Che gli allevamenti italiani devono puntare decisamente a diventare imprese, per avere la massima redditività, lo si dice ormai da molti anni. Gli ambiti su cui lavorare sono molti. Tra quelli prioritari c’è l’adozione del conto economico come strumento di guida e di valutazione di un’azienda zootecnica al posto delle performance tecniche. Abbiamo visto chiudere troppi allevamenti in “testa” alle classifiche per rimandare ulteriormente questa decisione. Un’altra priorità è , a mio avviso, quella del “chi fa che cosa” e di sono le responsabilità. Nelle imprese organizzate ( e competitive) il personale , dal presidente all’operaio, ha un ruolo definito, un mansionario, delle responsabilità e strumenti oggettivi di valutazione della qualità del proprio operato. Quello dell’impresa privata è un modello d’organizzazione del lavoro molto diverso da quello delle strutture pubbliche.
Negli allevamenti italiani, per lo più a gestione diretta della proprietà, c’è il titolare o i titolari e gli operai. In alcuni casi ( pochi )si trova un direttore d’allevamento e un capo stalla. Le decisioni più importanti vengono prese dall’allevatore con il veterinario aziendale e lo zootecnico. Per zootecnico s’intende chi si occupa dei piani alimentari, del controllo di gestione, sia tecnica che economica, e dei piani colturali. Omettiamo da questa disamina la figura “dell’alimentarista” come persona che fa solo le razioni in quanto ruolo molto lontano dal contesto di una riconversione imprenditoriale degli allevamenti. Le scelte , il modo e la qualità del lavoro del veterinario aziendale e dello zootecnico hanno un effetto molto forte sulla redditività di un allevamento. E’ però compito dell’allevatore o di chi lo rappresenta dare ruoli e mansioni a questi due professionisti per evitare il “rimpallo” di responsabilità o di competenze a cui abbiamo assistito, purtroppo spesso, in questi ultimi anni. Lo zootecnico è in genere laureato in agraria ma può anche essere laureato in veterinaria.
Questo professionista deve avere elevate competenze sulle tecniche di produzione degli alimenti zootecnici, sulla nutrizione e sulla gestione sia tecnica che economica di un allevamento. Il veterinario aziendale ha uno spiccato orientamento verso la gestione sanitaria e riproduttiva delle bovine e in tempo relativamente breve sarà di supporto al servizio sanitario nazionale nell’epidemio-sorveglianza, nel garantire la salubrità delle produzioni e che venga garantita agli animali un’ adeguata condizione di benessere. Condizione importante è che tra allevatore, zootecnico e veterinario aziendale ci sia un dialogo permanente e costruttivo sulle scelte da fare e sui risultati che ne conseguono, senza se e senza ma. Oggi, ma molto più nel passato, si osserva in alcuni allevamenti più che una collaborazione tra zootecnici e veterinari un battibecco e un rimpallo di responsabilità sia su problemi produttivi, riproduttivi e sanitari ed infine economici. Questo è tanto più evidente tanto più l’allevatore o di chi ne fa le veci non esercita il ruolo di capo e datore di lavoro. Le due professioni devono anche culturalmente evolvere e “invadere” per competenza i campi altrui. Il veterinario aziendale deve acquisire ulteriori conoscenze tipiche dello zootecnico come la nutrizione, sulle tecniche di gestione e i principi del conto economico, nel contempo lo zootecnico deve acquisire maggiori conoscenze sulle salute e la fertilità delle bovine. Questo non per aggiungere confusione a quelle che già c’è ma per avere gli strumenti per avviare o migliorare quel dialogo professionale inevitabile per aiutare gli allevatori a recuperare competitività economica. Le ragioni che hanno frenato questa collaborazione sono state e sono sostanzialmente tre.
Nella prima c’è una grande responsabilità dell’università il cui percorso didattico continua a preparare alimentaristi “con il computer” per fare le razioni e veterinari con “il fonendoscopio” per visitare gli animali. Non che questo non vada bene ma non è più sufficiente e spesso fuorviante.
La seconda ragione è di natura lobbistica. Il dibattito in molti casi si ferma non già sulla riqualificazione professionale e sulle responsabilità ma su chi comanda in azienda ossia che ha l’ultima parola dimenticando che l’ultima parola in qualsiasi impresa c’è l’ha solo chi è responsabile del conto economico. Titolare o manager che sia. La terza che è forse il vero male o la forza di noi italiani è l’individualismo ossia l’incapacità di confrontarsi e di tendere ad un bene comune. Altro tema importante, ma che tratteremo in un altro editoriale , è quello della possibilità di ricorrere a specialisti come i podologi, i neonatologi, gli esperti di embryo-transfer gli esperti di mastite, i nutrizionisti, gli agronomi, etc. e di come essi si devono coordinare con il veterinario aziendale, lo zootecnico e l’allevatore.
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