le interazioni causali fra i geni e il loro prodotto cellulare e pone in essere il fenotipo“. Pertanto, se la selezione genetica studia tutte quelle modifiche del DNA che conferiscono agli individui un vantaggio evolutivo, l’epigenetica studia invece come alcuni caratteri acquisti possano essere trasmessi alla discendenza senza che la sequenza dell’acido desossiribonucleico venga modificata. I cambiamenti epigenetici che si verificano durante lo sviluppo embrionale avranno un impatto sullo stato epigenetico dell’organismo, in quanto le alterazioni che si verificano sulle cellule staminali embrionali possono essere trasmesse nelle divisioni mitotiche successive. Il DNA è una molecola lunghissima (circa 2 metri) costituita di basi azotate, presente nel nucleo di ogni cellula vivente ed arrotolata con un determinato criterio intorno a proteine di natura basica. Questi agglomerati, detti istoni, insieme ad altre proteine di natura acida e basica costituiscono la cromatina che ha lo scopo di “impacchettare” il DNA, rafforzarlo per permettere la mitosi, proteggerlo da eventuali danni e controllarne sia la replicazione e sia l’espressione dei geni.
Attraverso la metilazione, l’acetilazione e la fosforilazione mediata da specifici enzimi viene modulata l’espressione o il silenziamento di alcuni geni che sintetizzano determinate proteine che sovraintendono a specifiche azioni metaboliche. Gli istoni sono proteine costituite prevalentemente da aminoacidi a carica positiva come la lisina e l’arginina. Questo permette di non legare con una forza eccessiva il DNA, aspetto importante perché l’accensione o lo spegnimento all’occorrenza dell’espressione di determinati geni deve essere, anche nel lungo periodo, modificabile. Di proteine istoniche se ne conoscono 5 (H1, H2A, H2B, H3 E H4). Otto istoni e una molecola di DNA formano il nucleosoma. L’Istone H1 accorpa invece i nucleosomi. La cromatina altro non è che DNA avvolto su gruppi di proteine (gli istoni) che formano il nucleosoma e su proteine non istoniche che sono o neutro o acide.
Nell’uomo, dove l’epigenetica è stata studiata più a fondo, a determinare l’espressione o meno dei geni in funzione di un migliore adattamento all’ambiente concorrono sia molecole nutritive che attività psichiche e sociali. Sono noti e numerosi gli studi che associano l’attività fisica regolare, ossia non saltuaria, a modifiche epigenetiche dell’espressione del DNA. E’ bene ricordare che alcune di queste modifiche sono temporanee e reversibili, e questo aspetto è importante per comprendere a fondo il proseguo di questo articolo.
Una branca dell’epigenetica è la nutrigenomica, che nell’allevamento degli animali riviste una grande interesse. La nutrigenomica, o genomica nutrizionale, è la scienza che studia come i nutrienti possono interferire sull’espressione dei geni. Questa disciplina, a cavallo tra nutrizione e genetica, è di fondamentale importanza per trovare le migliori soluzioni nutrizionali per i ruminanti domestici allevati per produrre latte e carne. Soprattutto le specie e le razze da latte, ed in particolare le bovine, durante il loro ciclo produttivo hanno delle tappe molto condizionate e condizionabili dalla nutrizione. La nutrizione dei vitelli in fase pre-svezzamento condiziona non solo la taglia dell’animale ma anche la sua futura produzione di latte. Durante le ultime tre settimane di gravidanza e nei primi mesi di lattazione gli animali vivono spesso, o meglio sempre, in una condizione di bilancio negativo per energia, amminoacidi, gruppi metilici e determinati acidi grassi. Questo avviene non per imperizia dei nutrizionisti e degli alimentaristi ma per una purtroppo fisiologica impossibilità degli animali di “coprire” tutti i loro fabbisogni attraverso la razione in momenti in cui la domanda di specifici nutrienti è molto elevata, sia per la lattazione che per la gravidanza.
Importante è capire come specifiche molecole nutrizionali, come gli acidi grassi a catena corta (SCFA), quelli a catena lunga saturi e insaturi (LCFA) e gli amminoacidi, abbiano un potenziale nutrigenomico. Queste molecole agiscono attraverso l’interazione con fattori di trascrizione nucleari (proteine multifunzionali) come il ligand-dependent nuclear receptor e il PPAR (peroxisome proliferator-activated receptor), condizionando l’espressione genica. I recettori nucleari sono una classe di proteine presenti all’interno delle cellule responsabile del rilevamento degli ormoni steroidei e tiroidei e di alcune altre molecole. In risposta a determinati nutrienti, questi recettori lavorano con altre proteine per regolare l’espressione di geni specifici, controllando così lo sviluppo, l’omeostasi e il metabolismo dell’organismo. I recettori nucleari hanno la capacità di legarsi direttamente al DNA e di regolare l’espressione dei geni adiacenti; questi recettori sono quindi classificati come fattori di trascrizione. I ligandi che si legano e attivano i recettori nucleari includono sostanze lipofile, come ormoni endogeni, vitamine A e D, e interferenti endocrini xenobiotici. Poiché l’espressione di un gran numero di geni è regolata da recettori nucleari, i ligandi che attivano questi recettori possono avere effetti profondi sull’organismo. La metilazione del DNA e degli istoni e l’acetilazione istonica sono i meccanismi principali coinvolti.
Le molecole alimentari possono avere un’azione diretta sugli enzimi che catalizzano i meccanismi epigenetici oppure possono agire indirettamente attraverso l’alterazione della disponibilità di tali enzimi.
Il gruppo metilico o metile è un gruppo funzionale costituito da un atomo di carbonio legato a tre atomi di idrogeno, avente formula -CH₃.Viene formato dalla trasformazione (transmetilazione) della s-adenosilmetionina (SAM) in s-adenosilomocisteina (SAH). Questi gruppi metilici sono coinvolti in ben 50 reazioni metaboliche tra le quali la metilazione degli istoni e del DNA. Come si può osservare dalla tabella sottostante, la SAM viene sintetizzata a partire dalla metionina che è classificata tra gli amminoacidi essenziali, ossia che l’organismo non può produrre in quantità sufficiente e che quindi devono essere assunti con la dieta. La metionina viene apportata dalla proteina metabolizzabile (MP), dalla proteina labile e come tale in forma rumino-protetta. La vitamina B12, la vitamina B6 e l’acido folico, la vitamina B2, la betaina, la serina e lo zinco entrano far parte di questo ciclo o come co-fattori enzimatici o come precursori molecolari o come donatori dei gruppi metilici. Il folato è coinvolto nella metilazione del DNA e degli istoni fornendo il proprio gruppo metile alla cellula per la sintesi della SAM; si tratta dell’unica molecola che può donare il metile al DNA, perché unico substrato della DNA-metiltrasferasi. Un altro importante donatore di gruppi metilici è la colina. Una ipometilazione di uno specifico gene dell’ippocampo può alterare la neurogenesi fetale. Danno interferenze negative sulla metilazione gli interferenti endocrini, il Bisfenil-a, il cromo, il cadmio, il nichel e l’arsenico.
La metilazione del DNA e le modificazioni degli istoni (metilazione e acetilazione) modulano la struttura della cromatina e quindi l’espressone genica. Altre molecole dotate di potenziale nutrigenomico sono gli acidi grassi a corta catena (SCFA), a lunga catena (LCFA) saturi e insaturi. Sia l’ovocita che la linea germinale paterna sono portatori d’informazioni epigenetiche. La seconda riprogrammazione epigenetica dell’intero genoma avviene durante lo sviluppo embrionale precoce. La metionina è necessaria per la metilazione del DNA e degli istoni, e quindi per un normale sviluppo dell’embrione, ed in particolare per il passaggio da morula a blastocisti. E’ stato visto che questo amminoacido essenziale nel periparto up regola il PPARα, e quindi l’espressione dei suoi geni bersaglio. Nel fegato ciò è associato con un miglior metabolismo lipidico e funzioni immunitarie. Abbiamo accennato all’inizio che le bovine da latte, delle razze a maggiore vocazione produttiva, si trovano durante la fase di transizione e nelle prime settimane di lattazione in una condizione di bilancio energetico, proteico, amminoacidico e di donatori di gruppi metilici, negativo. Accanto a questo si possono avere carenze secondarie di specifici acidi grassi, sia a corta catena (SCFA) che a lunga catena insaturi, e di taluni oligoelementi. Si possono inoltre verificare delle situazioni di stress derivante da sovraffollamento, insufficiente riposo, paura dell’uomo o da alte temperature.
Con il dovuto rispetto dei tanti morti olandesi del 1944-1945, questa condizione che vivono i ruminanti da latte può essere associata a “l’inverno della fame”. In queste condizioni para-fisiologiche, sia ambientali che nutrizionali, molte bovine si ammalano di sindrome della sub-fertilità, di malattie metaboliche e di zoppie, per cui lasciano precocemente l’allevamento. Quelle che sopravvivono sono soggette ad una forte pressione selettiva genetica e a profonde modifiche epigenetiche per meglio adattarsi ad una situazione percepita come “ostile”. Questo tipo d’informazioni condiziona lo sviluppo fetale con l’obiettivo, “secondo la madre”, di rendere il nascituro più adatto all’ambiente dove dovrà vivere.
La nutrigenomica può quindi essere la chiave di volta per rivedere dal profondo i paradigmi sui quali è stata fino ad ora costruita la nutrizione delle specie e delle razze da latte. Potrebbe inoltre dare una maggiore importanza a nutrienti ritenuti ora non così importanti e declassarne invece altri.
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