Caro Report, noi stimiamo molto il tuo lavoro. Una nazione in cui il giornalismo d’inchiesta può liberamente arrivare ai vostri livelli è libera e democratica; ed è uno Stato di diritto. Le dittature infatti, palesi o subdole che siano, per prima cosa chiudono i giornali, arrestano i giornalisti, e oscurano internet, i social media e i motori di ricerca.
Le inchieste “Latte versato” del 25 Novembre 2019 e “La goccia di latte” del 2 dicembre 2019 di Rosamaria Aquino hanno però una nota stonata.
Ad onor del vero, me ne sono accorto da come sono partite, cioè con l’andare al Brennero per vedere entrare i bilici stranieri che portano il latte in Italia e la Guardia di Finanza che controlla i documenti. Al Brennero entrano i camion del latte, e quelli che trasportano le Audi e le BMW, ed escono i mezzi che portano in Europa i nostri prodotti dell’agroalimentare, visto che siamo la più grande potenza agricola europea e che la Germania, ad esempio, è il paese dove esportiamo di più i nostri formaggi, insieme a Francia, USA e Giappone.
Qual è la novità?
Tutti sanno che il nostro paese, per dolo o sciattezza, ha accettato nel 1984 una quota di produzione di latte bovino di gran lunga inferiore al latte necessario all’industria lattiero-casearia nazionale e ai caseifici aziendali. Dall’allora Ministro Pandolfi ad oggi si sono avvicendati 19 governi, con altrettanti Ministri dell’agricoltura di quasi tutti i partiti rappresentati in parlamento. Il risultato? La stragrande maggioranza degli allevatori, per aumentare la produzione del proprio allevamento, si è indebitata per generazioni comprando quote; mentre quelli che non hanno voluto ”sistemare” la loro situazione hanno multe milionarie da pagare e molti hanno chiuso la stalla. C’era bisogno di andare al Brennero? Sarebbe bastato consultare i dati disponibili per tutti su quanto latte viene importato in Italia e da dove, sulla quantità prodotta dalle nostre bovine e su quanto ne viene utilizzato dall’industria italiana. Il non avere risolto per oltre 30 anni questa situazione ha però avvantaggiato molti. In primis certe industrie, e non i Consorzi di tutela dei formaggi a denominazione, che si sono trovate “costrette” a comprare il latte estero ad un prezzo sicuramente più basso di quello italiano. Dall’altro lato, politici e sindacalisti che cavalcano la rabbia e l’ingiustizia non per risolvere i problemi ma per fini elettorali e di potere; e in Italia sono molti, spesso trincerati dietro la squallida scusa “se potessi farei”.
Ma si sa, caro Report, che il diavolo “fa le pentole ma non i coperchi” e che l’alleanza gente-internet fa spesso brutti scherzi, anche a chi pensa di poter orientare l’opinione pubblica comunque e a prescindere. Per tanti motivi, che non staremo qui a descrivere, ad un certo punto, recentemente, i consumatori hanno deciso che desideravano consumare latte e formaggi prodotti in Italia e fatti con latte italiano, al punto da essere anche disposti a pagarli un po’ di più. Oltre agli obblighi previsti dal Decreto 27 Maggio 2004 dell’allora Ministero delle Attività Produttive per la rintracciabilità, la scadenza e l’indicazione dell’origine del latte fresco, circa una decina di anni fa cominciarono a comparire sulle etichette di molte referenze di prodotti lattiero-caseari industriali le diciture relative all’origine del latte italiana (fino all’indicazione della zona di mungitura), o addirittura la città di provenienza del latte e in alcuni casi persino i nomi degli allevatori. Si trattava allora di una dichiarazione facoltativa ma possibile. Non ne abbiamo mai viste sui prodotti del latte DOP e IGP perché è implicito nei disciplinari che la provenienza del latte debba essere italiana. Seppur contento di questa scelta “commerciale” dell’industria, rimanevo personalmente molto perplesso perché durante le trattative di allora sul prezzo del latte alla stalla alcuni industriali non riconoscevano aumenti di prezzo del latte agli allevatori italiani o addirittura volevano delle diminuzioni prendendo a pretesto il prezzo del latte tedesco e dei paesi Est. Non capivo allora, e non lo capisco neppure ora, cosa c’entra il prezzo del latte estero quando in gioco ci sono prodotti del latte etichettati come “fatti” con latte italiano. Mi sarei allora aspettato da parte delle sigle sindacali agricole e dai politici “vicini” agli allevatori un fiorire di segnalazioni agli organi competenti nella lotta alle frodi nell’agroalimentare, ovvero: l’Ispettorato Centrale della tutela della Qualità e Repressione Frodi dei prodotti agro-alimentari (ICQRF), il Comando Carabinieri per la Tutela della Salute – NAS, il Comando Carabinieri per la Tutela Agroalimentare, l’Autorità Garante delle Concorrenza e del Mercato (AGCM) e la Guardia di Finanza (GDF). Segnalazioni per ottenere una risposta al semplice quesito: ma l’industria X che in buona parte delle etichette indica la provenienza del latte locale o italiana usa veramente solo il latte indicato? Siccome dietro l’onda lunga del latte “munto in Italia” c’è stato un aumento dei prezzi al pubblico sarebbe stato lecito che le industrie “oneste”, che non volevano violare la legge utilizzando latte estero, avessero fatto delle segnalazioni all’AGCM per concorrenza sleale. A fronte di sospetti reali gravi e potenziali reati penali come “pubblicità ingannevole”, “concorrenza sleale” e “frode in commercio”, perché gli organi competenti non sono stati incaricati?
Il Decreto ministeriale del 9 Dicembre 2016, degli allora Ministri Maurizio Martina (MIPAAF) e Carlo Calenda (Ministero dello Sviluppo Economico) in ottemperanza al Regolamento(UE) n°1169/2011 recante l’obbligo di “Indicazione dell’origine in etichetta del latte e del latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari”, diventato attuativo il 19 Aprile 2017, aveva semplificato la situazione. Dal 1° aprile 2020, si applicherà il Regolamento di esecuzione (UE) n. 2018/775, che reca modalità di applicazione dell’art. 26.3 del Reg. (UE) n. 1169/2011 in merito alle norme sull’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza dell’ingrediente primario di un alimento, rendendo di fatto inapplicabile il decreto sull’origine del latte. Questo Regolamento cambierà la situazione in fatto di obbligo di indicazione dell’origine. Per coprire il gap normativo esistente tra le due norme il Mipaaf ha introdotto un’estensione dell’applicazione del decreto nazionale fino al 31 marzo 2020.
Caro Report, l’insinuazione gratuita che tutti i prodotti del latte italiani possono utilizzare il latte straniero perché avete visto entrare i camion dal Brennero ci sembra una generalizzazione. Ci sono tanti caseifici italiani che utilizzano solo ed esclusivamente latte straniero ma dichiarano in etichetta provenienza del latte UE o extra UE, non italiana.
Il caso Molise deve però rimanere nella memoria collettiva come esempio di scarsa lungimiranza.
Il Molise ha tra i formaggi a denominazione solo due DOP, Mozzarella di Bufala Campana e Caciocavallo Silano, potrebbe potenzialmente utilizzare l’STG “Latte Fieno” e l’STG “Mozzarella“, e ha 12 formaggi PAT (Prodotto Agroalimentare Tradizionale). Per il resto produce formaggi freschi ed essenzialmente fiordilatte. Per fare un chilogrammo di fiordilatte, ci vogliono 8 litri di latte (resa 12-15%). In Molise, al 22 Luglio 2019, la BDN riporta una consistenza di 7046 bovine in lattazione ,distribuite in 371 allevamenti (circa 19 capi medi). Il Molise è la seconda regione più piccola d’Italia: il suo territorio infatti conta appena 4438 km2 ed è per il 55.3% montano e per il 44.7% collinare. Questa conformazione geografica non consente la zootecnia intensiva e di grandi dimensioni e i costi degli alimenti zootecnici sono in genere di gran lunga superiori a quelli delle pianure irrigue. Se i 43 caseifici molisani (di cui 17 ad Isernia e 23 a Campobasso) utilizzassero solo i circa 5000 litri di latte al giorno di cui dispongono, potrebbero produrre all’incirca 620 kg di fiordilatte al giorno.
Ho vissuto da vicino la lotta per la sopravvivenza degli allevatori molisani con i caseifici locali, ma il mantra era quello nazionale: “Se il latte dei paesi dell’est e della Germania costa così perché ti dovrei pagare di più?“. E quali sono state le conseguenze? Molti allevatori hanno ovviamente chiuso e i caseifici molisani che non possono fregiarsi in etichetta della provenienza molisana del latte, devono ora per forza comprare il latte straniero e produrre fiordilatte “commodity” per sopravvivere ai buyer della GDO e competere con il prezzo delle multinazionali del latte. L’ultimo baluardo è richiamare sulle confezioni con nomi ingannevoli l’origine molisana del fiordilatte, ma fino a quando può durare l’equivoco? Conosco personalmente, e per questo lo cito ad esempio, il Caseificio Di Nucci di Agnone che negli anni ha fatto una politica opposta ai suoi colleghi caseifici molisani, “tenendosi” ben da conto gli allevatori suoi conferitori. Risultato? Il Caseificio Di Nucci di Agnone sopravvive, anzi prospera, dal 1662. Inoltre, attualmente l’azienda impiega, oltre ai dipendenti, un’intera famiglia ed è ambasciatore nel mondo della tradizione casearia molisana.
Caro Report, il polverone che hai sollevato ha coperto di sospetti tutta la produzione di latte italiana e questo non può che fare male soprattutto ai tantissimi onesti. Non è con il “muoia Sansone con tutti i Filistei” che si fa del bene al nostro paese. Pubblicare la lista delle aziende che utilizzano latte straniero dichiarandolo, perché ciò è obbligatorio, non è per me una notizia, come non lo sarebbe pubblicare la lista delle concessionarie che vendono auto tedesche o giapponesi. Ci auguriamo di vedere una terza puntata di vero giornalismo d’inchiesta, come solitamente fate, dove meticolosamente viene esaminata la lista contenente i caseifici disonesti che pur dichiarando in etichetta la provenienza italiana del latte utilizzano quello straniero. Ci piacerebbe sapere chi ha provveduto alle segnalazioni alle Autorità Competenti e la pena che il giudice ha inflitto.
Per aiutare i nostri lettori pubblichiamo di seguito alcune infografiche che mostrano come è possibile segnalare un sospetto di reato di questo tipo alle autorità competenti. In questo modo diamo una mano anche a chi s’indigna ma si limita a strillare senza fare nulla di concreto.
Elaborazione box informativi a cura di Elisa Tavilli.
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