Nei lunghi anni che vanno dal dopoguerra a oggi, il benessere degli italiani è sicuramente migliorato, anche se siamo ancora ben lontani dell’esserci tutti affrancati dalla povertà. Secondo quanto riportato da ISTAT, nel 2023 le persone in condizioni di povertà assoluta sono state ben 5.7 milioni, ossia il 9.8% di tutti gli italiani.

Parallelamente a ciò, secondo Oxfam, sempre in Italia, nel 2022 l’1% più ricco deteneva una ricchezza superiore 85 volte a quella del 20% della quota più povera della popolazione.

Sempre nel nostro Paese ci sono 457.000 persone che hanno un patrimonio finanziario superiore al milione di euro e meno dell’1% della popolazione detiene il 47% della ricchezza totale.

Essere diventati ricchi onestamente e con il lavoro non è un male e nemmeno un problema, lo è invece se ciò crea ingiustizie e una diseguaglianza in termini di accesso e opportunità per l’istruzione, la sanità e il lavoro.

E’ innegabile che in Italia stia peggiorando vistosamente la qualità del servizio offerto dalla sanità pubblica e che i giovani facciano un’incredibile fatica ad accedere ad un mercato del lavoro fatto di contratti stabili e di lunga durata con una dignitosa remunerazione che permetta loro di costruirsi un futuro.

La ridotta natalità, che ha come contropartita la riduzione della popolazione attiva a livello lavorativo, ha conseguenze negative nel garantire un livello adeguato di welfare a tutti.

Un’altra affermazione che mi sento di fare senza il timore di essere smentito è che esiste un vistoso aumento dell’individualismo, forse frutto del non credere nel futuro e della morte delle ideologie.

Oggi il termine ideologico oppure ideologia ha assunto un’accezione negativa, anche se la sua definizione ufficiale è, secondo la Treccani: “Nel pensiero sociologico, il complesso di credenze, opinioni, rappresentazioni, valori che orientano un determinato gruppo sociale; anche, ogni dottrina non scientifica che proceda con la sola documentazione intellettuale e senza esigenze di puntuali riscontri materiali, sostenuta per lo più da atteggiamenti emotivi“.

In un tempo ormai trascorso, i partiti politici, i movimenti, le associazioni, le fedi religiose, ma anche momenti meno significativi della vita sociale, possedevano una loro ideologia fideisticamente abbracciata da gruppi di persone dove l’individuo non era protagonista ma parte di un ingranaggio; un pò come succede in un alveare di api.

Paradossalmente, anche le imprese avevano proprie ideologie e valori alle quali ogni individuo, dall’ultimo operaio al presidente, aderiva senza se e senza ma.

Le ideologie, come del resto le religioni, si stanno liquefacendo davanti alla tecnica e quello che oggi conta è l’individuo e la possibilità che la società ne soddisfi ogni aspettativa.

Narcisismo ed egoismo, se classificati come pseudo patologie, sembrano avere una netta crescita.

I programmi dei partiti politici si assomigliano tutti e le ideologie di destra e di sinistra sono di fatto confluite nelle promesse elettorali. La gente al momento delle elezioni non vota più un partito ma le persone che si presentano.

Questa trasformazione da una società fatta di raggruppamenti tenuti insieme da un’ideologia ad una composta da individui che si riconoscono magari in gruppi d’interesse dove si condivide un punto di vista o una passione, ha cambiato completamente le regole sociali.

Oggi, rispetto al passato, è molto più difficile lottare per affermare i propri diritti sociali ed economici, perché per farlo bisogna unire le forze mentre la società occidentale pare abbia scelto l’individualismo fino al punto da ritenere superfluo avere una famiglia e magari fare dei figli.

Un’umanità fatta d’individui che perseguono solo un personale tornaconto e che non tengono al bene collettivo deve trovare un nuovo ordine delle cose, e spesso lo cerca desiderando un capo branco che li rassicuri, li tuteli, li ascolti e li accontenti.

È inevitabile non ricordare la celebre frase di Friedrich Nietzsche: “Quando l’umanità diventa gregge vuole l’animale capo“.

Nel 2024 più della metà della popolazione mondiale è andata votare e i risultati dimostrano che la democrazia ne è uscita male perché a trionfare sono stati per lo più  i “capi branco” e non le ideologie.

Questi pensieri “alti” hanno un’inevitabile ripercussione sia sulla nostra vita di tutti i giorni che sull’economia, anche agricola, del nostro Paese.

Il mondo si stava espandendo verso la globalizzazione con poche regole, un delicato equilibrio basato sulla delocalizzazione produttiva, dove la legge della domanda e dell’offerta condiziona il rapporto tra import ed export e la finanza sovrasta il tutto.

Grandi Paesi come la Russia, gli USA e la Cina hanno scelto di rafforzare la loro spinta espansionistica e di ridurre al minimo indispensabile l’import. Paesi tecnologicamente avanzati e con una agroalimentare forte ma piccoli e con poca terra arabile come l’Italia nulla possono contro la volontà sovranista delle grandi nazioni del mondo dotate di risorse naturali, tanti combustibili fossili e tanta terra da coltivare.

L’Italia per sopravvivere ha bisogno di importare le commodity ed esportare manufatti e tecnologia, e poco ha da condividere con le metodiche e obiettivi dei grandi paesi che stanno prendendo le redini del mondo.

Ovviamente, in questo momento storico di grandi incertezze, “l’animale capo” è attraente anche per noi italiani, ma è bene non perdere la consapevolezza di quanto siamo diversi dalle grandi nazioni della Terra. Noi italiani, per sostenere il nostro benessere economico, non possiamo puntare ad essere produttori di commodity, ossia di materie prime, ma di prodotti lavorati a cui dare il grande valore aggiunto della tradizione, del territorio e del saper fare e prevalentemente esportare.

La tentazione di chiudere i confini per limitare al minimo l’import è tanta, ed elettoralmente è molto attraente, ma sarebbe un tragico errore perché le ritorsioni commerciali dei paesi ai quali potremmo limitare l’export verso di noi potrebbero essere per noi fatali.

Morta l’ideologia e con una politica in profonda sofferenza, l’Italia non può e non deve scimmiottare cosa fanno grandi Paesi come gli USA, la Russia e la Cina, ma deve trovare solide alleanze con chi è come lei, ossia le tante nazioni con le quali ha condiviso fin dalla nascita il sogno europeo.

Mettere in mano le sorti del nostro Paese a questi giganti, e anche ai colossi tecnologici, può essere poco lungimirante e molto, molto rischioso. La nostra economia è stata costruita sui buoni rapporti con il resto del mondo. Lasciamo i sogni narcisisti di dominio alle nazioni che hanno le risorse naturali per farlo e impariamo di nuovo a cooperare perché è questo che ci ha permesso il benessere che abbiamo.

E’ bene mettere al centro l’individuo ma un pò di sana ideologia non guasterebbe perché crea le condizioni per cooperare e per aspirare ad un più alto bene comune.