La nostra rivista ha seguito con molta attenzione la notizia del 26 Giugno 2017 della riduzione dei finanziamenti all’Associazione Italiana Allevatori a soli 7 milioni di euro, fatto che ne avrebbe decretato in realtà la chiusura, e il successivo annuncio del 28 Giugno che, con un improvviso cambio d’idea del governo, ha invece aumentato a 15 milioni di euro il finanziamento pubblico. Come scrivemmo nelle due news che dedicammo a questo argomento entrambe le decisioni ci avevano lasciato perplessi perché presupponevano il non avere chiaro a cosa serve, o meglio a cosa potrebbe servire, un’Associazione Italiana Allevatori. Da operatori delle filiere del latte e della carne è nostro dovere contribuire al dibattito ed esprimere la nostra opinione che riteniamo rappresenti il pensiero di molti allevatori e professionisti, e forse anche dell’industria del latte.

L’Associazione Italiana Allevatori, grazie alle Legge 30 del 1991, ha in delega esclusiva dallo Stato la selezione genetica di buona parte degli animali da reddito. E’ noto a tutti che il personale del Sistema Allevatori raccoglie dati, o meglio “fenotipi”, attraverso i quali le varie Associazioni di Razza possono selezionare gli animali da destinare alla riproduzione secondo gli obiettivi qualitativi e quantitativi delle filiere del latte e della carne. Il numero di allevamenti che partecipa a questi programmi di selezione in Italia è piuttosto elevato. Basti pensare che nelle bovine da latte partecipa alla selezione oltre il 50% dei capi allevati in Italia. Per la sola frisona nel 2016 sono stati coinvolti 11.123 allevamenti e 1.106.461 capi. Questa enorme quantità di dati individuali che vanno dalla quantità e qualità del latte prodotto da ogni singola bovina, pecora e bufala, ai dati riproduttivi, sanitari, morfologici e di accrescimento, viene archiviata nel database centrale di AIA e utilizzata dalle associazioni nazionali di razza.

Agli allevatori e ai professioni (veterinari e zootecnici) poco interessa la selezione genetica in quanto non dà loro alcun vantaggio economico o tecnico diretto dal momento che il prezzo d’acquisto del materiale seminale è identico a quello pagato anche da tutti gli altri allevatori. Il motivo per cui un allevatore partecipa, anche economicamente, a questo programma è legato al valore inestimabile che hanno i dati, o meglio le performance produttive, riproduttive e sanitarie di ogni singolo animale raccolti con uno standard internazionale ICAR.  Una debacle di AIA avrebbe privato gli allevatori e i professionisti, specialmente quelli che si occupano di latte, di queste preziose informazioni.

Ormai molte sale di mungitura sono dotate di lattometri, per cui non è più necessario ricorrere al Sistema Allevatori per sapere la produzione di ogni singolo soggetto. Quello che è invece diventato sempre più indispensabile sono le numerose determinazioni analitiche ricavabili dal latte individuale. Sia il MIR che la citofluorimetria stanno facendo passi da gigante e il latte di ogni singola bovina è una vera e propria miniera di biomarkers. Per avere queste informazioni in proprio l’allevatore dovrebbe raccogliere i campioni di latte individuale e portarli almeno una volta al mese in un laboratorio per le analisi, inserendo poi i dati in un software per le elaborazioni che allo stato attuale non esiste. Questa enorme quantità d’informazioni e il suo storico, sapientemente elaborati, possono far emergere varie correlazioni tra fenotipi permettendo di studiare meglio alcuni dettagli sanitari e riproduttivi utili ad indirizzare la ricerca scientifica e il lavoro quotidiano delle numerose figure professionali che interagiscono con gli allevatori. Se AIA potenziasse la raccolta dei dati su ulteriori dettagli riproduttivi e sulle patologie che maggiormente occorrono negli allevamenti e raccogliesse anche alcune informazioni sull’ambiente, sul management e sulla nutrizione delle stalle potrebbe quantificare, con un alto grado di precisione, i fattori eziologici e di rischio che condizionano le performance produttive, riproduttive e sanitarie dei singoli soggetti e dell’intera unità produttiva, e tutte le loro correlazioni.

Alcuni anni fa facemmo esperienza dell’enorme potenzialità derivante dall’accesso ai dati archiviati nel database di AIA. Tre esempi su tutti. L’urea “alta” del latte di massa è stata per moltissimi anni “demonizzata” e ad essa è stata attribuita la prima responsabilità della sindrome della sub-fertilità della bovina da latte. Da un’elaborazione dell’Ufficio Studi di AIA e da diversi milioni di record si evidenziò con nostra grande sorpresa che la percentuale di bovine “fresche” (0-75 gg) di razza frisona con urea alta (> 36mg/dl) era piuttosto esigua, ossia mai oltre il 5%, mentre quelle con urea bassa (< 20 mg/dl) erano piuttosto frequenti, con punte superiori al 50% e mai inferiori al 28%. Questi dati scagionarono di fatto questo aspetto dai principali fattori di rischio della scarsa fertilità. Avemmo poi un’altra conferma nel diagnosticare in anteprima assoluta, osiamo dire mondiale, la “sindrome della bassa produzione di latte in autunno” per la quale in autunno, a parità di giorni medi di lattazione e temperatura esterna, si produce molto meno latte che in primavera. Dai risultati emersi dall’analisi dei dati siamo stati in grado di capire alcune cause di questa sindrome e quindi di mettere in atto negli allevamenti consapevoli del problema le dovute misure preventive. Ultimo esempio sarà la verifica dell’esistenza di una reale correlazione tra il biomarker proteina inferiore a 2.90% nelle primissime settimane di lattazione e la fertilità, come dimostrato da alcune ricerche basate però su un numero esiguo di animali in condizioni d’allevamento molto diverse dalle nostre. Se ciò fosse dimostrato sarebbe relativamente semplice per i nutrizionisti trovare soluzioni pratiche in allevamento. Conoscere la quantità di cellule somatiche individuali è di fondamentale importanza per la prevenzione e la terapia delle mastiti sub-cliniche, problema tutt’altro che risolto in Italia. L’opportunità offerta dalla citofluorimetria per la conta differenziale delle cellule somatiche (DSCC) permette un razionale approccio alla riduzione dell’uso degli antibiotici alla messa in asciutta. Inoltre il MIR, attraverso la misurazione dei singoli acidi grassi del latte e dei corpi chetonici, darebbe una grande opportunità diagnostica e preventiva del bilancio energetico negativo delle bovine, e quindi strumenti per gestire l’infertilità e il buon funzionamento del sistema immunitario.

Se l’Ufficio Studi di AIA disponesse delle rilevazioni sul management, l’ambiente e la nutrizione dei singoli allevamenti, avendo a disposizione fenotipi e genetica potrebbe dare suggerimenti pratici su quale possano essere le migliori scelte da adottare per la gestione o su quali ambienti puntare. Ciò eviterebbe le scelte irrazionali e le mode e darebbe quindi un enorme vantaggio economico agli allevatori fornendo informazioni preziose per qualificare ulteriormente le prestazioni professionali dei veterinari e degli zootecnici. Un paese evoluto come il nostro, dove l’agro-alimentare ha un ruolo strategico sul PIL, non può prescindere dall’avere una struttura centrale d’indirizzo tecnico super partes. Il governo dovrebbe avere ben chiaro che creare le condizioni, peraltro previste dalle leggi comunitarie, per cui una società privata straniera possa ricevere in delega dallo Stato, di fatto, la selezione genetica italiana può essere un fatto molto grave per un asset così strategico nel nostro paese. Un’altra “mossa” intelligente sarebbe che il sistema AIA-ARA-APA-ANA rappresentasse di fatto tutti gli allevatori e quindi tutte le sigle sindacali. Ciò ripristinerebbe il consenso e il senso di appartenenza di tutti gli allevatori verso il Sistema Allevatori e non consentirebbe allo Stato di utilizzare come alibi il fatto che non è giusto e non è elettoralmente intelligente agevolarne solo una parte. Le sigle sindacali non dovrebbero sottovalutare il fatto che  le antiche divisioni tra allevatori non esistono più, come è già avvenuto per i partiti politici, perché la Rete e soprattutto i Social Media hanno connesso trasversalmente le filiere, creando una memoria e una coscienza collettiva che fino a qualche anno non esistevano.