Introduzione

La storia italiana dell’allevamento dei ruminanti da latte ha insegnato a tutti noi che puntare sui formaggi, soprattutto di alta fascia, piuttosto che sul latte da bere, è la strada migliore per generare valore.

Si vede chiaramente nella tabella 1, prodotta da ISMEA, che delle circa 13 milioni di tonnellate di latte prodotto in Italia il 46% viene utilizzato per produrre prodotti a IG. Altre 5.35 milioni tonnellate di latte, sia italiano che importato, vengono utilizzate per produrre ulteriori tipologie di formaggio.

Tabella 1

È evidente, pertanto, che per noi italiani l’attenzione all’attitudine casearia del latte, e quindi alla sua resa casearia, può fare la differenza.

L’attitudine casearia è un fenotipo complesso ed è la risultanza di una genetica che interagisce con la nutrizione, la sanità, la gestione e l’ambiente.

Il “peso” della genetica

In collaborazione con i professori Martino Cassandro e Andrea Summer, Ruminantia ha realizzato e pubblicato un focus di livello molto elevato dal titolo “Come migliorare l’attitudine casearia del latte con la selezione genetica per approfondire il significato di questo fenotipo e capire come migliorarlo attraverso la selezione genetica e genomica.

Cassandro, nel corso del suo intervento, ci ha informato che la Concentrazione di Proteina nel latte ha una discreta ereditabilità (h2 0.20), e che il Tempo di Coagulazione (RCT min) e la Consistenza del Coagulo (a30 mm) hanno un h2 rispettivamente di 0.17 e 0.20.

Pertanto, sia la concentrazione caseinica che l’RCT e l’a30 possono essere inserite negli indici di selezione genetica.

La genetica è a questo punto “responsabile” dal 17 al 20% degli aspetti prima descritti dell’attitudine casearia del latte.

Altri fattori come la nutrizione hanno un peso rilevante nel condizionare la resa del latte in formaggio; la K caseina B conferisce al latte una maggiore resa casearia rispetto alle altre caseine e alle altre varianti della K, e anche questo carattere è dotato di una buona ereditabilità.

La nutrizione

La nutrizione è la scienza che studia quali e quanti nutrienti apportare con la dieta giornaliera per soddisfare gli innumerevoli fabbisogni nutritivi degli animali, nel nostro caso d’allevamento, come quelli per il mantenimento, la crescita, la riproduzione, la produzione e molti altri più specifici.

Si tratta di una scienza probabilistica o stocastica, come del resto tutte quelle biologiche, per cui è bene ricorrere ad alcuni biomarker per “aggiustare il tiro” e andare, quando serve, in deroga ai fabbisogni.

Le informazioni più semplici ed essenziali da utilizzare per capire se un determinato allevamento e un singolo animale di razza frisona italiana, sta esprimendo appieno il suo potenziale genetico per la concentrazione proteica del latte è ad oggi il Profilo Genetico Allevamento di ANAFIBJ e i benchmark consultabili sul Sintetico Collettivo di AIA.

Nel 2023 il PGA evidenzia che fattori non genetici impediscono il completo espletarsi del potenziale genetico per la proteina percentuale (-0.29), i chilogrammi di proteina (-86), il grasso percentuale ( -0.26) e il grasso in kg (91).

Per le bovine da latte, ma questo vale anche per bufale, pecore e capre, la mammella, e quindi la produzione di latte e dei suoi costituenti, ha, quando sono adulte e non sono ancora gravide, l’assoluta priorità metabolica rispetto a funzioni metaboliche importanti come la fertilità, l’accrescimento e forse addirittura l’immunità, anche se quest’ultima affermazione non è stata ancora completamente dimostrata pur essendo dotata di un’elevata plausibilità.

Ai fini dell’attitudine casearia del latte, gli aspetti più importanti per la nutrizione sono l’apporto amminoacidico e i minerali.

Il bilanciamento amminoacidico

Quello che del latte coagula durante la caseificazione sono le caseine. Nella sottostante tabella 2 possiamo vedere le proteine del latte e le sue tante frazioni.

Tabella 2.

Ci sono tipi di caseine, e alcune loro varianti genetiche come la K-caseina B, che sono altamente correlate con la resa casearia del latte, motivo per cui è conveniente selezionare animali per questa variante caseinica.

Anche se le bovine sono geneticamente predisposte a produrre molte caseine e alcune loro varianti interessanti, è necessario che attraverso la nutrizione vengano apportati tutti gli amminoacidi necessari per la loro sintesi. Basta che uno solo degli amminoacidi non sia disponibile e nella giusta quantità che la sintesi caseinica si blocca.

Nella tabella 3 è riportata la composizione amminoacidica degli amminoacidi essenziali e non essenziali delle caseine.

Tabella 3.

Per amminoacidi essenziali s’intendono quelli che l’organismo non può sintetizzare, e pertanto deve ottenere attraverso l’approvvigionamento esterno.

I ruminanti da latte riescono a sintetizzare gli amminoacidi non essenziali ma, nelle bovine particolarmente favorite dalla genetica e quando la produzione è molto elevata, anche questi possono comportarsi da limitanti.

Gli amminoacidi essenziali sono: lisina, metionina, valina, arginina, isoleucina, istidina, triptofano, leucina, treonina e fenilalanina.

Gli amminoacidi non essenziali sono: glicina, serina, ac.glutammico, cistina, tirosina, prolina, alanina, acido aspartico, glutammina e idrossiprolina.

Nella tabella 4 elaborata da ANAFIBJ sui dati raccolti nel corso dei controlli funzionali eseguiti da AIA, si vede come il numero di bovine di razza frisona che ha nelle prime settimane di lattazione una percentuale di proteina del latte < 2.90% è nel tempo in graduale riduzione ma ha come biomarker un’incidenza ancora piuttosto alta nel periodo del ciclo produttivo dove la produzione è più elevata.

Tabella 4.

Per i ruminanti l’approvvigionamento di amminoacidi essenziali e non essenziali è piuttosto complesso. La fonte principale è la proteina metabolizzabile (MP) che è la sommatoria della frazione costituita dal microbiota ruminale, ossia batteri, funghi archea e protozoi, e della frazione che deriva dalle proteine vegetali che non vengono degradate dalle fermentazioni ruminali.

Solo una parte di queste proteine è assorbita come amminoacidi nel piccolo intestino, ed è la frazione metabolizzabile.

Esiste anche una quota di amminoacidi di produzione endogena che derivano dal catabolismo delle proteine o da siti di assorbimento esterno diverso dall’intestino tenue.

Ogni grammo di proteina del latte per essere sintetizzato richiede 1.5 grammi di MP, con un’efficienza quindi del 67%.

Da un punto di vista di bilanciamento amminoacidico la MP di origine microbiotica è da considerarsi ideale per la bovina da latte.

L’ultima edizione (2021) del Nutrient Requirements of Dairy Cattle stabilisce per le bovine di razza frisona al picco produttivo, che ingeriscono oltre 30 kg di sostanza secca al giorno, una dieta al 10.2% di MP e che apporti, quindi, quotidianamente almeno 3000 grammi di proteina metabolizzabile per evitare carenze primarie e secondarie di amminoacidi.

Nella realtà, e con i giusti alimenti e additivi, si riesce ad apportare all’intestino tenue anche 3500 di MP al giorno di cui oltre il 50% di origine microbica.

La frazione proteica della MP costituita da proteine ingerite con la razione e non fermentate nel rumine (RUP) ha spesso un bilanciamento amminoacidico imperfetto per i ruminanti da latte, e specialmente per le bovine.

Decine di anni fa, infatti, si ricorreva alle proteine di origine animale perché dotate di una quota di RUP elevata e di un bilanciamento amminoacidico adeguato. Per la prevenzione dell’encefalopatia spongiforme (BSE) e della malattia di Creutzfeldt-Jakob, e per ragioni etiche, non è più possibile utilizzare questo tipo di fonti proteiche, per cui il potenziamento della produzione di MP microbica ruminale e il bilanciamento amminoacidico della RUP sono passaggi propedeutici se si vuole aumentare la concentrazione caseinica del latte, e quindi la sua resa casearia.

Ruminantia ha affrontato più volte questo argomento per cui può essere utile schematizzare come agevolare la produzione di MP di origine microbica e il bilanciamento amminoacidico della RUP.

Come aumentare la produzione di MP microbica ruminale?

Da un punto di vista metodologico l’unica strada percorribile è quella di utilizzare software di razionamento che si basano sul CNCPS (Cornell Net Carbohydrate and Protein System) perché calcolare la MP di una razione è altrimenti impossibile.

Fatto questo bisogna utilizzare alimenti dotati di un’elevata digeribilità dei carboidrati strutturali, ossia foraggi giovani essiccati o fermentati e una quota di amidi diversi da quelli della farina di mais provenienti dal trinciato di mais, dal pastone integrale, dal fioccato oppure da cereali “bianchi” come l’orzo e quant’altro.

NDF da foraggio o da concentrati poco digeribili rende impossibile aumentare la produzione ruminale di microbiota. Utili per l’obiettivo sono anche le fonti di fibra non da foraggio, come le polpe di barbabietola, le buccette di soia e la crusca.

I batteri fibrolitici, che sono la parte preponderante dell’ecosistema ruminale, hanno un evidente fabbisogno di azoto non proteico che si può soddisfare utilizzando l’urea zootecnica non necessariamente rumino-protetta.

Il NASEM 2021 consiglia per le diete destinate alle bovine in lattazione una concentrazione (sulla sostanza secca) del 10% di proteina rumino-degradabile (RDP) e l’esperienza empirica suggerisce il 5% di proteina solubile sulla sostanza secca della razione.

Nella scelta dei concentrati e dei foraggi è bene dare priorità a quelli ricchi di proteina solubile. Il CNCPS comunque mostrerà al nutrizionista la quota di MP microbica stimata. Il livello consigliato, espresso sempre come % della sostanza secca, è di circa il 10%.

Esistono additivi interessanti come gli isoacidi, ossia gli acidi grassi volatili a catena ramificata (BCVFA), i terreni di fermentazione dell’Aspergillus oryzae, alcuni ceppi vivi di Saccharomyces cerevisiae e gli enzimi, che però non vengono utilizzati dal CNCPS.

Per stimare il miglioramento della crescita del microbiota ruminale tali additivi possono essere considerati in base alle ricerche scientifiche o alle prove di campo disponibili.

Come risolvere lo sbilanciamento amminoacidico della RUP?

Dare una risposta a questo quesito è piuttosto complesso. Il software di razionamento dinamico del CNCPS ha sviluppato una sezione dove viene molto approfondito il bilanciamento amminoacidico permettendo di valutare l’effetto dell’inserimento della lisina e della metionina rumino-protetta.

Ai fini del bilanciamento amminoacidico, e per evitare che la carenza relativa di un amminoacido limiti la sintesi delle caseine, l’inserimento nella dieta degli amminoacidi non rumino protetti ha un effetto molto trascurabile.

Gli apporti degli amminoacidi essenziali attraverso il microbiota ruminale e la RUP che compongono la MP è stato spesso determinato con la tecnica del dose-risposta, ossia aggiungendo quantità crescenti di amminoacidi rumino-protetti fintanto che la produzione di proteina del latte si stabilizza.

In questo modo sono stati ad esempio determinati i fabbisogni di lisina e di metionina ed il loro rapporto ideale.

Punto di partenza fondamentale è stabilire il rapporto ideale lisina – metionina della MP. Nei dati della ricerca scientifica il rapporto consigliato tra lisina e metionina della MP è 2.8-3.0 : 1 (tabella 5).

Tabella 5.

Per gli altri amminoacidi essenziali poco si può fare perché, allo stato attuale, non sono disponibili additivi che li contengano in forma rumino-protetta. Allo scopo può essere utile comunque la tabella 6.

Tabella 6

A oggi quindi abbiamo la possibilità di migliorare il profilo amminoacidico di una razione destinata alle bovine da latte al fine di ottimizzare la produzione delle caseine utilizzando lisina e metionina rumino-protette.

In Italia sono disponibili diverse preparazioni che apportano lisina e metionina rumino-protette come ad esempio quelle di Adisseo, Kemin e Vetagro. Il nutrizionista, per decidere quale tipo adottare e in quale concentrazione, ha bisogno di conoscere la concentrazione di principio attivo, la percentuale di indegradabilità o by-pass del principio attivo e la quota di questo che viene effettivamente assorbita a livello intestinale (bio-disponibilità). Informazione importante è anche quella relativa alla resistenza dell’additivo alla palettatura del mangime.

Minerali

Il minerale più importante ai fini della resa casearia del latte è il calcio. Il calcio del latte serve infatti a legare le varie micelle di caseina, per cui il suo ruolo nella resa casearia è fondamentale.

Nonostante la concentrazione di caseina e grasso del latte sia negli anni aumentata vistosamente, spesso i casari si lamentano che non c’è stato parallelamente un aumento della resa.

Il 50-60 % del calcio si trova nel sangue in forma ionizzata, il 30 % legato alle proteine (essenzialmente all’albumina) e il 10% si trova legato a fosfati, bicarbonato, solfati, citrati e lattati.

A “regolamentare” la calcemia ci pensa principalmente la ghiandola parotidea che produce l’omonimo ormone.

La calcemia considerata normale nella bovina da latte è di 8.5-10 mg/dl, e ciò significa che il pool di calcio extracellulare ammonta a 9-10 grammi. Una parte di questo, ossia 20-25 grammi, viene incorporata nel latte.

A garantire l’omeostasi del calcio intervengono il parataormone (PTH), la calcitonina (CT) e la 1.25 – (OH2)D che modulano l’assorbimento intestinale e la mobilizzazione del calcio dalle ossa.

Potrebbe essere successo che la selezione genetica per una maggiore produzione di latte non sia stata adeguatamente accompagnata da un riassetto ormale metabolico tale da garantire una concentrazione di calcio adeguata.

Due sono le variabili sulle quali possiamo intervenire allo stato attuale delle conoscenze.

La prima è quella di attenersi scrupolosamente ai fabbisogni dei macrominerali.

Il NASEM 2021 prescrive per le bovine la latte in piena produzione i fabbisogni indicati in tabella 7, aggiungendo però l’avvertenza d’incrementarli del 30%.

Tabella 7

È molto importante monitorare la concentrazione macro-minerale dei foraggi abitualmente utilizzati sulle bovine in lattazione. Un’attenzione particolare va posta alle fonti di calcio utilizzate non tanto per la sua concentrazione quanto per la sua biodisponibilità. Ad esempio, un carbonato di calcio al 39.4% di calcio ha una biodisponibilità del 50% che può crescere al 60% nel fosfato di calcio.

Conclusioni

Per chi produce latte destinato alla caseificazione è di fondamentale importanza selezionare bovine con un’elevata attitudine casearia utilizzando, se sono di razza frisona italiana, l’indice ICS-PR. Particolare attenzione va poi posta alla nutrizione proteica utilizzando il bilanciamento amminoacidico e la concentrazione macro-minerale della razione.

Per approfondire