Nell’articolo precedente “Di cosa parliamo quando parliamo di CO2?” sono state esaminate tutte le fonti di emissione di GHG legate alla produzione di latte, e quindi definito il Carbon Footprint.

In questo ci occupiamo invece della possibilità di stoccaggio del carbonio, che abbiamo definito come Biocapacity, in grado di generare un avvicinamento o addirittura, nei casi più virtuosi, il raggiungimento della neutralità carbonica da parte delle aziende produttrici.

II sistema zootecnico può incrementare lo stock di carbonio nel terreno tramite gli apporti dei residui colturali e dell’apparato radicale della superficie agricola dedicata, tramite le piantumazioni arboree e grazie all’interramento dei reflui (liquame, letame) o di digestato da digestione anaerobica (DA) seguiti da una corretta gestione agronomica.

Ricordiamo che il carbonio contenuto sia nei residui colturali che nei reflui è circa il 40%della sostanza organica.

Residui colturali e apparato radicale

Ogni coltura, attraverso la sintesi clorofilliana, fissa carbonio nella sua struttura, a partire dalle radici fino ad arrivare al culmo ed alle foglie.

L’entità della sostanza organica che rimane nel suolo è definita dalla differenza tra la massa totale della pianta e l’Harvest Index, o indice di raccolta. Nelle colture agricole annuali, l’Harvest Index (ossia la parte vegetale che viene asportata alla fine del ciclo) è molto elevato.

Nel caso del silomais, ad esempio, viene rimosso circa il 90% della parte aerea lasciando nel terreno solamente i primi 20/30 cm di stocco e le radici, per un totale di circa il 15-20% della produzione totale tra epigea ed ipogea.

Inoltre, generalmente i nostri areali sono stati caratterizzati da mono-successioni in cui il terreno rimane nudo per la maggior parte dell’anno; in questa situazione per lunghi periodi non può avvenire la fissazione del carbonio. Per questo la pratica del doppio raccolto, permette un sequestro di Carbonio importante dal momento che la parte ipogea ed il residuo colturale sono sia quelli dell’antecedente che quelli della coltura principale, e che si tiene coperto il terreno per quasi tutto l’anno.

Un ulteriore vantaggio per lo stoccaggio di carbonio è determinato dall’interramento della coltura antecedente o di quella secondaria estiva tramite la pratica del sovescio.

Ricordiamo inoltre che tra le colture annuali le leguminose sono quelle che, oltre ad apportare azoto al terreno, hanno la componente radicale percentualmente più importante (circa 30%).

Molto interessante per lo stock di carbonio è l’interramento dei residui (stocchi, paglia) nel caso di raccolta per produzione di granella.

Diverso è il discorso riguardante i prati poliennali o addirittura i permanenti: nel caso di pascolamento l’Harvest Index da parte degli animali è molto limitato, mentre se si considera lo sfalcio destinato all’insilamento o alla fienagione i residui colturali e l’apparato radicale rappresentano comunque una percentuale più elevata che nelle colture annuali. Naturalmente in questo caso la superficie è coperta per tutto l’anno, con tutti i benefici del caso.

Piantumazioni arboree

È ben nota la capacità di fissare carbonio da parte delle foreste o dei boschi, anche se recentemente si è messa in dubbio la capacità di stoccaggio da parte delle foreste mature.

Nelle condizioni dei nostri areali zootecnici, la piantumazione con un pioppeto intensivo, tipico delle aree golenali dei nostri grandi fiumi, o la forestazione con altre latifoglie, permetterebbero sequestri di carbonio di 6/9 ton/ha, risultando così un’arma efficiente per compensare il bilancio della CO2.

Interramento reflui e digestato

Il miglioramento della fertilità del suolo ottenuto attraverso l’impiego più efficiente di risorse aziendali è uno dei cardini per il raggiungimento di un’agricoltura più sostenibile.

Inoltre, un’agricoltura che miri ad aumentare lo stock di carbonio organico nel suolo tramite il cambiamento delle pratiche agronomiche associate all’avvicendamento colturale può essere una importante soluzione per diminuire il livello di CO2 atmosferico (CCS, Carbon Capture and Sequestration).

In quest’ottica risulta fondamentale ottimizzare la gestione degli apporti di sostanza organica da reflui zootecnici e digestato.

I reflui zootecnici sono essenzialmente il liquame (composto da feci e urine) ed il letame: del primo si indica qui di seguito una composizione chimica standard, mentre per il secondo si assume che la sostanza secca sia composta per il 40% da liquame e per il 60% da paglia.

Tabella 1 – Caratteristiche medie degli effluenti zootecnici bovine da latte (fonte:C.R.P.A).

Il contenuto medio di carbonio sul tal quale è quindi del 2,4% nel caso del liquame e del 6,6% nel caso del letame.

Il digestato è il prodotto ottenuto dalla digestione aerobica di biomasse di origine diversa. Esso risulta essere un eccellente ammendante perché il processo di digestione anaerobica permette la concentrazione della frazione recalcitrante di carbonio organico, la parziale igienizzazione e l’aumento dell’azoto in forma ammoniacale.

Per quanto riguarda la produzione nelle aziende zootecniche esso può derivare dalla DA di:

  • effluenti zootecnici;
  • biomasse vegetali (di scarto o dedicate);
  • sottoprodotti di origine animale (SOA).

Ovviamente il prodotto finale dipende, oltre che dal processo produttivo, dalla tipologia di dieta.

Una dieta così varia permette quindi di dar valore a sottoprodotti industriali ricavandone energia e materiale fertilizzante riutilizzabile in agricoltura.

In molti casi dopo la separazione meccanica si distinguono due frazioni, il digestato chiarificato (FL) ed il separato solido (FS). Entrambe sono ottimi strumenti da utilizzare sia per le loro proprietà ammendanti che fertilizzanti.

Successivamente viene riportato un esempio di analisi delle diverse frazioni di un digestato da reflui e biomasse vegetali.

Tabella 2 – Caratteristiche chimiche della FL o digestato chiarificato [1] (Fonte: analisi Pioneer Hi-breed Italia).

In questo caso il Carbonio organico è circa l’1,55% sul tal quale.

Tabella 3 – Caratteristiche chimiche della FS o separato solido (Fonte: analisi Pioneer Hi-breed Italia).

Gestione agronomica

Tuttavia, per migliorare l’efficienza di utilizzo dei nutrienti da parte della pianta coltivata risulta fondamentale anche attuare corrette metodologie di distribuzione dei reflui o digestato disponibili in azienda.

La parte palabile (letame, FS) viene distribuita generalmente con carro spandiletame e dovrebbe essere utilizzato soprattutto su terreni a tessitura prevalentemente sabbiosa, al fine di migliorarne la struttura attraverso l’incremento della SO (ammendante organico).

L’incremento di sostanza organica stabile, e quindi di aumento dello stock di Carbonio, dipende infatti dalla quantità di SO di partenza: minore è quella di partenza, maggiore sarà l’incremento.

Per quanto riguarda invece il chiarificato (FL) o il liquame, i metodi di impiego sono diversi e si sono evoluti negli anni.

Un esempio di queste tecniche è un interramento che fa parte delle pratiche di agricoltura conservativa (minimum tillage) chiamato interramento mediante Strip-tillage.

Questa tecnica di minima lavorazione messa a punto negli anni ’70 negli USA, e ideale, nei nostri areali, su mais, soia e sorgo, consiste in una lavorazione superficiale del terreno (15-30 cm) su fasce di larghezza pari a 15-25 cm, intervallate da fasce dove vengono lasciati in superficie i residui colturali.

Successivamente, grazie a diverse tipologie di inettori, nella striscia lavorata viene interrata la FL del digestato o liquame zootecnico.

L’operazione combinata risulta particolarmente vantaggiosa anche per risolvere i problemi di emergenza frequentemente riscontrabili utilizzando la semina su sodo: l’interramento della FL rende infatti il terreno nella vicinanza del seme più umido e dunque più soffice.

Questa è una delle gestioni agronomiche che porta a notevoli vantaggi per gli apporti di carbonio, perché in una singola operazione permette di minimizzare la superficie lavorata (quindi mantenere inalterata la struttura del terreno), interrare elementi nutritivi e Carbonio organico, e mantenere zone in cui vengono lasciati in superficie i residui colturali.

Conclusioni

La capacità di stoccaggio di Carbonio di un’azienda zootecnica può essere la chiave di volta, insieme ai meccanismi di mitigazione visti nell’articolo precedente, per migliorare l’Ecological Footprint dell’attività di produzione del latte.

In tutte le pratiche agronomiche sopra descritte, la piantumazione degli areali liberi e il ricorso all’interramento degli effluenti (molto virtuoso l’esempio di un’azienda zootecnica che li destini tutti al processo di DA) sono pratiche da implementare per garantire al nostro settore una maggior sostenibilità e in futuro una possibile ricompensa per essersi attenuto alle direttive comunitarie Farm to Fork.

Autori

Enrico Dubini, agronomo libero professionista, e Emilio Folli, dottore agronomo.